SCIENZA E RICERCA

In Sicilia c'erano degli elefanti nani e abbiamo appena scoperto qual era la loro dieta

Durante il Pleistocene la Sicilia ospitava una fauna paragonabile a quella che oggi caratterizza i grandi ecosistemi africani: elefanti, ippopotami, rinoceronti e numerosi altri mammiferi oggi estinti. Tra i casi più affascinanti troviamo gli elefanti nani, di cui due in particolare hanno abitato l’isola: Palaeoloxodon falconeri, vissuto nel Medio Pleistocene (circa 800.000–400.000 anni fa), e Palaeoloxodon mnaidriensis, presente nella fase successiva del Pleistocene Medio e all’inizio del Pleistocene Superiore (circa 400.000–100.000 anni fa). 

Per ricostruire la loro storia evolutiva, uno studio appena pubblicato, nato dalla collaborazione dell’Università di Padova e dell’Università spagnola di Zaragoza, ha analizzato la dieta di queste specie. L’indagine non solo ha permesso di comprendere più a fondo le abitudini alimentari e, più in generale, comportamentali dei due proboscidati sull’isola, ma ha anche fornito nuove informazioni sulle caratteristiche ambientali di questi luoghi nel corso del Quaternario.

A spiegarne i dettagli a Il Bo Live è Marzia Breda, coautrice dello studio, professoressa di "Evoluzione degli insiemi faunistici del Quaternario" all’Università di Ferrara e conservatrice della Sezione di Zoologia al Museo della Natura e dell’Uomo di Padova.

Due specie, un’unica origine

“Un aspetto particolarmente interessante è che entrambe le specie di elefanti nani siciliani derivano dallo stesso antenato continentale, il Palaeoloxodon antiquus, che aveva dimensioni molto più simili al parente africano che conosciamo oggi, con circa quattro metri di altezza al garrese." spiega Breda "Il Palaeoloxodon raggiunse l’isola in almeno due episodi distinti di colonizzazione. La prima, avvenuta nel Pleistocene medio antico, portò all’evoluzione di Palaeoloxodon falconeriil più piccolo elefante mai esistito: appena un metro di altezza al garrese. Una seconda, nel Pleistocene medio tardo, diede invece origine a Palaeoloxodon mnaidriensis, una specie dalle dimensioni intermedie: decisamente più piccola rispetto a Palaeoloxodon antiquus, ma sensibilmente più grande di Palaeoloxodon falconeri, con circa un metro e ottanta di altezza." 

Ma quale fu la causa di una diminuzione così notevole delle loro dimensioni? La risposta risiede in un fenomeno che porta il nome di nanismo insulare. Quando alcune di queste specie raggiunsero la Sicilia vennero, infatti, sottoposte a condizioni ecologiche peculiari e radicalmente differenti da quelle continentali, sperimentando così processi evolutivi unici. Le risorse limitate, l’assenza spesso di grandi predatori e la necessità di adattarsi a nuovi ecosistemi favorirono allora una riduzione delle dimensioni corporee, sebbene questa regola (the “island rule”) valga tendenzialmente solo per i grandi mammiferiChiarisce, infatti, Breda: “È una regola generale che i grandi mammiferi erbivori nelle isole diminuiscano di dimensione e di contro i piccoli mammiferi erbivori diventino più grandi. Si parla proprio di nanismo e gigantismo insulare. Sono fenomeni studiati da tanti anni e che vengono verificati puntualmente in qualsiasi ambiente insulare che si venga a trovare nel mondo in varie fasi della storia”. 

Questo spiegherebbe anche perchè solamente Palaeoloxodon falconeri diminuì di molto le sue dimensioni, nonostante entrambi gli elefanti fossero sottoposti a condizioni insulari molto simili: “La Sicilia di allora era molto diversa da quella attuale: soprattutto nella fase più antica, che portò all’evoluzione del Palaeoloxodon falconeri, l’isola aveva un’estensione ridotta e presentava due principali aree emerse, una a nord-ovest e una nell’area sud-orientale, in corrispondenza della zona di Noto" continua Breda, "Si trattava quindi, con tutta probabilità, di almeno due isole distinte e indipendenti. In questo contesto, Palaeoloxodon falconeri si ritrovò a essere l’unico grande erbivoro terrestre dell’isola, affiancato soltanto da un numero molto ristretto di altre specie. La fauna locale comprendeva infatti dei ghiri, una specie di crocidura e una di lontra”. Breda specifica inoltre che sull’isola non vi erano predatori, pertanto la riduzione drastica di taglia divenne un vantaggio selettivo. In un ambiente con risorse trofiche limitate essere piccoli significava consumare meno energia e aumentare le probabilità di sopravvivenza.

Sembra, invece, che nell’epoca in cui visse Palaeoloxodon mnaidriensis, la Sicilia fosse caratterizzata da una fauna più eterogenea: nell’isola vivevano infatti anche erbivori di media e grande taglia, come ippopotami, cervi, bisonti e una specie di bovino, un “lontano parente” del Bos primigenius, da cui sono state selezionate le razze domestiche.

Ma c’è un altro fattore ancora più importante: Palaeoloxodon mnaidriensis condivideva il suo habitat anche con grandi carnivori, antenati di lupi, orsi e leoni. Tale condizione impediva all’elefante di trarre un reale vantaggio da una riduzione estrema della taglia, che lo avrebbe reso più vulnerabile alla predazione. 

Studiare i denti per conoscere la dieta (e la storia) di animali estinti

“Considerate le condizioni differenti a cui sono stati sottoposti rispetto all’antenato continentale ci siamo chiesti: cosa mangiavano? La loro alimentazione era simile a quella del Palaeoloxodon antiquus, oppure si era modificata in relazione alle nuove condizioni ambientali? Sappiamo, da numerosi studi, che il loro antenato aveva una dieta piuttosto flessibile" puntualizza Breda, "Era infatti in grado di oscillare da un regime prevalentemente da ‘grazer’ (pascolatore) - basato su erbe e piante erbacee - a un’alimentazione più mista, la cosiddetta ‘mixed feeding’. La nostra ipotesi iniziale era che, soprattutto Palaeoloxodon falconeri, scegliesse una dieta a base di germogli e foglie - tipica degli animali definiti browsers (che brucano) - molto più ricca e nutriente rispetto a quella da grazer, non essendoci alcuna competizione sull’isola, ma non è così.” 

Per studiare di cosa si nutrivano questi animali, i ricercatori hanno sperimentato diverse tecniche, tra cui l’analisi della microusura dentaria. Con il termine “microusura” si indicano le minuscole tracce – vere e proprie “cicatrici” – che si formano sulla superficie occlusale dello smalto dentario, cioè la parte del dente che entra in contatto con il cibo. Durante la masticazione, infatti, lo smalto si consuma lasciando un’impronta delle modalità di alimentazione dell’animale. In questo modo è possibile interpretare i segni lasciati sui denti fossili e dedurre le abitudini alimentari di specie estinte, come nel caso dei due elefanti siciliani.

Breda spiega che la differenza fondamentale tra pascolatori (grazers) e brucatori (browsers) si riflette sui loro denti: i primi, cibandosi di erba, ingeriscono anche particelle di silice presenti nel terreno, che lasciano sottili graffi (scratches) sulla superficie dentaria; i secondi, invece, seguendo una dieta a base di foglie, germogli e frutti, presentano come segno caratteristico piccole cavità (pits).

“Abbiamo fatto un conteggio sistematico di ‘scratches’ e ‘pits’ su porzioni ridotte della superficie dentaria, analizzandone numero, orientamento e dimensioni. Nel caso di Palaeoloxodon falconeriPalaeoloxodon mnaidriensis, la microusura ha evidenziato un segnale tipico dei grazers, suggerendo una dieta fortemente basata su vegetazione erbacea. Tuttavia, questa interpretazione non è immediata. Esistono infatti alcuni fattori che possono influenzare negativamente i risultati” prosegue nella spiegazione Marzia Breda. "Ne è un esempio il fenomeno “last supper” (effetto ultima cena): in questo caso i segni rilevati sui denti riflettono soltanto gli ultimi pasti consumati dall’animale e non rappresentano in modo fedele la dieta seguita nell’arco della sua vita."

I ricercatori hanno quindi deciso di utilizzare un altro sistema, ossia quello della mesousura: uno studio a livello macroscopico rispetto alla microusura. Tramite questa tecnica è possibile analizzare la differenza di altezza tra dentina e smalto, cioè quanto la dentina si consuma rispetto allo smalto: “Questa misura riflette la natura della dieta: negli animali che si nutrono con cibo poco abrasivo prevale l’usura dente-dente, e la differenza di altezza è marcata; negli animali che consumano cibo molto abrasivo, prevale l’usura cibo-dente, e la differenza è minima” continua Breda. Ma se per Palaeoloxodon mnaidriensis i ricercatori sono riusciti a misurare questa differenza attraverso l’utilizzo di un goniometro, per l’elefante nano più piccolo sono dovuti ricorrere ad altre modalità, a causa della dimensione ridotta dei denti.

“Nel caso di Palaeoloxodon falconeri, abbiamo pensato di utilizzare un microscopio confocale, che combina scansione laser e ottica per ottenere un rilievo 3D estremamente preciso della superficie dentale. In questo modo, è stato possibile ‘tagliare’ virtualmente il dente e leggere il profilo della superficie occlusale (smalto-dentina-smalto)." prosegue Breda, entrando nei dettagli, "È una tecnica che abbiamo potuto utilizzare solo sulla specie di piccole dimensioni, infatti si tratta del primo studio di questo tipo realizzato su denti così piccoli, poi ci siamo serviti di un profilometro digitale per verificare se i risultati ottenuti con strumenti diversi fossero confrontabili fra i due elefanti. Il protocollo era laborioso, ma necessario per garantire la massima precisione”.

I risultati hanno mostrato che per entrambe le specie, la mesosura indicava una dieta fortemente abrasiva, tipica degli animali che si nutrono prevalentemente di erba. Questo confermerebbe che non si tratta di un effetto legato agli ultimi pasti degli elefanti nani, ma della dieta abituale che hanno avuto nel corso della loro vita. 

Nonostante le analisi abbiano chiarito molti aspetti, però, la scelta alimentare di questi elefanti continua a sollevare molti dubbi: perché entrambe le specie hanno sviluppato una dieta da pascolatori?

“Nel caso di Palaeoloxodon mnaidriensis l’interpretazione risulta più semplice: questa specie visse all’interno di una fauna più equilibrata, caratterizzata dalla presenza di altri grandi erbivori e anche di predatori. In un simile contesto ecologico, è plausibile che l’elefante si sia adattato a ridurre la competizione alimentare con le altre specie, specializzandosi su una dieta più abrasiva” chiarisce Breda. A rafforzare questa interpretazione vi sarebbe anche il quadro ambientale: nelle fasi finali del Pleistocene medio e all’inizio del Pleistocene superiore, il sud Italia e la Sicilia furono interessati da una progressiva espansione delle praterie e da una parallela riduzione della copertura arborea e arbustiva. È quindi possibile che l’animale abbia adottato una dieta più ricca di erbe a causa dell’ambiente, che metteva effettivamente a disposizione soprattutto questo tipo di vegetazione.

La situazione risulterebbe, invece, differente per quanto riguarda Palaeoloxodon falconeri: “Essendo l’unico grande erbivoro presente in Sicilia durante il Pleistocene medio e non condividendo l’habitat con nessun predatore, la popolazione dell’elefante nano potrebbe aver subito un forte aumento, esercitando una pressione costante sulla vegetazione dell’isola. Date le condizioni, si sarebbe potuto verificare il fenomeno dell’insular woodiness, ossia la tendenza di alcuni tipi di piante ad aumentare la quantità di lignina, una sorta di ‘corsa agli armamenti’ che queste ultime applicano per difendersi quando si trovano sovrasfruttate da parte di erbivori. Questo sarebbe compatibile con i segnali di micro- e mesousura che abbiamo riscontrato”, specifica Breda.

Studiare l’alimentazione degli animali, estinti e non, risulta quindi fondamentale per comprendere non solo la loro biologia e la loro evoluzione, ma anche il funzionamento degli ecosistemi. E le isole, in particolare, possono essere considerate dei veri e propri laboratori naturali per lo studio dell’evoluzione delle specie. Pur occupando meno del 7% delle superfici emerse, custodiscono un patrimonio sorprendente: tra il 15 e il 20% di tutte le specie terrestri conosciute. Capire il funzionamento degli equilibri ecologici può aiutarci nella gestione e conservazione della fauna attuale. Inoltre, studiare la dieta degli animali ci offre indizi preziosi sugli ambienti del passato: “Quando mancano dei resti vegetali diventa essenziale analizzare l’usura dentaria, per capire se una determinata area fosse più simile a una prateria aperta oppure a un ambiente forestale chiuso. E grazie alla dieta possiamo capirlo” conclude Breda. 

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