SCIENZA E RICERCA

Biodiversità marina a rischio: come salvarla?

Tra gli obiettivi individuati dall’Agenda 2030 ve n’è uno – il Sustainable Development Goal 14 – che mira alla protezione e alla conservazione degli oceani e della vita marina, risorse essenziali per le società umane in quanto forniscono importanti e diversificati servizi ecosistemici.

Su Nature è stata da poco pubblicata una revisione molto dettagliata dell’attuale stato di salute della biodiversità marina mondiale, accompagnata da una panoramica delle azioni che devono essere intraprese o rafforzate nel quadro di un piano d’azione collettivo, coordinato a livello internazionale.

Ad oggi, le condizioni in cui versa la vita marina sono tragiche: da decenni, infatti, essa è in declino a causa degli effetti congiunti di numerose attività di sfruttamento estremo ed indiscriminato da parte dell’uomo. L’articolo riporta che «ad oggi, almeno un terzo delle popolazioni ittiche sono vittime di pesca eccessiva [overfishing], tra un terzo e la metà degli habitat marini vulnerabili sono andati perduti, una parte sostanziale degli oceani costieri è affetta da inquinamento, eutrofizzazione, impoverimento dell’ossigeno, ed è messa in difficoltà a causa del riscaldamento della temperatura oceanica; inoltre, molte specie marine sono a rischio d’estinzione». Nonostante questo quadro sconfortante, vi sono però anche diversi motivi di speranza: laddove sono state messe in atto fruttuose strategie di recupero e conservazione, infatti, gli ecosistemi marini hanno rivelato un’impressionante resilienza, riuscendo a ristabilirsi nell’arco di pochi anni. Ciò dimostra come un serio impegno da parte delle istituzioni e delle realtà imprenditoriali che traggono profitto dai mari può avere un ruolo fondamentale nell’inversione di tendenza auspicata dal Goal 14 dell’Agenda 2030.

Gli autori individuano, dunque, alcuni interventi di particolare impatto che devono essere tradotti in pratica il prima possibile per raggiungere, entro il 2030, gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Tra queste azioni vi è innanzitutto la protezione delle specie, che va perseguita attraverso la regolamentazione della caccia e mediante un’oculata gestione delle attività di pesca commerciale, tenendo anche conto delle esigenze delle popolazioni locali: nei paesi poveri, infatti, dove molti possono contare, per sopravvivere, solo sui prodotti del mare, non è raro che si pratichi illegalmente la pesca in zone protette o che si faccia ricorso a sistemi distruttivi (come la cosiddetta pesca “a strascico”).

Molto importante è, inoltre, che si lavori per migliorare la qualità dell’acqua, puntando ad una netta riduzione sia dello sversamento di sostanze inquinanti e nutrienti (si tratta, di solito, di scarti agricoli ed industriali che si accumulano nei corsi d’acqua e si riversano poi nel mare), sia dell’inquinamento da sostanze plastiche, che da anni sta drammaticamente aumentando: si stima che ogni anno si depositino negli oceani tra i 4,8 e i 12,7 milioni di tonnellate di plastica.

Ovviamente, sono centrali anche gli sforzi per la protezione e il recupero dei diversi habitat marini. Vi sono, in tal senso, segnali positivi: dal 2000 ad oggi, ad esempio, le Aree Marine Protette (MPAs, Marine Protected Areas) sono passate dal coprire lo 0,9% della superficie oceanica globale al 7,4%, con un incoraggiante tasso di crescita annua dell’8%.

Lo scopo ultimo di tutti questi interventi non è, sottolineano i firmatari dello studio, riportare l’ecosistema marino alle condizioni precedenti – delle quali, peraltro, non abbiamo una conoscenza abbastanza approfondita da poterle ricreare. Al contrario, l’obiettivo consiste nel raggiungere un armonioso equilibrio tra il benessere della vita marina e le necessità umane: nei prossimi decenni, infatti, gli oceani saranno una risorsa sempre più centrale per molte società umane, anche alla luce del previsto incremento della popolazione mondiale (che sarà di circa 9 miliardi entro il 2050). Perché le popolazioni ittiche e gli habitat marini, specialmente quelli costieri, ritornino al più presto in salute, è dunque prioritario che si riducano al minimo i numerosi fattori di squilibrio che agiscono su questi ambienti, primo fra tutti il cambiamento climatico. «Siamo – ci avverte lo studio – ad un punto di svolta, in cui possiamo scegliere di tramandare in eredità alle generazioni che verranno un oceano vibrante e resiliente oppure uno irreversibilmente distrutto».

Non c’è un’unica soluzione: perché il recupero sia effettivo, bisogna lavorare contemporaneamente su una molteplicità di fronti, dalla protezione delle specie a rischio, alla riduzione dell’inquinamento, alla mitigazione degli effetti del cambiamento climatico. Tutti questi interventi, se non inseriti in un più vasto e coeso piano d’azione, non saranno sufficienti per invertire la tendenza generale.

Possiamo scegliere di tramandare in eredità alle generazioni che verranno un oceano vibrante e resiliente oppure uno irreversibilmente distrutto

È necessario, per di più, considerare alcuni ostacoli che, se non affrontati tempestivamente, possono rivelarsi fatali: primo fra tutti il cambiamento climatico causato dalle attività umane, che, se non verrà fermato in tempo, genererà con sempre maggior frequenza fenomeni naturali estremi, potenzialmente disastrosi per ecosistemi già fragili o compromessi.

Ripristinare la salute degli ecosistemi marini sarà un compito lungo e complesso, e richiederà un cospicuo sostegno finanziario: il costo stimato per estendere le aree protette al 20-30% della superficie marina globale si aggira tra i 10 e i 20 miliardi di dollari l’anno. Non è da sottovalutare, tuttavia, il ritorno economico che può derivare da un’efficace azione di protezione: per ogni dollaro speso, infatti, si potrebbe avere un guadagno di 10$; senza contare gli introiti che deriverebbero dall’aumento del turismo sostenibile e i molteplici servizi ecosistemi che degli habitat costieri sani potrebbero fornire, permettendo alle amministrazioni locali di risparmiare i milioni destinati ogni anno alla riparazione dei danni ambientali.

«Ricostruire la vita marina – ci avvertono gli Autori – richiede una collaborazione tra molteplici interessi, inclusi i governi, le aziende, coloro che sfruttano le risorse marine e la società civile». È necessario che la politica, basandosi su solide basi scientifiche, prenda decisioni coraggiose e in linea con gli obiettivi di sostenibilità delineati dall’ONU e destini ampi finanziamenti al recupero e alla conservazione degli ambienti naturali, marini e non solo.

Si tratta di una sfida ambiziosa, ma, prendendo le giuste decisioni, non impossibile da raggiungere. E impegnarsi in tal senso non è semplicemente una scelta ecologista: i benefici che le nostre società ne potranno trarre saranno, nel medio e lungo periodo, decisamente sostanziali. «Vincere la sfida della ricostruzione sostanziale della vita marina sarebbe uno storico traguardo nel tentativo, al quale partecipa l’intera umanità, di realizzare un futuro sostenibile su scala globale».

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