SCIENZA E RICERCA

Buona fortuna, James Webb Space Telescope

L’attesa è finita, il James Webb Space Telescope è stato lanciato con successo il 25 dicembre 2021 dalla base europea di Kourou in Guyana Francese. Un graditissimo regalo di Natale per la comunità scientifica internazionale, ma soprattutto un regalo molto atteso. Atteso in tutti i sensi. In primo luogo l’attesa riguarda le grandi potenzialità del telescopio spaziale, così grandi che gli studiosi inneggiano già a una rivoluzione astronomica al pari di quella attuata da Galileo Galilei nel Seicento. E poi l’attesa si riferisce anche ai decenni trascorsi a progettarlo, a costruirlo, ma anche a rinviarne puntualmente il lancio. Del JWST si parla da quando è stato lanciato Hubble Space Telescope, più di 30 anni fa, quando ancora si chiamava più genericamente Next Generation Space Telescope (NGST), nome che ha conservato fino al 2002. 

Non sono mancati nemmeno i rinvii a ridosso del lancio: pianificato prima per il 18, poi per il 22, e quindi per il 24 dicembre, finalmente ha preso la via per lo spazio proprio il giorno di Natale di questo 2021. 

“Non si può parlare di JWST senza parlare di HST” spiega Luigi Bedin, ricercatore dell’Osservatorio astronomico di Padova - Inaf, infatti i due telescopi vengono costantemente confrontati e citati insieme. James Webb è considerato il successore di Hubble, il telescopio dei record, compreso quello di essere ancora operativo ben sei anni dopo la data stimata di fine “garanzia”. Continua Bedin: “ogni volta che osservo una porzione di cielo osservata con HST e la confronto con qualunque strumento da terra, mi convinco che non ci sia paragone: possiamo essere certi che HST vale tutti i soldi spesi”. Hubble è costato, al lancio 31 anni fa, 4,7 miliardi di dollari, saliti poi a circa 10 con le varie missioni di servizio.

Sarà lo stesso per JWST? Sicuramente il “conto” pagato da NASA, ESA e Agenzia Spaziale Canadese, le tre mandanti dell’operazione, è certamente “astronomico”: più di 11 miliardi di dollari, ripartito tra le tre agenzie in percentuali diverse. L’ESA, per esempio, ha investito circa il 15% della cifra totale. La NASA invece è il major investitor, con i suoi 10 miliardi di dollari. Queste cifre rendono Webb il più costoso progetto scientifico mai realizzato, davanti ad Hubble e al Cern di Ginevra. E davanti anche alle gloriose missioni Apollo. Bisogna tenere bene a mente che stiamo parlando del più grande e potente telescopio spaziale mai costruito dall’uomo.

Per scoprire, però, se l’investimento sarà proficuo, bisognerà attendere almeno due settimane, quando JWST raggiungerà il punto L2 di Sole-Terra, ovvero il punto lagrangiano di equilibrio instabile, dove le forze di gravità della Terra e del Sole, e la forza centrifuga si eguagliano. Il vantaggio di posizionare il telescopio in questo punto, a circa 1,5 miliardi di chilometri dalla Terra, è assicurargli sempre mezzo cielo indisturbato dalla presenza della Terra che sia termicamente stabile. Hubble, che viaggia a 7 chilometri al secondo a 550 chilometri dalla Terra, ha un cielo sempre occupato in parte dal nostro globo. Da questo punto non sono possibili le osservazioni nell’infrarosso, cosa che invece Webb farà, perché la Terra scalderebbe troppo il telescopio, accecandolo, anche se fosse isolato termicamente dal Sole. Una volta raggiunto L2, JWST inizierà ad aprirsi, perché “JWST è diverso da qualsiasi altro telescopio lanciato nello spazio in precedenza, non ha la forma di un tubo, si piega e dispiega, come un origami” commenta scherzosamente Luigi Bedin, ma usa una metafora che rende bene l’idea della complessità dell’operazione e della precisione con cui ogni movimento deve essere eseguito alla perfezione. D’altra parte il suo grande specchio di 6 metri di diametro non avrebbe mai potuto essere introdotto nell’ogiva di un lanciatore Ariane (che è di soli 4,6 metri di diametro e lunga 21,2 metri) senza essere piegato, in qualche modo. Inoltre lo scudo solare, o sun shield, o ancora scudo termico, è fatto da ben cinque strati di plastica sottile, ricoperta da alluminio sui due lati, con l’aggiunta di silicio nei lati più caldi verso il sole, con lo scopo di riflettere la maggior parte del calore solare nello spazio, così solo una piccola parte viene re-irradiata verso il telescopio. Questi cinque strati, che hanno anche il compito di tenere al buio il telescopio, sono ripiegati 12 volte e, proprio grazie all’ampiezza dello scudo solare, una volta completamente aperto JWST diventa grande come un campo da tennis. Giunti a questo punto inizierà il periodo di calibrazione di tutti gli strumenti. “Mi aspetto” continua Bedin “che passino almeno sei mesi prima che JWST diventi pienamente operativo e inizi a raccogliere dati come routine”.

Qualche cenno a parte si merita lo specchio principale di JWST, composto da 18 specchi esagonali, sottili, leggeri, ma anche rigidi e accurati. Gli specchi sono montati su un totale di 126 motori con movimenti micrometrici, appositamente pensati per il perfetto allineamento delle ottiche. Queste, una volta allineate, non avranno bisogno di aggiustamenti del fuoco, se non occasionalmente. I detector sono molto sensibili tanto da permettere il grande range di lunghezze d’onda osservabili da JWST. 

Qualche altro dato tecnico: Webb può contare su delle reaction wheel, delle masse che verranno spostate per mantenere il puntamento del telescopio desiderato, e dei rocket jet che gli permetteranno di mantenere l’orbita e di scaricare il momento angolare accumulato dalle reaction wheel. L’attivazione delle reaction wheel e dei rocket jet comportano il consumo del propellente e, in ultima istanza, determinano la vita dell’utilizzo del JWST. Quando il propellente finirà, sarà impossibile mantenere il telescopio in posizione e assetto, non si potranno nemmeno più orientare i pannelli solari. Per questo motivo si stima che JWST arriverà a 10 anni di onorata carriera, pochi, se lo vogliamo paragonare, ancora una volta, al suo predecessore.

Ma Hubble è diverso da James Webb, come diversa è la scienza che quest’ultimo potrà fare. Avendo uno specchio più grande, a parità di condizioni, JWST può vedere sorgenti di due magnitudini più deboli, e di conseguenza, visto che le sorgenti più lontane appaiono più deboli, a parità di fotoni raccolti da una determinata sorgente, Webb vedrà delle sorgenti più distanti. Il fatto di vedere delle sorgenti di luce molto lontane nello spazio, tenendo a mente che ci vuole del tempo perché la luce lo attraversi, significa che queste saranno anche molto più antiche. In questo modo JWST potrà osservare indietro nel tempo, forse fino a vedere gli oggetti più antichi dell’universo che possiamo stimare.

Inoltre l’espansione dell’universo comporta uno spostamento verso il rosso di tutte le sorgenti lontane. Lo spostamento verso il rosso, o red shift, altro non è che l’aumentare della lunghezza d’onda, e viene indicato con z. Attualmente il record dell’oggetto più lontano visto finora si trova a z 11. Si pensa che, grazie alla capacità osservativa di 28,3 micrometri nell’infrarosso intermedio, JWST riuscirà a vedere oggetti a z 20 o z 30. Quindi oltre a raccogliere più luce di Hubble, Webb raccoglierà la luce che si trova proprio nell’intervallo spettrale dove ci si aspetta sia la massima luminosità delle sorgenti di interesse.  Ma non è finita qui: l’osservazione nell’infrarosso consente di guardare anche attraverso le nubi di polvere nella galassia, che bloccano la luce visibile.

Approfondimento del professor Giampaolo Piotto, direttore del CISAS su JWST. Riprese e montaggio di Elisa Speronello

“Almeno il 20-25% del tempo di JWST sarà dedicato allo studio dei pianeti extrasolari” spiega il professor Giampaolo Piotto, direttore del Centro di ateneo di Studi e Attività Spaziali "Giuseppe Colombo", che specifica: “in particolare saranno studiate le loro atmosfere nel vicino infrarosso. Possiamo imparare tante cose, soprattutto possiamo cercare molecole che possono anche essere interessanti per la ricerca della vita”. In che modo? James Webb esaminerà le piccole variazioni nella luce della stella ospite che, passando attraverso l’atmosfera del pianeta, consentirà agli scienziati di desumere quali siano le proprietà e le composizioni presenti proprio in quest’ultima. 

Oltre a investigare sulla formazione delle stelle e delle galassie, sulle atmosfere degli esopianeti di tipo terrestre, Webb punterà i suoi specchi verso i buchi neri. Come si evince, Webb è stato concepito per obiettivi scientifici piuttosto specifici ma, visto il grande successo del suo predecessore, anche JWST potrà svolgere delle osservazioni generiche: dal sistema solare, ai dintorni solar, alle galassie vicine e lontane. “Più importante ancora, a mio avviso” riprende Bedin “sarà vedere quello che scopriremo di completamente nuovo, e che oggi non sappiamo nemmeno esista!”.

Tornando a parlare della strumentazione, a bordo ce n’è parecchia e ogni singolo strumento ha uno specifico obiettivo scientifico. Camere, spettrometri, ma anche coronografi e interferometri da circa 0,6 micrometri, visibile all’occhio nudo, a circa 28 micrometri, invisibile all’occhio nudo. 

Tutti gli strumenti scientifici sono integrati in un modulo chiamato ISIM (Integrated Science Instrument Module) che si trova attaccato alla struttura che sta alla base del telescopio. ISIM procura energia elettrica, risorse computazionali, refrigerazione per tenere gli strumenti alla temperatura ottimale, stabilità strutturale del telescopio. Il modulo ha quattro strumenti più le camere di guida. Lo strumento più atteso è NIRCam (Near IR Camera), che produrrà immagini a grande campo in alta risoluzione nell’intervallo di lunghezza d’onda tra 0,6 e 5 micrometri. Da una parte due detector, con risoluzione a 4Kx4K pixel, registreranno immagini del cielo alle lunghezze d’onda più corte, dall’altra parte altri due detector, con la stessa risoluzione, per le lunghezze d’onda più grandi, sopra i 2,4 micrometri. La camera, sviluppata dall’università dell’Arizona, include coronografi, interferometri, e verrà usata per astrometria e fotometria, ad alta precisione.

Altro strumento a bordo è NIRSpec (Near-Infrared Spectrograph) che farà spettroscopia sullo stesso intervallo di lunghezza d’onda di NIRCam. Può essere usato in modalità bassa risoluzione, in oggetti multipli e in campo integrale; quest’ultima modalità è particolarmente interessante perché si basa su un complesso sistema di micro-otturatori che permetteranno di osservare individualmente centinaia di sorgenti nel campo di vista del modulo.

Lo strumento MIRI (Mid IR Instrument), è simile a NIRSpec, è stato sviluppato in collaborazione tra Nasa e un consorzio di paesi europei per andare a misurare le lunghezze d’onda tra 5 e 27 micrometri.

Gli strumenti NIRISS (Near Infrared Imager and Slitless Spectrograph) e il FGS (Fine Guidance Sensor) sono stati sviluppati dall’agenzia spaziale canadese. NIRISS è un modulo aggiuntivo, fisicamente montato sull’unità di FGS, quindi vengono considerati come un’unità unica. NIRISS è in grado di restituire immagini e spettri tra 0,8 e 5 micrometri di lunghezza d’onda, mentre le misure fatte da FGS, che osserva stelle lontane, vengono usate anche per controllare l'assetto dell’intero osservatorio e per guidare gli aggiustamenti dello specchietto stabilizzatore, necessari per ottenere delle immagini ferme e nitide.

“Si tratta di un’impresa grossa” afferma Piotto, “sicuramente la tecnologicamente più complessa della NASA e dell’ESA, ma è un’impresa fondamentale per lo sviluppo dell’astronomia. James Webb sarà quella missione che ci farà fare un passo in avanti”.

Il rischio che qualcosa non vada nel verso giusto è insidiato in ogni momento, dal lancio al raggiungimento di L2, dall’apertura degli specchi e dello scudo, fino alla calibrazione degli strumenti di bordo. Nonostante i decenni investiti nello sviluppo, nonostante tutte le prove e le simulazioni svolte da NASA, ESA e CSA, è impossibile ricreare, o simulare, le situazioni esatte in cui verrà a trovarsi il telescopio. Ancora una volta, a insegnarlo, è stato proprio Hubble e la sua aberrazione sullo specchio primario, scoperta quando ormai era in orbita. Ed ecco una ultima, importante differenza tra i due telescopi: Webb non potrà essere riparato come il suo predecessore, essendo posizionato in un punto troppo lontano dalla Terra.

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