SCIENZA E RICERCA

30 anni fa il primo trapianto di cuore in Italia

Quella notte di trent’anni fa, tra il 13 e il 14 novembre 1985, un cuore si arrestò, il tempo tra due battiti si dilatò da pochi istanti a ore, prima di tornare a battere nel petto di un’altra persona. Chissà se ci pensava alle tre del mattino Vincenzo Maria Gallucci, cardiochirurgo e professore universitario, mentre la Mercedes grigia sui cui era a bordo sfrecciava sulla tangenziale di Mestre. Insieme a lui i collaboratori Giovanni Stellin e Giuseppe Faggian, sulle ginocchia la borsa termica con il cuore di Francesco Busnello, un diciottenne trevigiano appena deceduto per un incidente stradale. Venivano dall’ospedale di Treviso, dove era stato fatto l’espianto, e ad aspettarli nel reparto di cardiochirurgia di Padova c’era il torace già aperto di Ilario Lazzari, un falegname di Vigonovo affetto da una grave forma di miocardiopatia dilatatoria.

I tre sulla macchina sapevano che quello era un momento storico, che in qualche minuto avrebbero tentato il primo trapianto di cuore in Italia. Probabilmente però in quel momento non ci pensavano: forse anche per loro il tempo era congelato, nell’infinito istante tra due pulsazioni. Il giorno dopo, alle sei del mattino, ad attenderli fuori dalla sala operatoria c’era tutta Italia. Avevano appena ridato vita e speranza a un uomo e a tanti altri malati, che da allora non sarebbero stati più costretti ai “viaggi della speranza” oltreoceano. Un passaggio importante anche per il Paese, che in quel momento mirava a tornare nel gruppo dei grandi anche dal punto di vista medico e scientifico. Per Padova infine si trattava della definitiva consacrazione di una lunga tradizione, con l’affermazione della scuola di cardiochirurgia come punto di riferimento a livello nazionale e internazionale.

Oggi, a 30 anni da quella notte, alla memoria di Gallucci è intitolato il Centro di cardiochirurgia dell’azienda ospedaliera/università di Padova. Purtroppo alcuni dei protagonisti di allora non sono più tra noi: poco più di cinque anni dopo, nel gennaio del 1991, quella stessa macchina grigia sarebbe finita addosso al guardarail uccidendo il cardiochirurgo, ancora una volta di ritorno con i suoi collaboratori da un complicato intervento. Un anno più tardi sarebbe stata la volta di Lazzari. Anche per ricordarli, assieme alle centinaia di altri medici, infermieri e malati che hanno attraversato la storia della cardiochirurgia padovana, l’Università e l’Azienda Ospedaliera di Padova organizzano il 13 novembre 2015, a partire dalle 8.30 nell’aula magna del Bo, la giornata internazionale Dal cuore umano al cuore meccanico.

Proprio l’impianto di cuori meccanici di nuova generazione costituisce infatti una delle frontiere della moderna cardiochirurgia: “Oggi il numero di cuori disponibili per trapianto è fortemente diminuito, pur essendo l’Italia ai primi posti in Europa come numero di donatori per milione  di abitanti – spiega Gino Gerosa, direttore del Centro di Cardiochirurgia “V. Gallucci” e docente presso l’Università di Padova –. Nel 1985 l’età media dei donatori era inferiore ai 20 anni, oggi supera i 45 anni. Questo per molte ragioni, in primo luogo la legge sull’uso obbligatorio del casco. Il donatore oggi è un 50/60 enne che va incontro a morte cerebrale per una emorragia o ischemia cerebrale. Fattori di rischio per eventi di questo tipo possono essere il diabete e l’ipertensione, che purtroppo incidono sfavorevolmente, assieme all’età, anche sulla qualità dell’organo donato”. 

Per questo negli ultimi anni la ricerca ha sviluppato organi artificiali come i VAD (sistemi di assistenza monoventricolari) o il cuore artificiale totale. Un settore in cui ancora una volta la scuola di Padova si è messa in luce negli ultimi anni: il team di cardiochirurghi diretti da Gerosa ha infatti eseguito il primo impianto in Italia di cuore artificiale totale nel 2007, a cui ha fatto seguito nel 2015 il primo impianto nel nostro Paese, e primo al mondo per un paziente già trapiantato, di un modello più piccolo (50 cc invece di 70) pensato soprattutto per i giovani e per le donne. La scienza intanto va avanti: “Oggi i cuori artificiali sono prodotti negli Stati Uniti: il sogno è di riuscire a sviluppare un cuore artificiale completamente italiano. Per adesso, con un milione di euro forniti dalla Fondazione Cariparo, siamo già riusciti a mettere a punto un modello di attuatore: il motore di sistema che fa funzionare l’apparecchio”. Il problema sono i finanziamenti: “Quanto servirebbe? Diciamo almeno 50 milioni. Tenete conto che i francesi, per costruire un loro cuore artificiale, hanno a disposizione finanziamenti estremamente più ingenti”. Senza perdere di vista prospettive ancora più futuribili: “Stiamo anche studiando come decellularizzare il cuore, in modo da ripopolarlo con le cellule staminali del potenziale ricevente”.

L’avanzamento della ricerca non deve comunque far dimenticare l’aspetto umano. Per questo sempre il 13 novembre sarà presentato L’altro Cuore, un libro edito da Padova University Press scritto da Gerosa in collaborazione con i medici, i tecnici e gli infermieri del Centro Gallucci. Un volume che racconta le vite professionali e le storie dei pazienti e che vuole coniugare rigore scientifico ed empatia, descrivendo non solo le diverse tecniche chirurgiche, ma anche i momenti di bellezza e di difficoltà di un confronto quotidiano con la sofferenza e la speranza. “L’altro cuore è, infatti, non solo il cuore malato che deve essere riparato o sostituito, ma anche il cuore di chi si prende cura degli altri – conclude Gerosa –. Un cuore che deve essere sempre pronto a rispondere alle attese dei più deboli”.

 

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