SCIENZA E RICERCA

I progressi medici e l’evoluzione non sono nemici

Ottenere il profilo genetico completo di un feto già al primo trimestre di gravidanza potrebbe non essere un traguardo così lontano, grazie a un test non invasivo ideato un paio di anni fa da un gruppo di ricercatori della Stanford University. Ciò permetterebbe di conoscere possibili mutazioni legate allo sviluppo di eventuali patologie, con tutti i rischi e i benefici del caso. “L’avvento del sequenziamento dell’intero genoma del feto – hanno recentemente sottolineato alcuni studiosi sul New England Journal of Medicine – potrebbe portare a un aumento nei tassi di aborto. D’altra parte però la conoscenza dei rischi genetici è in grado di offrire maggiori opportunità di condurre una vita normale”. Sapere, ad esempio, che il proprio figlio ha un elevato rischio di diabete può indurre a prestare maggiore attenzione all’esercizio fisico e alla dieta con i conseguenti benefici.

Lo screening genetico è solo uno dei modi con cui la medicina moderna può influire sull’aspettativa e sullo stile di vita. A questo si aggiungano i nuovi farmaci, tecniche diagnostiche sempre più efficaci, interventi chirurgici all’avanguardia che hanno permesso nel tempo di protrarre il benessere fisico e la vita media degli individui. Soprattutto di chi, fino a poco più di un secolo fa, era destinato a non sopravvivere o a un’esistenza breve e disagiata.

Furono tuttavia queste considerazioni, sul finire dell’Ottocento (ma il dibattito ha raggiunto il nostro secolo), che indussero scienziati come Lawson Tait a ritenere che proprio la medicina ostacolasse la selezione naturale, poiché manteneva in vita anche gli “inadatti”. E rallentava, in questo modo, il processo evolutivo e il perfezionamento della specie, sulla base dell’idea che la selezione naturale creasse strutture perfette e che la malattia invece fosse una “deviazione” da eliminare.

Su queste teorie fondava la sua ragion d’essere l’eugenetica: la trasformazione della descrizione della vita come lotta per l’esistenza in standard da adottare per fare selezione. Termine coniato nel 1883 da Francis Galton, cugino di Charles Darwin, indicava la “scienza del miglioramento della specie umana”, spiega Cristian Fuschetto nel volume Fabbricare l’uomo. L’eugenetica tra biologia e ideologia, che avveniva attraverso modi tristemente noti: sterilizzazioni, castrazioni, aborti di quanti venivano giudicati intellettualmente e socialmente inadatti (malati di mente, epilettici etc.). Si tratta di pratiche che ci riportano agli anni del secondo conflitto mondiale, quando le ragioni della scienza andavano a braccetto con quelle della politica nazista. Ma le teorie eugenetiche circolavano già molto prima, culla la Gran Bretagna, e sopravvissero ben oltre la seconda metà del Novecento. È il caso ad esempio della Svezia, sottolinea Luca Dotti nel volume L'utopia eugenetica del welfare state svedese (1934-1975), che abolì la pratica della sterilizzazione preventiva solo nel 1975. Stessa situazione in America dove 27 Stati su 50 adottarono leggi eugenetiche tra gli inizi del Novecento e la fine degli anni Settanta e solo nel 1979 la Virginia, ultima tra tutti, abrogò la legge sulla sterilizzazione forzata. Il Giappone, dove la sterilizzazione a scopo eugenico fu legalizzata nel 1948, attese addirittura il 1996.

La riflessione scientifica su questi temi è ancora viva. Sul finire del Novecento uno dei più brillanti biologi evoluzionisti, William Hamilton, sottolineava come l’assenza della selezione naturale causata dalla medicina moderna favorisse il costante aumento delle mutazioni genetiche. “È solo in anni recenti – sottolinea Fabio Zampieri del dipartimento di scienze cardiologiche, toraciche e vascolari anticipando un contributo di prossima pubblicazione, The impact of modern medicine on human evolution – che si sta iniziando a capire che la medicina in realtà non opera contro la selezione naturale. E dunque si stanno confutando le idee di base sulle quali per lungo tempo si sono fondate le teorie eugenetiche”. Non è vero innanzitutto che l’evoluzione umana abbia subito una battuta d’arresto per la convivenza di individui sani e malati: molti studi dimostrano che in tempi recenti l’evoluzione sta camminando sempre più veloce. Ed errata è anche l’idea che la medicina, mantenendo in vita individui altrimenti destinati a morire o malati, possa causare la degenerazione della costituzione umana: la selezione naturale non è l’eliminazione attraverso la morte, quanto piuttosto un cambiamento attraverso cicli riproduttivi successivi.

“È importante capire poi che la malattia – argomenta Zampieri – non è un deterrente nel processo evolutivo. La selezione naturale non determina caratteri perfetti ma ‘aggiustamenti’, in equilibrio tra costi e benefici. La postura eretta ad esempio, frutto di un processo evolutivo di adattamento, ha portato con sé mal di schiena, ernia del disco, dolori al parto”. Dal punto di vista evoluzionistico non esistono caratteri positivi e caratteri negativi in assoluto. E, last but not least, non va trascurato che nel processo evolutivo non è solo il profilo genetico a incidere, ma anche le variabili ambientali e sociali.  

“Anche se si è dimostrato che le basi scientifiche dell’eugenetica sono errate – conclude Zampieri – e che la medicina moderna dunque non elimina la selezione naturale, questo però non implica che non eserciti la sua influenza”. E gli esempi sono molti. Malattie un tempo mortali, come l’Aids o il diabete, nel tempo sono diventate croniche; l’uso degli antibiotici e della vaccinazione se da un lato hanno ridotto l’incidenza delle malattie infettive, dall’altro hanno reso i germi più virulenti. E ancora, se la disinfezione e l’igiene si sono rivelate importanti per prevenire le infezioni, hanno tuttavia indebolito il sistema immunitario. Ciò tuttavia non significa impedire il processo evolutivo che invece continua a fare il suo corso.

Monica Panetto  

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012