SCIENZA E RICERCA

Il cambiamento climatico ha avuto un ruolo nell’origine di Sars-CoV-2?

Gli ultimi due anni sono stati segnati indelebilmente da una pandemia che ha paralizzato le società e le economie globali. Oggi, con cauto ottimismo, si può dire di vedere una luce in fondo a questo tunnel, ma al di fuori della galleria ci aspetta una sfida se possibile ancora più dura da affrontare: la lotta al cambiamento climatico.

Le due crisi, quella sanitaria e quella climatica, si dipanano su tempistiche diverse: la prima ha avuto un’eruzione improvvisa, anche se non del tutto inaspettata, la seconda è invece frutto di un accumulo di fattori talmente lento e graduale che rischia di non venir nemmeno percepita e di venire invece accettata come nuova normalità.

Appartenendo a due scale temporali così diverse tra loro si potrebbe pensare che una crisi non abbia niente a che fare con l’altra. Invece, se ricercate con gli strumenti giusti, le connessioni esistono. Del resto, il clima è responsabile delle condizioni ambientali che permettono l’evoluzione nel tempo ma soprattutto nello spazio delle specie viventi, incluse quelle portatrici di agenti patogeni.

Uno studio pubblicato lo scorso anno su Science of the total environment, da un gruppo di studiosi dell’università di Cambridge, del Potsdam Institute for Climate Impact Research e dell’università delle Hawaii, esplora infatti le possibili connessioni tra il cambiamento climatico, i suoi effetti sulla distribuzione di specie di pipistrelli e la comparsa di coronavirus nelle regioni sud-est asiatico.

Cambiamento climatico, pipistrelli e coronavirus

Il ragionamento proposto dagli autori è molto semplice. Da quello che sappiamo oggi, è altamente probabile che sia Sars-CoV-1 (il virus della Sars del 2003) sia Sars-CoV-2 siano virus zoonotici, ovvero di origine animale, evoluti nei pipistrelli prima di fare il salto di specie all’uomo (lo spillover). In particolare, sappiamo che nella provincia dello Yunnan nel sud della Cina è stato trovato un coronavirus, RaTG13, all’interno di un pipistrello Rinofilide (Rhinolophus affinis, detto a ferro di cavallo per la conformazione del muso), che condivide il 96,1% del proprio genoma con quello di Sars-CoV-2.

Il numero di coronavirus presenti in un’area, scrivono gli autori, è fortemente correlato alla quantità di specie di pipistrello presenti in quell’area. A propria volta, il numero di specie di pipistrello presenti in un’area è influenzato dalle condizioni climatiche che caratterizzano quell’area e che determinano la distribuzione geografica delle specie.

Nel lavoro pubblicato a maggio del 2021, Robert Beyer, Andrea Manica e Camilo Mora mostrano che la provincia cinese meridionale dello Yunnan e le regioni limitrofe del Myanmar e del Laos formano un vero e proprio hotspot globale di specie di pipistrello: la loro quantità e concentrazione è aumentata notevolmente nel corso degli ultimi 100 anni proprio a causa del cambiamento climatico.

Queste regioni sono esattamente quelle in cui è molto probabile siano evoluti, all’interno dei pipistrelli prima di arrivare all’uomo, sia l’antenato del virus Sars-CoV-1 sia l’antenato del virus Sars-CoV-2. È dunque ragionevole ritenere, concludono gli autori, che il cambiamento climatico abbia giocato un ruolo chiave nell’evoluzione dei due coronavirus.

I pipistrelli sono portatori sani di molti virus e una loro redistribuzione geografica non solo incide sulla comparsa di zoonosi (introducendo nuovi animali ospiti in nuove aree), ma genera anche nuove interazioni ecologiche tra specie, quindi nuove interazioni ospite-patogeno che possono risultare in nuovi canali di trasmissione e di evoluzione di agenti patogeni, inclusi quelli che possono fare il salto di specie all’uomo.

Metodologia dello studio

Per mostrare l’influsso del cambiamento climatico sulla distribuzione delle specie di pipistrello, per prima cosa gli autori hanno studiato come sia cambiata la distribuzione di alcune specie vegetali nel corso dell’ultimo secolo e hanno poi associato questi dati alla distribuzione spaziale e agli habitat preferiti delle specie di pipistrello. Ne è emerso un pattern interessante: maggiori livelli di CO2 in atmosfera, maggiori temperature, precipitazioni alterate e minore copertura nuvolosa hanno provocato il passaggio di interi biomi da arbusteto tropicale a savana tropicale e foreste decidue (ovvero di alberi che perdono stagionalmente le foglie). Tali trasformazioni hanno creato condizioni ambientali favorevoli alle specie di pipistrello in alcune regioni del pianeta.

Oltre alla provincia dello Yunnan e alle regioni limitrofe, il cambiamento climatico ha generato un aumento di quantità di specie di pipistrello in aree dell’Africa Centrale e del Sud e Centro America. La differenza più significativa è stata osservata però proprio nel Sud della Cina, con un aumento di circa 40 specie di pipistrelli, che corrispondono a circa 100 specie in più di coronavirus, dato che ogni specie di pipistrello in media ospita 2,67 coronavirus, ricordano gli autori.

“Un simile processo è in grado di creare significative opportunità di trasmissione virale tra specie che a propria volta possono aver facilitato il definitivo salto di specie all’uomo” riportano gli autori nel paper.

Il cambiamento climatico dunque può aver giocato un ruolo decisivo nell’insorgenza di virus epidemici e pandemici, come Sars-CoV-1 e Sars-CoV-2, aumentando la concentrazione di specie di pipistrelli nel sud della Cina, aumentando le loro interazioni ecologiche e aumentando quindi le probabilità di un salto di specie. Questa dinamica tuttavia non vale per tutti gli eventi di spillover, sottolineano gli autori.

Tutta colpa del cambiamento climatico? Non sempre

Ad esempio l’epidemia di Mers (Middle East Respiratory Syndrome) scoppiata nel 2012 in Medio Oriente per un trasferimento di specie dal dromedario all’uomo, è stata causata da un coronavirus la cui origine è stata fatta risalire ai pipistrelli dell’Africa Orientale: in questo caso, in questa regione non è stato riscontrato un significativo aumento di quantità e concentrazione di specie di pipistrelli, e dunque le responsabilità di questo spillover non vanno assegnate al cambiamento climatico.


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In conclusione gli autori dello studio osservano che il metodo che hanno adottato per stabilire come è cambiata la distribuzione delle specie di pipistrello voleva esplicitamente isolare e mettere in luce il contributo causale del cambiamento climatico. Tuttavua, esistono altri fattori che possono aver contribuito all’alterazione della distribuzione delle specie di pipistrello, quali la caccia, l’introduzione di specie invasive, l’inquinamento o l’antropizzazione dei territori e del suolo.

La deforestazione, la conversione di suolo forestale in suolo agricolo e in generale l’intenso sfruttamento delle risorse di un territorio infatti tendono a degradare e compromettere l’habitat delle specie che vi abitano, incluse quelle portatori di agenti infettivi, le cosiddette specie serbatoio, aumentando le probabilità di contatto tra i patogeni e l’uomo.

Per prevenire l’insorgere di nuove pandemie sarà fondamentale promuovere misure di protezione degli habitat naturali, imporre forti regolamentazioni alla caccia e al commercio di animali selvatici, stabilire regole appropriate di tutela delle condizioni di vita degli animali da allevamento, nelle fattorie, nei mercati e nei trasporti, scoraggiare pratiche alimentari, sanitarie, o presunte tali, che coinvolgano animali a rischio zoonotico.

Inoltre, sottolineano gli autori, i futuri modelli epidemiologici dovranno venire integrati con i dati relativi a quanto e come il cambiamento climatico incide sulla distribuzione delle specie portatrici di patogeni. Questi modelli, concludono, dovranno anche incorporare l’impatto diretto del cambiamento climatico, nei termini di quanto incidono temperature più alte sulla suscettibilità delle specie animali agli agenti patogeni o quanto i microrganismi siano in grado di adattarsi a temperature più alte.

Infine, tra le ragioni per cui è necessario chiedere la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra che causano il riscaldamento globale e il cambiamento climatico, gli autori invitano a includere anche quella di ridurre le probabilità di eventi di spillover.

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