SOCIETÀ

I 50 anni dalla nascita delle Brigate Rosse

Sono passati 50 anni dalla nascita di un'organizzazione che inevitabilmente ha segnato la storia dell'Italia. Mezzo secolo dalla nascita delle Brigate Rosse. Delle BR si sa molto, Mario Moretti stesso, cioè il capo storico dell’organizzazione, diceva che “si sa tutto”. Noi però sappiamo che proprio tutto non si sa, quindi è bene analizzare quel era il contesto in cui sono nati questi gruppi armati, sia italiano che internazionale.

Il mondo 50 anni fa era ben diverso dall’attuale, ma a guardar bene si possono trovare anche alcune analogie. Per capire qual era l’humus in cui sono nate e poi si sono sviluppate le Brigate Rosse abbiamo intervistato la dott.ssa Chiara Zampieri, laureata all’Università di Padova, già collaboratrice del Centro di Ateneo per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea dell’Università di Padova ed esperta della materia.

Dott.ssa Zampieri, come stava l’Italia in quel periodo?

Se mi consente partirei da una premessa riguardo proprio la cronologia del terrorismo, per capire di che periodo specifico stiamo parlando. Il terrorismo italiano occupa una lunga stagione della storia del nostro Paese, è uno dei fenomeni più duraturi. Il punto di partenza di questa stagione è notoriamente 12 dicembre del 1969 con la strage di Piazza Fontana, poi sarebbe durato per circa un quindicennio, cioè fino ai primi anni ‘80 e fino a quello che inizia ad essere un declino definitivo, cioè il 1982/83. Noi ci soffermeremo sulla prima fase, gli studiosi infatti tendono a distinguere due fasi di questa lunga stagione: la prima quella tra ‘69/’74, e poi una seconda dal ‘77/’78 fino ai primi anni '80. Questa prima fase, tra i primi anni ‘70, è una fase di grande movimento per il nostro Paese. Partendo proprio dall’Italia si può dire che è una fase che assurge a simbolo il movimento del ’68 e i movimenti operai del ’69, in cui si affacciano sulla scena pubblica anche queste prime generazioni che vengono chiamate baby boom generation, cioè una nuova leva di giovani che non ha vissuto direttamente la guerra e che quindi conosce il benessere della ricostruzione post bellica e poi dell'effettivo boom economico con la nascita della società dei consumi.

Gli anni sessanta insomma sono anni di grandi trasformazioni, che porteranno poi davvero un cambiamento anche sotto il profilo sociale e culturale del Paese. Tra l'altro ci sono cambiamenti anche delle migrazioni interne, che sono un fenomeno dalle dimensioni enormi: dal sud al nord, dalla campagna alla città, cambiamenti che avrebbero davvero mutato la fisionomia del Paese. Tutto questo comporta anche inevitabilmente degli squilibri, i cui effetti si sarebbero cominciati a vedere proprio dalla fine degli anni '60 e l’inizio degli anni ’70. Uno su tutti, visto che parlavo della contestazione giovanile, è proprio il fatto che la scolarizzazione di massa e l'accesso di massa alle università trova il sistema scolastico, ma soprattutto direi quello accademico, impreparati a questi cambiamenti. Oltre a questo naturalmente c'è un sistema economico che negli anni '60 conosce una vera e propria modernizzazione, ma che sul finire del decennio inizia ad accusare alcuni segnali di rallentamento. A questo si sommeranno, nei primi anni ‘70, gli effetti della crisi petrolifera scatenata dalla guerra dello Yom Kippur del ’73.

Gli anni sessanta sono anni di grandi trasformazioni che porteranno poi davvero un cambiamento anche sotto il profilo sociale e culturale del Paese

Dott.ssa Zampieri noi abbiamo fatto un quadro dell'Italia di quel periodo. Le Brigate Rosse però avevano anche dei riferimenti internazionali molto forti, i guerriglieri sudamericani in primis. Quali erano e in che modo si legavano a loro?

È assolutamente una domanda pertinente e qui mi ricollego per una chiosa sul quadro internazionale. Ricordo che siamo negli anni della distensione internazionale, quindi di una nuova fase di dialogo, di rilassamento delle tensioni tra i due blocchi contrapposti: Unione Sovietica e Stati Uniti. Sul piano dell'America latina invece va detto che ovviamente negli anni '50 e '60 il continente è teatro di continui rivolgimenti, con sistemi democratici molto deboli, dittature e golpe militari. È proprio in questo quadro che nascono alcuni gruppi rivoluzionari dai quali effettivamente le Brigate Rosse prenderanno una sorta di esempio, non solo dal punto di vista strettamente ideologico, perché spesso sono movimenti di ispirazione marxista che prendono a modello la rivoluzione cubana ad esempio, ma anche dal punto di vista proprio operativo. In particolare le Brigate Rosse assumono come riferimento i tupamaros dell'Uruguay, i quali in realtà nacquero in supporto alle esigenze della popolazione più povera, quasi comportandosi come una sorta di Robin Hood, ma poi si sarebbero evoluti in un'organizzazione armata, centralizzata, segreta ed organizzata in colonne, colonne che noi ritroviamo poi puntualmente nell'organizzazione brigatista.

L'altro modello sicuramente che viene letto e imparato è quello proposto da Carlos Marighella che invece era un rivoluzionario brasiliano che di fatto adotta lotta armata dopo il colpo di stato in Brasile. Il suo il suo libro “Piccolo manuale della guerriglia urbana” è stato uno dei libri più letti e diffusi negli ambienti dei terroristi di sinistra, questo proprio per le indicazioni tecniche. La vera cosa distintiva, rispetto per esempio ai canoni della rivoluzione cubana, è che qui si parlava appunto di guerriglia e anche guerriglia in contesti urbani e quindi in effetti questi sarebbero stati più adatti alla società occidentale, come quella che poteva essere quella italiana. Tra l'altro, nota interessante, è che questi gruppi rivoluzionari dell'America latina, e io ho citato solamente tupamaros e poi il caso brasiliano, ma ci sarebbero anche i Montoneros argentini, cercano di creare una rete transnazionale, mettendosi anche in collegamento con il mondo occidentale. Una persona che promuoverà questo dialogo internazionale tra gruppi rivoluzionari è proprio Giangiacomo Feltrinelli. Questi gruppi avevano proprio una rivista che verrà diffusa poi da Feltrinelli in italia.

Dott.ssa Zampieri su Feltrinelli ci torniamo dopo perché è sicuramente una figura importante da approfondire, anche per capire come erano i legami tra lui e le Brigate Rosse. Torniamo però al contesto italiano. Come ha detto lei quegli anni erano anni di grandi movimenti studenteschi, il ‘68 in primis: quali erano i collegamenti fra le Brigate Rosse e la piazza?

Sicuramente questo è uno dei temi più dibattuti dal punto di vista del dibattito scientifico. Questo poi è un tema che naturalmente risente anche in qualche modo del dibattito più politico e culturale, cioè se il terrorismo è figlio del ‘68 o no. Io ritengo semplicemente che il movimento della contestazione del ‘68 sia una cornice ineludibile per comprendere almeno l'evoluzione di questi gruppi, perché effettivamente dagli studi che ci sono stati restituiti si mostra come effettivamente alcuni repertori di azione della mobilitazione studentesca del ‘68 abbiano familiarizzato con alcune frange giovanili con l'uso della violenza, anche sistematico, con l'utilizzo per esempio dei servizi d'ordine nel corso delle manifestazioni o l'utilizzo anche delle molotov o delle sassaiole. Sono tutte cose che in qualche modo familiarizzano e contribuiscono a radicalizzare alcune frange.

Detto questo che il terrorismo, e le Brigate Rosse in particolare, siano uno sbocco inevitabile del ‘68 ecco questo no, assolutamente no e mi sento di respingerla come lettura. Di certo è uno degli elementi del contesto che contribuiscono a portare effettivamente a quella radicalizzazione, anche perché queste frange avranno una certo seguito all'interno dei movimenti, e lo ricordiamo poi anche nell'ambito operaio perché poi la peculiarità italiana è anche quella della saldatura, se non altro per un certo periodo, tra le lotte studentesche e quelle operaie, ed è in questo spazio che questi gruppi effettivamente si evolveranno.

Dottoressa Zampieri: come si sono evoluti e come sono nati questi gruppi? Qual è stato il cambiamento da manifestazioni ad organizzazioni? Naturalmente, come ha detto lei, non tutta la piazza si è radicalizzata, però c'è stato un fatto che ha trasformato la storia?

Naturalmente conosciamo quali sono i momenti organizzativi chiave e sappiamo che esisteva un collettivo politico metropolitano nell'area di Milano, fondato da Renato Curcio. Il gruppo di Renato Curcio, proveniente dalla facoltà di sociologia di Trento, si salderà ad un certo punto con il gruppo cosiddetto “dell'appartamento” di Franceschini, che erano ex iscritti al partito comunista. Nel novembre ‘69 poi, abbiamo una riunione del collettivo a Chiavari, che poi avrebbe portato nel ‘70 a quello che sono le Brigate Rosse, fondamentalmente con l'incontro di Pecorile, in particolare nell'agosto del ’70. Questi sono i passaggi chiave. Nella seconda metà del ‘70 girano i primi volantini firmati BR, però è ovvio che poi gli elementi, gli eventi e i fatti che contribuiscono a questa radicalizzazione sono vari, non ce n'è uno solo. È bene parlare più che altro di cause, più che di fatti. Innanzitutto il movimento del ‘68 è uno degli elementi che vanno tenuti in considerazione, soprattutto l'autunno caldo del ‘69, ma non l'autunno caldo nel senso della mobilitazione operaia, ma è la riflessione sugli esiti di questo autunno caldo che porta una radicalizzazione. Come hanno già sottolineato Angelo Ventura, storico dell'università di Padova o anche Gabriele Donato, Guido Panvini, di fatto questi gruppi, che avevano trovato un certo seguito nelle lotte radicali degli operai, ad un certo punto vengono emarginati perché effettivamente i sindacati riescono a riprendere in mano la guida di queste lotte, e ottengono alcune conquiste come il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici e soprattutto lo statuto dei lavoratori nel ’70.

È così che questi gruppi più radicali si trovano in qualche modo isolati ed emerge chiaramente come il fatto di sentirsi isolati e frustrati, di non aver visto la situazione della mobilitazione non sfociare nella rivoluzione tanto voluta, abbia portato poi ad una scelta di radicalizzazione, "la rivoluzione non è scoppiata la facciamo scoppiare". L'altro passaggio cruciale ovviamente è Piazza Fontana e in generale l'escalation del terrorismo di destra. Anche in questo caso c'è un dibattito su quanto ha contato Piazza Fontana nella scelta armata, nella scelta della violenza come risposta. In realtà questo è un elemento che si assomma a una scelta già fatta in precedenza, quella di usare la violenza come metodo di lotta politica. Piazza Fontana non fa che confermare, consolidare e radicalizzare questa scelta, perché si sente davvero il pericolo della svolta autoritaria, la sterzata a destra e il pericolo del fascismo. Però effettivamente il dibattito su questa scelta, e i documenti lo mostrano in modo abbastanza chiaro, c'era già prima ed è una violenza più che difensiva, offensiva.

Dottoressa Zampieri, è proprio su questo che vorrei tornare perché ci sono stati anche degli altri gruppi armati sempre di sinistra, e qui torniamo a Giangiacomo Feltrinelli, che avevano una visione difensiva della lotta armata, come se fosse, e mi redarguisca se sbaglio, una continuazione delle lotte partigiane. È veramente così? e quali erano i collegamenti fra queste due organizzazioni

La figura di Feltrinelli è abbastanza controversa e curiosamente non ci sono degli studi specifici e sistematici su questa figura. È tutta la sua attività, oltre che editoriale notoriamente anche politica e culturale e per certi versi criminale, da approfondire. In sostanza Feltrinelli effettivamente è legato ed è il promotore dei GAP, i Gruppi di Azione Partigiana, evidentemente richiamando l'esperienza della lotta di liberazione contro il nazifascismo. Anche operativamente propone un modello di lotta armata proprio centrato su quell’esperienza e non a caso lui ha anche promosso alcuni tentativi in Sardegna o anche alcune azioni ed esercitazioni di addestramento di gruppi sulle montagne nel nord Italia. Il modello quindi è proprio quello resistenziale. Definire però una violenza difensiva quella proposta da Feltrinelli, ecco qui sono un po’ più dubbiosa, nel momento in cui effettivamente le sue prime teorizzazioni e anche i suoi primi tentativi pratici, e penso all'esperienza appunto sarda, risalgono a prima di Piazza Fontana.

È vero che c'era comunque un clima che faceva temere un colpo di Stato, in Italia c'era lo spauracchio della dittatura greca dei colonnelli che era stata istituita nel ‘67 con un colpo di stato, però diciamo che non c'era stato un fatto come quello di Piazza Fontana a far reagire Feltrinelli. Direi più che altro una mossa preventiva la sua, più che difensiva. Detto questo è vero che anche che lui, profondamente convinto che il teatro della battaglia rivoluzionaria fosse il terzo mondo più che il contesto delle metropoli del mondo occidentale, è stato fermamente convinto sulla battaglia rivoluzionaria.

Proprio qui nasce, come dire, una divergenza di vedute, nel senso che le Brigate Rosse sono invece sempre state più fermamente convinte che la battaglia andasse combattuta nel contesto urbano, nelle fabbriche e, nello specifico, più che legate al tema dell'antifascismo le Brigate Rosse, soprattutto nella prima fase, erano legate alla lotta contro il riformismo, cioè contro la negoziazione dei sindacati e del partito comunista.

Dottoressa Zampieri arriviamo ora al contesto accademico. Molti personaggi di spicco tra i capi storici delle BR escono dall’ambiente della facoltà di sociologia dell'università di Trento. L'università ha avuto un ruolo solo culturale oppure anche politico per le Brigate Rosse?

Questa è una domanda molto interessante e fra l'altro, posta in questa chiave ha avuto pochi studi che si sono posti il problema in modo sistematico. Qualcuno ha approfondito alcuni casi locali o ha dato qualche chiave interpretativa, però non c'è uno studio sistematico su questo tema che, secondo me, è fondamentale. L'università effettivamente, proprio con l'esempio di Curcio, ma così come ci sarebbero tanti altri o anche figure che non solo da studenti ma anche di docenti hanno ricoperto ruoli nelle BR o in Potere Operaio o in altre organizzazioni, pone un problema effettivamente anche di produzione di un certo tipo di pensiero, o di come questo tipo di figure sono emerse nell'ambito accademico. Questo è un tema che sicuramente andrebbe sviluppato in più direzioni, quello che si può dire sulla relazione tra università e Brigate Rosse, e più in generale gruppi di estrema sinistra di tipo armato, è che ovviamente l'università era un bacino di reclutamento importante. Questo per l'ovvia ragione della contestazione studentesca che aveva creato come dire anche quell’humus, quel clima culturale, politico e anche ideologico che ne faceva un buon serbatoio dove gettare l'amo. Per quanto riguarda Padova è uscito un recente saggio di Alba Lazzaretto all'interno di un volume curato da Valentine Lomellini su questo tema, proprio sulla reazione del senato accademico padovano a fronte dell’escalation del terrore e delle azioni violente.

C'è stata però una sorta di inerzia per una lunga fase dal punto di vista accademico, e questo inevitabilmente può aver contribuito al fatto che si sia lasciato fare, e che questo abbia rafforzato i gruppi estremisti. Io ho presente però il caso padovano, in cui è l'università che è stata anch'essa bersaglio del terrorismo. Alcuni docenti si sono spesi nel tentare di contrastare il clima di violenze seminato da alcuni gruppi, specialmente in questo caso della galassia di Autonomia Operaia, e hanno come dire pagato loro stessi, rimanendo vittima di attentati, di aggressioni, di intimidazioni. Insomma il tema dell'università è assolutamente complesso perché va visto in almeno queste quattro angolature: quello di fucina di un certo tipo di idee, luogo di reclutamento, ma anche poi quello di reazione dell'università ed infine l'essere vittima essa stessa della contestazione, prima legittima e poi illegittima.

Lei ha citato Padova. Padova è stata un centro importante, e fino adesso noi abbiamo parlato dell'inizio delle Brigate Rosse quindi gli anni ’70. Ma a Padova ci sono state anche le prime due vittime, due militanti dell’MSI, e stiamo parlando del 1974. Facciamo quindi un passo in avanti, arriviamo al ’74: qual era la situazione padovana? Non esistevano solo le BR

Proprio Padova è sempre stata un'osservata speciale, nel senso che anche a detta del ministro dell'Interno di fine anni ’70, in questo caso Rognoni, Padova era crocevia fondamentalmente di vari fenomeni violenti ed eversivi. Non solo di sinistra però, perché abbiamo Franco Freda, uno degli ideatori della strage di Piazza Fontana che era un padovano, Giovanni Ventura, il suo complice che era anch'esso della provincia di Padova, la stessa bomba di Piazza Fontana sembrerebbe essere stata confezionata appunto a Padova, ed è qui che viene in qualche modo anche avviata a quella escalation che porterà a Piazza Fontana con la prima bomba posta sotto la casa del questore di Padova, addirittura nel ’68. C'è poi la galassia dei gruppi di sinistra, ho citato prima Potere Operaio che è la prima organizzazione ad avere una grande insediamento nella città, in particolare nelle università, ma direi pure nelle sue diramazioni, specialmente poi nella fase successiva, quando diventerà sostanzialmente Autonomia Operaia, con i suoi collettivi all'interno delle scuole. Anche le scuole infatti erano i luoghi nevralgici per il reclutamento e l'indottrinamento, per poi avere anche cosìddette basi rosse, che è un richiamo un po’ maoista, nell'università. A questo si associano poi la presenza delle Brigate Rosse, perché a partire dal ‘73 soprattutto si costituisce una colonna veneta, e dalì il duplice omicidio di Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola nella sede del MSI, che sarà appunto opera delle Brigate Rosse.

Ma direi che la fase di escalation maggiore è quella che si colloca tra il ‘77 e il ’79, che conta più di 700 atti di violenza denunciati in quel triennio e che vede attivi soprattutto i gruppi gravitanti attorno ad Autonomia Operaia e altri gruppi, come il Fronte Comunista Combattente e i Comitati Comunisti Rivoluzionari. Tanto per fare alcuni esempi, visto che li citavo prima, è qui che cominciano le gambizzazioni. La prima è del ‘77 ai danni di un giornalista del Gazzettino, Antonio Garzotto, e poi abbiamo le gambizzazioni o le aggressioni violente dei docenti universitari, e quindi si parte dal ‘78 con il professor Ezio Riondato (gambizzato mentre il 22 aprile 1978 si recava a lezione al Liviano ndr), poi ci sono le aggressioni nel marzo ‘79 a Guido Petter ed a Oddone Longo e poi ovviamente quella di Angelo Ventura avvenuta il 26 settembre 1979.

La ricordo non solo perché tra l'altro Ventura riuscì a mettere in fuga i suoi assalitori perché era armato a sua volta, tanto per dare l'idea del clima che c’era in quel periodo, ma perché dopo di ciò il Presidente della Repubblica Sandro Pertini decise di venire a Padova per l'inaugurazione dell'Anno Accademico del 1980, un fatto molto significativo.

A partire proprio dal 1979 poi ricomincia una campagna in Veneto delle Brigate Rosse, della nuovamente ricostituita colonna veneta e qui ci saranno gli episodi di Sergio Gori, il caso del commissario Alfredo Albanese e il sequestro dell'ingegner Taliercio, episodi che gravitano insomma sul petrolchimico di Marghera.

Dottoressa Zampieri, in questa lunga chiacchierata abbiamo capito qual era il contesto italiano e in quale contesto internazionale sono nate le Brigate Rosse. Ora le faccio la domanda probabilmente più difficile di tutte: era prevedibile un terrorismo di questo tipo?

Sicuramente è molto difficile come domanda. Ci sono diversi studiosi che si sono domandati la stessa cosa e fondamentalmente io mi appoggio a loro ed aderisco completamente sulla visione prevalente, che è quella che non era prevedibile in generale quell'ondata perché, non ne abbiamo parlato, ma il terrorismo italiano rientra in un'ondata complessiva di terrorismi nel mondo occidentale, in Europa e non solo. Il caso italiano stesso viene considerato imprevedibile e, tra i vari terrorismi, è un caso molto rilevante e peculiare. Detto questo certo c'è un analisi di tutte le condizioni e analizzare il contesto sicuramente aiuta a comprendere il fenomeno, però che queste condizioni dovessero portare inevitabilmente a questo attacco allo Stato e alle sue istituzioni ecco, non mi sentirei di dirlo.

Dottoressa Zampieri, la reazione dello Stato qua è stata?

Lo Stato italiano va detto che per un lungo periodo è stato sostanzialmente fermo nella reazione a questo fenomeno sia per quanto riguarda il terrorismo di destra, che peraltro rappresentava l'emergenza maggiore, e sia per quanto riguarda quello di sinistra, nel senso che all'inizio anche le stesse Brigate Rosse erano considerate alla stregua di un gruppo criminale ma non con la specificità di un gruppo terroristico. Solamente a partire dal ‘74, ed in particolare proprio con il sequestro del giudice Mario Sossi, che è l'azione più di maggiore rilevanza, che a quel punto viene istituito un nucleo dei carabinieri comandato dal generale Carlo Alberto dalla Chiesa che, grazie a un'efficace opera investigativa anche di infiltrazione, riesce nell'arco di alcuni mesi ad arrestare i principali capi delle Brigate Rosse. Il gruppo viene praticamente decimato se non fosse che poi alcuni rimarranno liberi e quindi riusciranno ricostituire i nuovi gruppi.

A proposito della reazione degli apparati dello Stato al terrorismo (e in particolare della magistratura, che avrebbe avuto un ruolo cruciale soprattutto nella seconda fase), segnalo il volume curato da Carlo Fumian e Angelo Ventrone, intitolato "Il terrorismo di destra e di sinistra: Storici e magistrati a confronto", che contiene gli atti di due convegni che si sono svolti proprio all'università di Padova, su questi temi.

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