SOCIETÀ

54° Rapporto Censis: l'Italia si divide sul lavoro

Entrare nell’ultima fase del 2020 comporta cercare di trarre un bilancio da un anno che ha scombussolato l’intero mondo. La pandemia ci ha fatti riscoprire più fragili, fortemente più sedentari e più precari. Il Censis nel suo "54° Rapporto Annuale sulla situazione del Paese" ha analizzato tutti gli aspetti della società italiana in un anno unico.

L’Italia già nel 2019 era visto come un paese diviso, stressato e pessimista. La divisione ora è una frattura evidente che necessita di essere ricomposta con accorgimenti difficili ma necessari. La divisione fondamentale ora è lavorativa tra garantiti e non garantiti. I garantiti assoluti sono i 3,2 milioni di dipendenti pubblici ed i 16 milioni di pensionati, il resto dei cittadini sta vivendo una situazione di incertezza. L’insicurezza per quanto riguarda il posto di lavoro è percepita dal “53,7% degli occupati nelle piccole imprese” e dal “28,6% degli addetti delle grandi aziende”. Ci sono poi i milioni di lavoratori che di fatto sono scomparsi. La stima del Censis, e non può essere altro che una stima, è quella di “circa 5 milioni di persone che hanno finito per inabissarsi senza fare rumore”, inabissarsi significa che prima basavano il loro reddito su “lavoretti nei servizi o lavoro nero”. 

La pandemia ci ha fatti riscoprire più fragili, fortemente più sedentari e più precari

I "vulnerati inattesi"

Infine ci sono interi settori che per forza di cose sono stati maggiormente colpiti dalle restrizioni attuate per contenere l’epidemia. Stiamo parlando di quelli che il Censis chiama “vulnerati inattesi”, cioè gli imprenditori dei settori della ristorazione, i commercianti, gli artigiani, e i professionisti rimasti quasi senza incassi e fatturati. 

I lavoratori autonomi

Anche il lavoro autonomo non sembra salvarsi ed il pessimistico rapporto Censis mette in luce come “solo il 23% ha continuato a percepire gli stessi redditi familiari di prima del Covid-19”. C’è poi l’aspetto economico, in un Paese che storicamente tende al risparmio. Nel 2019 infatti, secondo un’indagine del sindacato bancario Fabi, i risparmi degli italiani erano cresciuti di 45 miliardi di euro, arrivando così a 4.445 miliardi.

Italiani buoni risparmiatori

La pandemia sembra aver accelerato la corsa al “cash”. In una cornice in cui, si legge nel report “il Pil è crollato in termini reali del 18% rispetto all’anno scorso, gli investimenti del 22,6%, i consumi delle famiglie del 19,1% e l’export del 33%”, “nel giugno 2020 la liquidità (monete, biglietti e depositi a vista) nel portafoglio finanziario degli italiani ha registrato un incremento di ben 41,6 miliardi di euro (+3,9% in termini reali)”.

La liquidità quindi cresce, a discapito delle risorse riversate in azioni (-63,1 miliardi di euro nello stesso periodo, -6,8%), obbligazioni (-11,2 miliardi, -4,6%), quote di fondi comuni (-23,1 miliardi, -5%). Gli italiani quindi si confermano buoni risparmiatori. Il dato però, in una situazione di recessione, deve allarmare in quanto più risparmi nei conti correnti delle famiglie significano molti meno consumi, situazione che poi si tramuta nei “problemi” lavorativi che abbiamo accennato prima.

La pandemia ha accelerato la corsa al “cash”

Per riassumere quindi, potremmo dire che “il 66% degli italiani si tiene pronto a una nuova emergenza sanitaria adottando comportamenti di cautela come mettere i soldi da parte ed evitare di contrarre debiti”.  

I giovani e le donne

A leggere il rapporto del Censis ci si accorge che sono due le categorie che più stanno risentendo della pandemia dal punto di vista economico e lavorativo: i giovani e le donne. Secondo il Censis infatti ”nel terzo trimestre sono già 457.000 i posti di lavoro persi da giovani e donne, il 76% del totale dell’occupazione andata in fumo (605.000 posti di lavoro)”. 

I settori più colpiti sono facilmente immaginabili: “alberghi e ristorazione (sono più della metà dei 246.000 occupati in meno nel settore rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), industria in senso stretto (-80.000), attività immobiliari, professionali e servizi alle imprese (-80.000), commercio (-56.000)”.

Questo nonostante i ristori previsti dal Governo. Sarebbero infine poco meno di 4 milioni i lavoratori indipendenti che hanno avuto accesso all’indennità di 600 euro. 1,4 milioni di commercianti, 1,2 milioni di artigiani e circa 300.000 coltivatori diretti. Un dato che si riferisce presumibilmente solo alla prima ondata di ristori della prima fase pandemica. 

Il divario lavorativo quindi si tramuta anche in divario tra ricchi e poveri. Secondo il 90,2% degli italiani il lockdown ha danneggiato maggiormente le persone più vulnerabili e ampliato le disuguaglianze sociali. 

Il patrimonio degli italiani

In questi ultimi giorni si è risentito parlare della “patrimoniale”, ma vediamo dal rapporto Censis quali e quanti sono i redditi degli italiani. Secondo il Centro Studi Investimenti Sociali “sono appena 40.949 gli italiani che dichiarano un reddito che supera i 300.000 euro l’anno, con una media di 606.210 euro pro capite”. Un numero che corrisponde allo 0,1% del totale dei dichiaranti

Il 3% degli italiani però, possiede il 34% del totale della ricchezza del Paese. Questo dato si evince dal fatto che in Italia sarebbero “1.496.000 le persone con una ricchezza che supera il milione di dollari (circa 840.000 euro)”.

Il 3% degli italiani però, possiede il 34% del totale della ricchezza

Il virus quindi ha colpito una società già stanca e divisa, che però non può essere analizzata senza essere confrontata con il resto del mondo. Il commento del Censis alla situazione attuale è spesso sprezzante e tranchant, basato si sui numeri della loro analisi ma a volte sbrigativo nell’arrivare ad una conclusione che si possa tramutare in uno slogan dai toni perentori.

La pandemia ha messo a nudo i problemi della nostra società, sia dal punto di vista politico, che sanitario (per quanto le due cose siano sempre strettamente legate) e sociale. Una situazione che non riguarda solo il nostro Paese ma che viene enfatizzata maggiormente proprio dove alcune ferite sociali nel tempo non sono state curate in modo appropriato.

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