SOCIETÀ

Cronaca di una morte annunciata: il ritiro americano dal trattato INF

Il 23 ottobre scorso il consigliere per la sicurezza nazionale americana John Bolton ha confermato al presidente russo Vladimir Putin l’intenzione americana di ritirarsi dal trattato Intermediate-Range Nuclear Forces– INF, in vigore dal 1° giugno 1988 fra gli USA e i paesi eredi dell’Unione Sovietica: Russia, Bielorussia, Kazakhstan, Turkmenistan, Ucraina e Uzbekistan. Il trattato proibisce di testare e acquisire missili balistici e cruise con base a terra di gittata fra 500 e 5.500 km (IRM), sia nucleari che convenzionali, assieme alle loro piattaforme di lancio.

La decisione era stata annunciata dal presidente Donald Trump nel corso di un discorso elettorale domenica 19 ottobre: "We'll have to develop those weapons… We're going to terminate the agreement and we're going to pull out," Dobbiamo sviluppare quelle armi… Stiamo per rescindere l'accordo e ce ne tiriamo fuori". Le motivazioni addotte sono la dichiarata violazione del trattato da parte russa e il possesso cinese di tali armi. Va osservato che la Cina non è parte del trattato INF.

Non ci sono ancora stati passi formali da parte americana; una scadenza critica, fissata al prossimo 15 gennaio dalla legge di finanziamento della difesa nazionale per il 2019, è la presentazione al Congresso da parte del Presidente della determinazione se la Russia “sia in violazione materiale dei suoi obblighi previsti dal tratto INF ” e se “le proibizioni previste dall’Art.VI del trattato INF rimangano vincolanti per gli Stati Uniti come legge degli USA”. In tale occasione il trattato potrebbe essere denunciato e i suoi vincoli cessare dopo sei mesi. Vi sono tuttavia dubbi legali se il presidente americano abbia il potere di rescindere unilateralmente un trattato legalmente vincolante ratificato dal Senato. 

L’iniziativa di Trump rientra nel suo approccio generale alla politica estera basata sul disfacimento degli accordi internazionali che egli ritiene non diano vantaggi e privilegi agli USA. In questo caso non ha consultato il Congresso e formalmente gli alleati, ma ha recepito le posizioni di Bolton, fin dal 2007 apertamente contrario al trattato.

In realtà nel loro incontro a Brussels ai primi di ottobre i ministri della difesa della NATO avevano emesso una dichiarazione congiunta affermando che l’INF “è stato cruciale per la sicurezza euro-atlantica e noi restiamo pienamente impegnati per la preservazione di questo epocale trattato di controllo degli armamenti”.

Per intuire a cosa possa portare la possibile reintroduzione negli arsenali americani e russi di tali armamenti nucleari val la pena ricordare il contesto in cui si sono svolti i negoziati per il trattato.

I negoziati per l’INF (1979-1987)

I negoziati che hanno portato all’INF avevano l’obiettivo di ridurre le tensioni in un’Europa ancora divisa, ove pullulavano oltre 10 mila armi nucleari di ogni tipo, dalle mine atomiche a missili con gittata fino a coprite tutto il continente, accanto a imponenti forze convenzionali terrestri, marine e aeree in stato di perenne allerta. Il conseguente stato di globale insicurezza venne ulteriormente aggravato all’inizio del 1977 con lo schieramento dei missili sovietici mobili di nuova generazione RDS-10 (SS-20); la NATO percepì in tale operazione un grave sbilanciamento del precario equilibrio e scelse in risposta un duplice approccio: l’apertura di negoziati con l’URSS per la limitazione degli armamenti e, in parallelo, l’installazione di nuovi missili nucleari ad alta penetrazione:108 missili balistici Pershing II in Germania e 464 missili cruise BGM-109G distribuiti fra Belgio, Germania, Italia, Olanda e UK.

I negoziati si annunciavano estremamente ambiziosi, per una triplicità di motivi: il problema dei sistemi così detti “grigi”, l’inadeguatezza delle correnti categorie concettuali e posizioni negoziali e le gravi asimmetrie geostrategiche e militari.

I sistemi “grigi” erano stati fino allora evitati nei negoziati est-ovest per la difficoltà di una loro chiara definizione e collocazione in un preciso conte­sto militare: aerei con molteplicità di impiego, missili con ap­plicazioni sia tattiche che strategiche, cruise nucleari in­distinguibili da quelli con testate convenzionali, domini geo­grafici variamente identificabili, criteri di classificazione diffi­cili.

 Le categorie concettuali e posizioni negoziali del tempo, sviluppate nel corso dei colloqui SALT, si basavano sul criterio di “parità”, sia qualitativa che quantitativa fra le forze militari delle parti, criterio seducente dal punto di vista politico ma inadatto alla complessa realtà dell'equilibrio nucleare, in particolare nel contesto europeo. 

Infine il confronto USA-URSS presentava asimmetrie in ogni questione negoziale. Anzitutto e critica quella geografica, per cui le armi della NATO raggiungevano la Russia, minacciando la stessa Mosca, mentre i missili sovietici non potevano colpire gli Stati Uniti. Oltre alle forze nucleari americane l’URSS era esposta agli armamenti autonomi di Francia e UK, mentre nessun’altro paese del Patto di Varsavia aveva proprie armi nucleari. 

Diverse erano le caratteristiche strutturale e operative dei sistemi missilistici contrapposti, la potenza delle testate, la mobilità delle piattaforme, … In particolare solo gli SS-20 erano mobili e avevano testate multiple MIRV, mentre i Pershing II con la loro estrema accuratezza, rapidità di ti­ro e capacità di distruggere obiettivi militari rinforzati, ponevano a rischio i centri di comando, controllo e comunicazione e le stesse basi missilistiche intercontinentali sovietici con brevissimi tempi di volo. L’alta penetrabilità dei cruise poteva vanificare la stessa difesa antimissile di Mosca.

Un’ulteriore asimmetria è stata la differente reazione dell’opinione pubblica: mentre nei paesi del Patto di Varsavia l’installazione dei missili sovietici non trovò alcuna reazione, lo schieramento degli armamenti della NATO suscitò fin dal 1980 massicce proteste pubbliche di milioni di persone nell’Europa occidentale, in particolare in Belgio, Germania, Italia, Olanda e UK, e negli USA, e in alcuni paesi i governi trovarono dure opposizioni parlamentari. 

I negoziati, iniziati nell’autunno 1980, sono proceduti con proposte e controproposte, respinte dalla controparte, minimi progressi e lunghe sospensioni fino al summit di Reykjavik (ottobre 1986) fra Ronald Reagan e Michail Gorbaciov. I due leader ribaltarono l’approccio al problema con la caratteristica ingegnosità e pragmatismo di Reagan e l’ampia prospettiva di Gorbaciov per un deciso disarmo nucleare globale, di cui il disarmo dei sistemi europei era il primo decisivo passo.

Si giunse così al bando totale di tutti i sistemi di gittata corta e intermedia e alla firma del trattato l’8 dicembre 1987. Come previsto dall’accordo si è quindi proceduto alla distruzione controllata dei missili americani e sovietici esistenti ed entro i tre anni previsti sono stati eliminati 2692 missili (1846 sovietici e 846 americani) con le piattaforme di lancio, i prototipi e singoli stadi.

Anche i paesi europei non parte del trattato hanno successivamente eliminato i missili a gittata intermedia in loro possesso: Germania, Ungheria, Polonia e la Repubblica Ceca nel corso degli anni '90, la Slovacchia nell'ottobre del 2000 e la Bulgaria, l'ultimo detentore di missili a medio raggio in Europa, nell’ottobre 2012.

Il trattato ha introdotto un nuovo altissimo livello di intrusivi sistemi di controllo e verifica bilaterali, servito di modello per i successivi accordi bilaterali USA-Russia fino all’attuale New START.

Le nuove asimmetrie strategiche

L’eliminazione quantitativamente molto maggiore di sistemi sovietici rispetto a quelli americani apparve a molti russi danneggiare la sicurezza nazionale, Gorbaciov venne a lungo considerato un traditore e la diffidenza verso l’INF continuò a serpeggiare in molti ambienti politici e militari.

Il trattato INF ha durata indefinita e pertanto è rimasto in vigore per le parti, mentre altri paesi hanno sviluppato missili balistici o cruise a gittata intermedia (IRM) sia per missioni nucleari che convenzionali, consistentemente con le proprie problematiche di sicurezza regionale: fra questi Arabia Saudita, Cina, le due Coree, India, Iran, Israele, Pakistan e Taiwan. Va osservato che IRM di questi paesi possono raggiungere la Russia, ma non gli Stati Uniti, esposti finora solo a missili o aerei con raggio operativo intercontinentale. 

La Russia ha naturalmente forze convenzionali e nucleari strategiche e non-strategiche per dissuadere possibili attacchi da parte di tali paesi, come pure di Francia e Regno Unito, per cui la mancanza di suoi analoghi IRM non crea un reale rischio alla sua sicurezza.

Tuttavia, nella peculiare logica dei pianificatori degli obiettivi strategici, il trattato INF crea una notevole asimmetria fra gli USA e la Russia, dato che quest’ultima deve impegnare parte delle sue forze strategiche per tali obiettivi, a discapito della “parità” con gli americani. Ciò appare ancora più significativo dal momento che gli accordi START impongono limiti uguali agli armamenti strategici dei due paesi. 

L’acquisizione di IRM permetterebbe alla Russia di impegnarli per gli obiettivi vicini, liberando le forze strategiche. Molti analisti concordano sul fatto che la Russia abbia da subito mantenuto le competenze tecniche per missili IRV e sviluppato vari programmi di ricerca e sviluppo per sistemi potenzialmente fuori dei limiti del trattato. A seguito del ritiro degli USA dal trattato Anti missile balistico (ABM) nel 2002, la Russia prospettò il suo ritiro dall’INF e lo sviluppo di sistemi contro le basi ABM americane. Negli anni seguenti in occasioni di incontri dei ministri degli esteri russo-americani si ventilò la possibilità di porre termine bilateralmente al trattato. 

Nella prospettiva di ridurre la propria esposizione agli IRM dei paesi vicini, nel 2007 la Russia presentò una proposta all’ONU per convertire l’INF in un trattato multilaterale aperto all’adesione di tutti i paesi; gli USA appoggiarono l’iniziativa con un documento congiunto al Primo comitato dell’Assemblea dell’ONU, ma la proposta a non trovò alcun aderente. 

La crescita delle capacità militari nucleari della Cina ha creato anche in alcuni ambienti americani un senso di asimmetria regionale nello scacchiere dell’Estremo oriente, asimmetria da risolvere, seguendo l’impostazione di Bolton, appunto con sistemi IRM da installare a Guam e nei paesi alleati. Il Pentagono fin dal 2013 sta considerando le tecnologie da sviluppare nella prospettiva del superamento del trattato INF. Le attuali forze nucleari aereo-navali sono, a detta dei responsabili militari, adeguate al contenimento cinese, ma sistemi basati a terra potrebbero “alleggerire” l’impegno della marina e liberare sistemi strategici.

Le violazioni al trattato

Alla fine del termine previsto per il regime di ispezioni (31 maggio 2001), la verifica del rispetto del trattato è basata sui soli national technical means, ossia mediante controllo satellitare.Nel corso degli anni tali osservazioni hanno portato entrambe le parti a denunce di possibili violazioni; alcuni casi sono stati risolti sulla base delle precise definizioni pattizie sui sistemi proibiti, altri sono rimasti a lungo materia di discussione e di confronto, non essendo più ammesse verifiche intrusive. 

Attualmente sul tappeto ci sono la denuncia americana dello sviluppo e test di un missile cruise russo di gittata proibita e la denuncia russa dell’installazione in Europa di sistemi antimissile balistico adeguati anche al lancio di cruise IRM.

Nel 2011 il presidente Obama informò il Congresso che erano stati osservati dei test russi di un nuovo cruise IRM mobile, e dal 2014 in poi il Dipartimento di stato nei suoi annuali rapporti di conformità ai trattati accusa la Russia di sviluppare un missile cruise con base a terra, con una gittata in piena violazione dell’INF denominato SSC-X-8 dagli USA. 

Nel 2016 e 2017 furono indette riunioni della Special Verification Commission(SVC) prevista dal trattato per dirimere la questione. In tali sedi gli USA hanno presentato informazioni sul missile e la sua piattaforma, sui test di volo e le loro coordinate, i nomi delle compagnie costruttrici e la denominazione russa del nuovo sistema: 9M729. La Russia ammette l’esistenza del missile e la correttezza del suo nome, ma continua a respingere le accuse e non ha permesso un’ispezione del nuovo ordigno.

Le informazioni presentate negli SVC sono mantenute sotto stretto segreto, per cui mancano valutazioni indipendenti sulla validità delle accuse. Ciò ha anche impedito prese di posizione decise da parte degli alleati degli USA e dell’opinione pubblica occidentale.

Analisi di esperti basate su dati disponibili, osservano che la stessa compagnia produce sia il cruise terrestre a corta gittata 9M728 Iskander (R500) che il cruise navale 3M14 Kalibr (SS-N-34A) con gittata attorno ai 2000 km, impiegato per operazioni in Siria, e che i due sistemi hanno molte caratteristiche in comune, per cui concludono che il 9M729 sia una versione terrestre del Kalibr e possa utilizzare la stessa piattaforma di lancio mobile dell’Iskander.

La Russia a sua volta denuncia gli USA in violazione del trattato con l’installazione in Romania e Polonia di sistemi anti-missile che possono essere impiegati anche per il lancio di cruise. Di fatto gli intercettatori ABM SM-3 utilizzano lo stesso sistema di lancio verticale MK-41 impiegato a bordo delle navi Aegis, classificato come “propulsore multi-missione e multi-missile” che oltre agli intercettatori navali SM-2 può venir utilizzato anche per i cruise navali Tomahawk. La Russia sostiene che installando a terra gli MK-41 il trattato viene violato, dato che potrebbero servire per varianti terrestri degli Tomahawk, anche se non ci sono stati test per tali missioni. Gli americani insistono sulle modifiche tecniche apportate per gli MK-41 terrestri, che li rendono inutilizzabili per missili cruise e li rendono compatibili con l’INF.

In realtà la Russia è molto più preoccupata dell’installazione in corso dei sistemi ABM, che considera miranti a vanificare le proprie capacità di dissuasione, che di futuri cruise e la denuncia di violazione può mirare a rallentare il programma ABM europeo.

L’8 dicembre 2017 gli USA hanno annunciato “nuove misure diplomatiche, militari ed economiche miranti a indurre la Federazione russa a rientrare nel rispetto del trattato e a vanificarne ogni vantaggio militare se persiste nella sua violazione.” L’uscita dal trattato non era comunque prevista.

Non vi sono state particolari iniziative negoziali e non è stata convenuta una nuova sessione SVC, ma si è sviluppata la risposta militare, finanziando dal 2018 la ricerca su “concezioni e opzioni per sistemi missilistici cruise con armamento convenzionale di gittata intermedia e base mobile a terra, … per preparare gli USA a difendere loro stessi e i propri alleati”. Fondi per tale progetto sono stati allocati anche nel bilancio 2019. Va ricordato che il trattato permette la fase di studio e sviluppo di nuovi sistemi, ma ne impedisce la produzione e i test di volo. Lo sviluppo di nuovi missili richiederà molti anni e il Pentagono in parallelo sta studiando modifiche dei sistemi esistenti come i Tomahawk nella prospettiva di installarli su piattaforme terrestri mobili.

E, infine, la sorpresa della denuncia del tratatto.

E ora?

L’unilaterale uscita degli USA dall’INF non pone problemi di sicurezza alla Russia, anzi le permette di sviluppare e schierare liberamente i suoi nuovi sistemi. Il governo russo si è affrettato a condannare la decisione americana, passando dalla condizione di violatore del trattato al suo più strenuo sostenitore, un significativo successo d’immagine. 

Putin nella conferenza stampa a seguito dei colloqui con Giuseppe Conte ha dichiarato che la Russia sarebbe forzata a considerare come bersagli i paesi europei che ospitassero i nuovi missili americani: “Se gli USA si ritirano dal trattato INF, la questione principale è cosa essi intendano fare con questi missili. Se li installeranno in Europa, la nostra risposta dovrà naturalmente essere speculare e i paesi europei che accettassero di ospitarli, qualora le cose andassero così avanti, devono capire che esporranno il proprio territorio al rischio di possibili contrattacchi”. 

Ricordando la decisa opposizione degli europei agli euromissili americani degli anni ’80, è difficile che i paesi europei accettino di ospitare queste nuove armi; forse alcuni paesi dell’Europa orientale sarebbero disposti a riceverne, ma la collocazione delle basi così prossime alla Russia suonerebbe eccessivamente minacciosa e le renderebbe vulnerabili ad attacchi preventivi. Una tale eventualità minerebbe la coesione della stessa NATO.

Sarebbe comunque opportuna grande prudenza da parte di Mosca per evitare una nuova dannosa fase di corsa agli armamenti, ma soprattutto per non creare tensioni e minacce ai paesi europei e non reintrodurre lo spettro di una guerra nucleare in Europa. 

La Commissione Europea ha messo in guardia del rischio del riaccendersi di una nuova corsa agli armamenti se l’INF viene meno e ha ricordato che il trattato costituisce un pilastro dell’architettura di sicurezza non solo europea e fornì un importante contributo nella prospettiva degli obblighi di disarmo previsti dall’art. VI del Trattato di non-proliferazione (NPT).

Così come il compimento della distruzione degli euromissili nel 1991 è stato un fattore importante per la decisione del 1995 di rendere indefinita la durata dell’NPT, è facile prevedere che il superamento dell’INF (o anche una tale prospettiva) avrà degli effetti negativi, se non dirompenti, sulla prossima conferenza di revisione NPT e sui lavori preliminari, già sottoposta a gravi tensioni, in quando minaccia di una nuova corsa agli armamenti, contro il dettato del trattato.

La maggioranza degli esperti americani in controllo degli armamenti considerano ladecisione unilaterale e impulsiva di Trump controproducente, dannosa per l’immagine e la credibilità degli Stati Uniti rispetto agli alleati e la comunità internazionale, e strategicamente ingiustificata. Gli USA non hanno bisogno di IRM terrestri, le cui funzioni sono già svolte nel rispetto dell’INF da sistemi aerei e navali, sia nello scacchiere europeo che asiatico. Sono stati avanzati suggerimenti per affrontare la violazione russa in modi alternativi che possano garantire un effettivo vantaggio alla sicurezza globale e americana in particolare. 

La Cina ha espresso preoccupazione per il minacciato schieramento di IRM americani in Estremo oriente e la portavoce del ministero degli esteri cinese Hua Chunying a una conferenza stampa ha avvertito che il suo paese "non accetterà mai alcuna forma di ricatto", segnale di una possibile corsa agli armamenti anche nel contest asiatico, col potenziale coinvolgimento di Filippine, Vietnam, Giappone, Corea del sud e, per riflesso, aumentando tensioni in India e Pakistan.

La rottura dell’INF arriva in un momento particolarmente delicato per la sicurezza globale, con le tensioni fra le maggiori potenze militari, il confronto nel Mar cinese meridionale, la strisciante guerra in Ucraina, la crisi del trattato nucleare con l’Iran, le incertezze sulle prospettive degli armamenti nord-coreani e i nuovi terreni di scontro nel dominio spaziale e cibernetico.

Attaccando l’INF, con il suo valore simbolico di iniziatore della politica di disarmo nucleare, si pone a rischio l’intera architettura di controllo degli armamenti e il regime di non-proliferazione, faticosamente costruiti durante la guerra fredda. Anche il New Start, ultimo accordo bilaterale di limitazione delle armi nucleari sopravvissuto, viene continuamente minacciato nella retorica di Trump e nell’azione di Bolton. Viene dispersa la cultura negoziale e le competenze nel campo del controllo degli armamenti, anche nella prospettiva di nuove iniziative in contesti differenti.

La situazione geopolitica globale, con l’arrivo di nuovi protagonisti economici e militari, e lo sviluppo tecnologico degli armamenti rende necessario affrontare i problemi della sicurezza globale con un approccio differente rispetto ai negoziati bilaterali della guerra fredda con il loro sistema di verifica e controllo. 

È ora necessario affrontare l’intero nuovo spettro di armi con valenza strategica, coinvolgendo tutte le parti rilevanti: nuove testate, armi nucleari a corto raggio d’azione, sistemi convenzionali e nucleari di altissima precisione e iper-veloci, droni, armi laser, apparati anti-missile balistico, piattaforme spaziali, guerra cibernetica. Lo sviluppo del nuovo necessario paradigma negoziale richiede uno sforzo di fantasia, tenacia, ingegnosità, pragmatismo e una chiara volontà di deciso disarmo nucleare globale non diverso da quello che permise 30 anni fa la definizione dell’INF.

alessandro pascolini

ALESSANDRO PASCOLINI

Alessandro Pascolini è uno studioso senior dell’Università di Padova, già docente di fisica teorica e di scienze per la pace, ed è vice-direttore del Master in comunicazione delle scienze. Si occupa di fisica nucleare, controllo degli armamenti e divulgazione scientifica. Dal 1988 al 2002 è stato responsabile delle attività di promozione della cultura scientifica dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, producendo una sessantina di mostre in Italia e all’estero e predisponendo testi e materiali audiovisivi, cinematografici e multimediali. La Società Europea di Fisica gli ha conferito il premio 2004 per la divulgazione scientifica. È vicepresidente dell’ISODARCO e partecipa alle Pugwash Conferences on Science and World Affairs.

Interruttore
Leggi la biografia

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012