SCIENZA E RICERCA

Batterio chimaera in sala operatoria: cosa sappiamo fino ad ora

La notizia è uscita in questi giorni: sarebbero sei in Veneto le vittime da infezione da Mycobacterium chimaera e 18 gli infettati. Nelle ultime ore sono stati segnalati casi anche in Emilia Romagna. Si tratta di pazienti sottoposti a interventi cardiochirurgici nel corso dei quali è stato impiegato un particolare tipo di apparecchiatura per raffreddare il corpo e termoregolare il sangue.

L’allarme di una possibile relazione tra l’impiego di questi dispositivi di riscaldamento/raffreddamento e l’infezione da micobatteri non tubercolari è stato lanciato qualche anno fa a livello internazionale: eventuali perdite di fluido dal dispositivo o l’aerosol generato da un circuito idraulico contaminato, durante il funzionamento del dispositivo, possono infatti creare le condizioni per cui i microrganismi entrano in contatto con il paziente.

“Il M. chimaera – spiega Giorgio Palù, presidente della Società italiana di virologia e docente di microbiologia e virologia dell’università di Padova -  è un micobatterio non tubercolare a lenta crescita che si trova nell’ambiente e nell’acqua e che può formare biofilm soprattutto in presidi medici e in attrezzature come è il caso degli scambiatori di calore”. Sono microrganismi presenti nell’ambiente, anche nell’acqua potabile, con cui si è a contatto tutti i giorni. In presenza di questi batteri il nostro corpo è in grado di mettere in azione le difese opportune. I pazienti trapiantati, però, sono individui immunodepressi e questo può portare alla malattia. Si tratta di un’infezione non trasmissibile da uomo a uomo e molto rara, i cui sintomi compaiono tardivamente. Di solito sono resistenti ai comuni antibiotici.

Giorgio Palù e Riccardo Manganelli parlano delle infezioni da Mycobacterium chimaera (foto di Peracchi Marta). Riprese e montaggio di Elisa Speronello

“Tutto è iniziato nel 2015  quando è stato dato l’allarme – sottolinea Riccardo Manganelli, docente di microbiologia e virologia all’università di Padova -. L’anno successivo abbiamo isolato e identificato i primi microrganismi provenienti da pazienti in Veneto e successivamente abbiamo allertato la Regione che ha agito di conseguenza. Abbiamo partecipato a un Tavolo in cui sono state stilate delle linee guida da seguire sia nei controlli ambientali per la prevenzione, che nella gestione di eventuali pazienti, seguendo anche le linee guida internazionali dell’European Centre for Disease Prevention and Control . Al momento stiamo proseguendo su questo lavoro e stiamo iniziando a studiare a livello genomico questi ceppi isolati tramite sequenziamento dell’intero genoma”.

 

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