“Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”. Lo diceva Joseph Gobbels, ministro della Propaganda del Terzo Reich, ed è quello che spesso succede quando una dichiarazione falsa o un semplice interrogativo ripetuto più e più volte e rimbalzato da un media all’altro, finisce per trasformarsi in realtà consolidata capace di confondere le idee di chi ascolta e svuotarle a poco a poco di senso critico e obiettività. E il tema dell’immigrazione in questi anni in Italia, più di altri, è stato spesso usato come pretesto per portare all’attenzione pubblica una questione piuttosto che un’altra, un partito o un politico rispetto ad un altro, alimentando le paure e i pregiudizi (non sempre fondati) dei cittadini.
Per capire e conoscere di più la grande ‘questione immigrazione’ è importante partire dai numeri che possono realmente contribuire a fornire una visione obiettiva del fenomeno circoscrivendo i confini di parole come ‘emergenza’ e ‘invasione’ (usate spesso in Italia quando si parla di questo tema) e che portano necessariamente verso precise direzioni.
Ma i numeri raccontano realmente di invasioni ed emergenze quando si parla di stranieri in Italia? Secondo il ministero dell’Interno i migranti sbarcati in Italia nel 2016 sono stati 118.000, nel 2017 119.000, nei primi sei mesi del 2018 circa 14.000.
I rifugiati invece, coloro cioè che hanno ricevuto risposta positiva alla richiesta di protezione, secondo le stime dell’Unhcr, in Italia nel 2016 (considerato il periodo della ‘piena crisi dell’immigrazione’) erano 131.000; un dato che, se confrontato con quello di altri Paesi, rivela come da noi la percentuale di rifugiati sia in realtà molto contenuta. In Svezia, ad esempio, dove la popolazione è circa un sesto di quella italiana (10 milioni) i rifugiati sono 186.000 (il 50% in più che nel nostro Paese), in Germania invece per 82 milioni di abitanti sono quasi 480.000, quasi 4 volte quelli presenti in Italia.
Il mondo delle notizie false o delle ‘notizie assenti’ legate all’immigrazione è vasto e variegato e questo anche perché gli aspetti che questo fenomeno intercetta sono delicati e molto cari ai più: lavoro, diritti, sicurezza, economia.
Sono molti gli stereotipi legati agli stranieri: ‘rubano il lavoro agli italiani’, ‘portano criminalità’, ‘diffondono malattie’, ‘guadagnano 35 euro al giorno senza far nulla’ e così via.
“Uno dei problemi del raccontare l’immigrazione - spiega Sabika Shah Povia, giornalista ed esperta di fenomeni migratori -, è che spesso si parla dell’immigrazione come se fosse un fenomeno che inizia nel momento in cui queste persone arrivano in Italia, o quando attraversano il Mediterraneo, senza parlare mai dei loro paesi di origine. Secondo i dati dell’anno scorso raccolti nel rapporto dell’associazione Carta di Roma, tra i primi Paesi per numero di arrivi di minori non accompagnati, c’era il Gambia di cui nella stampa non si è praticamente mai parlato e così anche per la Costa d’Avorio e la Somalia, Paesi da cui arrivano la maggioranza dei migranti. Di queste aree si sa pochissimo, se non nulla, perché i media non ne parlano; non si conoscono le religioni, le politiche, il contesto, l’ambiente, le usanze, la geografia, di questi Paesi e di conseguenza delle persone che qui vivono e che da qui scappano”.
Su questo tema così complesso, da sempre al centro dei dibattiti dei vari governi del nostro Paese, sono molti i proclami, le promesse e le proposte con cui il neoeletto ministro dell’Interno proprio in questi giorni ha promesso di voler intervenire. Quello che emerge dalle sue dichiarazione è la volontà di tagliare i costi, nello specifico cinque miliardi di euro destinati ad oggi all’accoglienza, assistenza, formazione e soccorso in mare, ma anche di lavorare su nuovi accordi per far rientrare al proprio paese d’origine chi non abbia ottenuto lo status di rifugiato politico.