SCIENZA E RICERCA
Il sonno cattivo può celare l’Alzheimer
Terapia della bambola. È una delle possibili terapie complementari per la cura dell’Alzheimer, considerata anche strumento di riabilitazione per compensare le compromissioni funzionali degenerative. Foto: Dominik Asbach/laif/contrasto
Alla morte di Margaret Thatcher, l'altro giorno, gli organi di informazione in tutto il mondo hanno dato un rilievo eccezionale. E a ragione: piaccia o più probabilmente dispiaccia, la Iron Lady ha cambiato il mondo e anche chi considera tuttora devastanti le conseguenze del thatcherismo non può non riconoscere la determinazione della sua ideatrice nell'imporre i propri orientamenti – una determinazione tanto maggiore, se si pensa che Thatcher non proveniva da quell'ambiente sociale altoborghese, se non aristocratico, che ancora oggi sforna gran parte dei dirigenti britannici. Eppure, soprattutto per i più giovani, che del neoliberismo subiscono i velenosi effetti senza averne potuto vedere l'esordio, l'immagine di colei che governò per oltre dieci anni sul Regno Unito si stempera con la fragile figura cui Meryl Streep ha dato corpo e voce nel film di Phyllida Lloyd dedicato alla “signora di ferro”. La donna che non aveva esitato a stroncare lo sciopero dei minatori inglesi, o a mandare la Royal Navy contro l'Armada Argentina all'indomani della “occupazione” delle Falkland/Malvinas, viveva da anni nel limbo opaco del morbo di Alzheimer. Un paradosso, all'apparenza.
Eppure i risultati di una ricerca scientifica pubblicati su Neurology pochi giorni prima della scomparsa dell'ex premier britannica aggiungono un tassello importante nella comprensione di una malattia oggi tanto diffusa, quanto ancora piuttosto inafferrabile, e al tempo stesso trovano nella biografia di Margaret Thatcher una conferma dolorosa. Sembra infatti, sulla base di un esperimento condotto da un'équipe della Washington University di St Louis su 145 adulti in buona salute, che esista una stretta correlazione fra una cattiva qualità del sonno e il successivo insorgere dell'Alzheimer: i soggetti che hanno mostrato difficoltà nell'addormentarsi, minore durata del sonno notturno e maggiore frequenza di pisolini diurni, sono anche quelli il cui liquido cerebro-spinale ha rivelato una più elevata predisposizione all'Alzheimer. Un articolo uscito sul magazine americano Prevention chiarisce infatti che “nel cervello di chi soffre della malattia sono presenti piccole placche amiloidi che possono comparire addirittura vent'anni prima che cominci il declino cognitivo e che sembrano interferire con le funzioni neuronali necessarie per un sonno sano e ristoratore”. Non solo: la neurologa Yo-El Ju, tra gli autori dell'esperimento, aggiunge che, a quanto pare, dormire male favorisce l'aumento delle placche.
È necessario a questo punto ricordare che Margaret Thatcher, ai tempi della sua gloria, si vantava di dormire pochissimo, appena quattro ore per notte? E che addirittura (come ha rivelato anni dopo la sua assistente, Cynthia Crawford) per tre mesi, tanto durò la crisi delle Falkand, non andò mai a dormire, limitandosi a dei minuscoli zizz, come lei stessa amava definire i sonnellini di una ventina di minuti nei quali recuperava le energie indebolite? Evidentemente no, anche se è curioso rilevare come non più di un anno e mezzo fa sul Daily Mail sia stato affibbiato proprio il nome di Thatcher al gene ABCC9 grazie al quale – questo almeno sostiene il popolare quotidiano britannico sulla base di uno studio scientifico firmato da Karla Allebrandt, dell'università Ludwig Maximilians di Monaco – ci sono persone che dormono molto meno di altre. Così come è curioso, e vagamente malinconico, che il quarantesimo presidente degli Stati uniti, Ronald Reagan, scomparso nel 2004 a 93 anni, abbia condiviso con la “signora di ferro”, oltre a una fiducia cieca nel neoliberismo e a una sincera amicizia, anche la propensione per i pisolini diurni e (di conseguenza?) l'Alzheimer.
Difficile, in realtà, trarre conclusioni certe, essendo la medicina una scienza fondamentalmente probabilistica. Certo, non si corrono rischi nel dire che un buon sonno fa bene e probabilmente aiuta a ridurre il rischio di Alzheimer. Ma chi dorme poco si rincuorerà nel sapere che Rita Levi Montalcini, morta a 103 anni in stato di piena lucidità, non ha mai superato le cinque ore di sonno.
Maria Teresa Carbone