SCIENZA E RICERCA

Acqua: problema locale o globale?

 Nonostante il mese di maggio insolitamente freddo e piovoso che ci siamo lasciati alle spalle, continuano ad essere numerose le zone d’Italia a lamentare la scarsa qualità dell’acqua che esce dai rubinetti delle case. Una situazione sorprendente, considerando che stando alle dichiarazioni di Vito Felice Uricchio, direttore dell’Irsa (Istituto di Ricerca Sulle Acque), l’Italia si trova al quinto posto in Europa se si parla di qualità dell’acqua, dietro a Ungheria, Irlanda, Svezia e Austria. Un aspetto che non sembra incentivare gli italiani a servirsi dell’acqua del rubinetto, dato che, come riporta Legambiente nel dossier “Acqua in bottiglia 2018, un’anomalia tutta italiana”, siamo i secondi consumatori di acqua in bottiglia a livello mondiale, preceduti solamente dal Messico. Una tendenza a dir poco allarmante, considerando che le bottiglie di plastica contribuiscono in maniera consistente all’inquinamento dell’atmosfera e dei mari, rispettivamente nelle fasi di produzione e smaltimento.

 

Le motivazioni dietro alla diffidenza delle persone risiedono nella convinzione che l’acqua minerale sia più sicura e controllata: convinzione smentita dai numerosissimi controlli effettuati, che certificano come l’acqua di rubinetto sia più sicura di quella in bottiglia, anche in zone comunemente ritenute “a rischio” come le isole (in Sardegna sono circa 12000 i campioni raccolti ogni anno).

Il quadro che emerge da tali considerazioni è senz’altro positivo, ma a minare la qualità dell’oro blu c’è lo spettro dell’inquinamento dei corpi idrici italiani. In questo senso risulta estremamente esplicativo il recentissimo rapporto di Legambiente “Buone e cattive acque”, un excursus sulla situazione di falde, fiumi e laghi tra casi di inquinamento e cattiva gestione, senza però dimenticare gli esempi virtuosi.

Virtuosismo che non interessa l’Italia e in generale i paesi sviluppati quando si parla di disponibilità e spreco dell’acqua. Basti pensare che, stando a uno studio di “In a bottle”, il 33% degli italiani non presta sufficiente attenzione agli sprechi domestici, vuoi per pigrizia o per semplice (cattiva) abitudine; un’indolenza alla quale si somma la scarsa qualità delle infrastrutture, che nel 2017 ha portato a una dispersione di 3,4 miliardi di metri cubi d’acqua nel tragitto tra le reti comunali e le abitazioni a causa di impianti datati e troppo poco spesso soggetti a manutenzione.

Ma come sono distribuite le risorse idriche a livello globale? Per fare chiarezza va detto che secondo l' OMS sono necessari 40 litri d'acqua al giorno per soddisfare i bisogni vitali, una stima che assume significato se si pensa che, come ricordato più volte dal direttore dell'Irsa Vito Uricchio, negli USA il consumo pro-capite ammonta a 425 litri e in Madagascar a 10. Un quadro sicuramente preoccupante, che non trova una soluzione nella convinzione secondo cui se si spreca di meno nei Paesi sviluppati, quelli in difficoltà ne trarranno beneficio. Quello della scarsa disponibilità d’acqua è infatti un problema locale e non globale come si è erroneamente portati a credere, di conseguenza i provvedimenti da attuare consistono in interventi mirati e specifici volti al miglioramento delle infrastrutture, con l’obiettivo di creare sistemi di depurazione e distribuzione ad hoc in grado di rispondere alle necessità dei territori in questione. Una soluzione ideale sarebbe quella della desalinizzazione, che potrebbe garantire scorte d’acqua dolce pressoché infinite; si tratta comunque di un processo dispendioso dal punto di vista energetico e per il momento poco diffuso, con Israele unico Paese che con questo metodo riesce a soddisfare una percentuale consistente (il 13%) del fabbisogno idrico.

Ad alimentare ancor più il dibattito sulla gestione dell’acqua a livello nazionale è l’annoso scontro tra pubblici e privati, tra chi teme un rincaro dei prezzi di un bene di prima necessità e chi sostiene che una maggiore qualità delle infrastrutture e spese più elevate incentiverebbero un consumo responsabile. Una disputa destinata ad evolvere nei prossimi anni, nella speranza che il progresso tecnico-scientifico fornisca soluzioni sostenibili e praticabili anche nelle zone che si trovano in maggiore difficoltà.

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