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A 70 anni il cuore di un cinquantottenne: un aiuto per i trapianti

Il rapporto annuale del Centro nazionale trapianti, presentato nei mesi scorsi al ministero della Salute, mette in evidenza un aumento del numero di donazioni e trapianti di organi in Italia nel 2019, ma anche del tasso di opposizione al prelievo. Se infatti i donatori potenziali – cioè quelli segnalati nelle rianimazioni come possibili candidati al prelievo – sono in discreta crescita, il tasso di chi si oppone alla donazione è passato dal 29,8% al 31,2%. Il Ministero segnala che nel 2019 nel nostro Paese i trapianti sono aumentati, con un impatto positivo sulle liste d’attesa: al 31 dicembre dello scorso anno le persone che attendono un trapianto sono 8.615. Un numero, tuttavia, non esiguo: nonostante, infatti, gli sforzi compiuti dalla Rete nazionale trapianti negli ultimi 20 anni, le liste di attesa restano un fenomeno fisiologico, poiché la richiesta di un trapianto di organi supera l’offerta di organi donati. Se si considera il trapianto cardiaco, in particolare, l’età anagrafica rappresenta il ​​fattore principale nella selezione dei donatori e aver cominciato ad accettare donatori di età superiore ai 50 anni ha già contribuito ad ampliare il numero di organi disponibili. Un fattore di cui si deve tener conto, però, è che non tutte le persone invecchiano allo stesso modo e, dunque, può esservi una grande eterogeneità negli individui della stessa età, con ripercussioni anche sulla salute: ad oggi, non esistono prove che l'età cronologica dei donatori corrisponda allo stato biologico dei loro organi. Proprio in questi giorni uno studio, pubblicato su Scientific Reports e condotto da ricercatori dell’università di Padova, dimostra che l’età biologica dei tessuti cardiaci è costantemente più giovane dell’età anagrafica. Di ben 12 anni. Secondo gli autori, questo suggerisce che il limite di età cronologica per i donatori potrebbe essere esteso, poiché non riflette la reale età del cuore.

Guarda l'intervista completa a Sofia Pavanello, docente del dipartimento di Scienze cardio-toraco-vascolari e sanità pubblica. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Elisa Speronello

Esistono determinanti genetici e ambientali che possono contribuire all'invecchiamento biologico. Sulla base di studi condotti sulla popolazione generale, Sofia Pavanello – docente del dipartimento di Scienze cardio-toraco-vascolari e sanità pubblica e coordinatrice dello studio pubblicato su Scientific Reports – indica in particolare due fattori di esposizione che determinano una accelerazione dell’invecchiamento della persona, che sono il consumo esagerato di alcol e l’esposizione a idrocarburi policiclici aromatici. Si tratta, in questo secondo caso, di inquinanti ambientali, di composti aeriformi che derivano da processi di combustione, come il fumo di sigaretta, la cottura dei cibi, oppure dai caminetti e dalle stufe che usiamo per riscaldarci. Anche condizioni particolari come l’obesità possono incidere sull’età biologica. A dimostrarlo uno studio condotto sempre dal gruppo padovano in collaborazione con l’università di Milano, nel corso del quale sono stati presi in esame circa 1.500 individui sovrappeso: i risultati hanno dimostrato che gli obesi severi vanno incontro a un invecchiamento biologico più accentuato rispetto ai normopeso. 

L’età misurata cronologicamente, dunque, potrebbe non essere un indicatore affidabile del tasso di degradazione fisiologica del corpo o degli organi: i singoli sistemi di cellule, organelli e molecole all'interno di ogni individuo possono invecchiare infatti a tassi significativamente diversi. Per calcolare l’età biologica del cuore, dunque, gli scienziati hanno messo a punto una metodica che prende in esame il numero di metili presenti in un determinato gene. Il DNA infatti, il costituente fondamentale delle cellule del nostro corpo, può fornire informazioni importanti su una persona, dal colore degli occhi all’altezza, al sesso fino, in questo caso, all’età (biologica) di un individuo.

“In generale – spiega Pavanello – la percentuale di metili nelle cellule più giovani è minore, mentre con l’andare avanti dell’età generalmente i metili si accumulano sempre di più, appesantendo il DNA e rallentando la sua attività. Andando dunque a stabilire la percentuale di metili presente in geni specifici noi riusciamo a stabilire l’età del soggetto”. I dati vengono elaborati mediante un algoritmo e il processo analitico è quasi completamente automatizzato: le analisi vengono svolte in modo standardizzato in non più di 10 ore dal momento in cui si ottiene il campione di tessuto.

Procedendo in questo modo, i ricercatori hanno dunque stabilito l'età biologica del cuore (definita anche età epigenetica o di metilazione del DNA) – in particolare dell’atrio destro e sinistro – e l’hanno confrontata con quella dei leucociti del sangue periferico. Ebbene, se l’età biologica del sangue è risultata essere molto simile a quella anagrafica, è stato dimostrato invece che l’età biologica dei tessuti atriali è inferiore di 12 anni rispetto all’età cronologica. Questo lascerebbe pensare che, rispetto al cuore, il sangue sia più suscettibile ai cambiamenti epigenetici dovuti all’avanzare dell’età e ai fattori ambientali.

Secondo gli autori, i risultati ottenuti rappresentano un’acquisizione importante nel processo di approvvigionamento di organi da donatori, e inducono a una revisione critica dei criteri clinici attualmente accettati; va detto, tuttavia, che l’analisi dell’età biologica del cuore si presta anche a ulteriori applicazioni: può permettere ad esempio di valutare l’efficacia dei trattamenti anti-aging o l’effettivo vantaggio che proviene dall’attività sportiva. E ancora, può consentire una valutazione personalizzata dell’invecchiamento lavorativo, dato che esistono professioni “più usuranti” di altre. 

 

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