
Quella del 2024 è un’Europa dei record. Ma non di quelli di cui andare fieri, tutt’altro. Il nostro continente è infatti un grande ammalato e soffre, più degli altri, delle conseguenze del cambiamento climatico. A soffrire con lui, coloro che lo abitano, colpiti da eventi meteorologici estremi, ondate di calore e picchi di temperature sempre più elevati. In mezzo, c’è la politica che, dal globale al locale, sta facendo dei passi in avanti per mitigare questi effetti, ma non in modo ancora così determinante da portare a dei benefici concreti.
A riportare la situazione, con i dati alla mano, è l’annuale appuntamento con il rapporto European state of the Climate 2025, realizzato dal Copernicus Climate Change Service (C3S) e dalla WMO, l’Organizzazione meteorologica mondiale.
Il report è una radiografia puntuale della condizione climatica europea ed è suddiviso in diverse sezioni (19 in tutto), ognuna a coprire uno specifico aspetto.
Primati preoccupanti
Partiamo dalla più cattiva delle cattive notizie: l’Europa è il continente, a livello mondiale, che si sta scaldando più velocemente di tutti e gli impatti del cambiamento climatico sono sotto gli occhi di tutti.
E, per modo di dire, ecco la seconda cattiva notizia: il 2024 è l’anno più caldo mai registrato da quando si ottengono le misurazioni ed è il primo ad aver sforato, mediamente, gli 1,5° C rispetto all’era preindustriale. Il dato, confermato anche a livello mondiale, rappresenta il primo superamento della soglia massima prevista dagli accordi di Parigi. Per dare un parametro di confronto, gli ultimi cinque anni avevano registrato una media superiore di 1,3 °C, ma – complessivamente – gli ultimi 10 sono stati tutti i più caldi mai registrati. Come si vedrà, poi, più nel dettaglio, record negativi sono stati raggiunti anche per le temperature dei mari, per quelle notturne e per la concentrazione di gas climalteranti nell’atmosfera. Non solo: i ghiacciai si stanno ritirando troppo velocemente e, allo stesso tempo, aumentano le ondate di calore e la loro durata.
“Il rapporto del 2024 – sottolinea il segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale, Celeste Saulo – dimostra come l’Europa stia pesantemente soffrendo gli effetti dei fenomeni meteorologici estremi e del cambiamento climatico”. Saulo rimarca come “ogni decimo di grado di aumento di temperatura conti perché accentua i rischi per la nostra vita, per le economie e per il pianeta”. Le chiavi sono l’adattamento e la mitigazione.

Tempeste e inondazioni
Intense e prolungate precipitazioni sono state un fattore chiave per scatenare inondazioni in una vasta area di territorio europeo. Secondo i dati, le tempeste e i conseguenti allagamenti hanno interessato oltre 400.000 abitanti con la morte di almeno 335 persone. I danni derivanti sono aumentati a circa 18 miliardi di euro. Il rapporto ricorda alcuni deli eventi più impattanti: a gennaio 2024 la tempesta Henk causò problemi al nord della Francia, all’Inghilterra e alla Scozia. Un mese dopo, pesanti piogge causarono allagamenti nel nord della Spagna, poi ancora in Francia a marzo. Fino ad arrivare a maggio con le inondazioni che colpirono, a catena, i territori francesi, dell’ovest della Germania, del Belgio e dell’Olanda. Infine, il più catastrofico degli eventi è stato rappresentato dalla tempesta Boris, a settembre che causò ingenti danni e problemi in 8 Paesi differenti nell’Europa centro-orientale.
Proprio Boris merita un mini-approfondimento all’interno del rapporto: la tempesta, favorita dall’alta evaporazione del Mediterraneo e del Mar Nero, si caricò di energia, risultando in potenti precipitazioni su una larghissima fetta di territorio e scaricando l’equivalente di tre mesi di acqua concentrati in cinque giorni dal 12 al 16 di settembre.
Un altro “capitolo” degno di annotazione riguarda le inondazioni che hanno riguardato la Spagna tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre. Nella provincia di Valencia morirono 232 persone e i danni stimati ammontano a oltre 16 miliardi di euro.
Qualche considerazione: le proiezioni prevedono un continuo aumento del rischio inondazioni in tutto il territorio dell’UE, soprattutto per quanto riguarda le zone ovest e centrali.

Estate, caldo e siccità nel sudest europeo
Se l’Ovest e l’Est Europa si giocano due primati opposti per estrema siccità ed estrema piovosità, la zona Sud del continente detiene tutti i record per le anomalie delle temperature. Nel 2024, dopo una primavera fin troppo calda, l’estate successiva ha fatto registrare una serie di ondate di calore: due in giugno, durate tra i 5-6 giorni, tre in agosto della durata, ognuna, di 5-8 giorni. In generale, nei 97 giorni compresi dal primo di giugno al cinque di settembre, ci sono state 43 giornate di ondata di calore e la massima temperatura è stata sopra la media per tutto il periodo estivo, eccetto due soli giorni. Il report fa uso dell’UTCI (Universal Thermal Climate Index) per misurare gli effetti sulle persone delle ondate di calore: riflette il modo in cui una persona, a livello fisico, reagisce agli stress derivanti dal caldo estremo. Ebbene, l’UTCI, nel 2024, è stato per tutta l’estate sopra alla media di 3,3 °C con 66 giorni in cui la sensazione di temperatura era pari o superiore ai 32 °C. Il 13 agosto è stato registrato il picco con una sensazione di calore pari o oltre ai 38 °C.
Non è andata meglio per le cosiddette notti tropicali, quando, cioè, la temperatura durante la notte non scende sotto i 20 gradi. Il sudest europeo ne ha sofferto pe 23 volte, ben oltre il precedente record di 16, nel 2012. A tutto questo, si devono aggiungere precipitazioni ben al di sotto della media stagionale.

Le temperature record
Come già sottolineato, il 2024 ha segnato il primato di anno più caldo da quando si registrano le temperature. Nello specifico, le zone con i record più elevati sono state quelle centrali, orientali e meridionali, ma anche aree come quella scandinava hanno registrato valori molto anomali. L’85% dell’Europa risulta essere stato sempre sopra alla media. Le uniche aree vicine agli standard sono state quelle in Groenlandia e in alcune piccole parti dell’Europa sudoccidentale. L’andamento di questi dati riflette le condizioni che hanno portato alle ondate di calore già messe in evidenza e ai rischi ad esse connessi.

Neve e ghiacciai
È inutile sottolinearlo: la neve non ha valore solo per gli impattanti impianti sciistici di montagna, ma gioca un ruolo importantissimo per l’intero sistema meteo/clima. Modifiche nelle precipitazioni e negli addensamenti possono provocare impatti sull’intero sistema Terra, influenzando temperature, bilanciamento dei ghiacciaci, inondazioni e periodi di siccità. Di conseguenza, come spiega anche il rapporto, una mancanza di neve durante l’inverno può avere ricadute importanti lungo tutto il resto dell’anno.
Durante l’inverno del 2024, la maggior parte del Nord Europa – inclusa la Fennoscandia, l’Estonia, il nordovest della Russia e il nord della Germania, ha visto giorni di nevicate superiore alla media. Mediamente, nei mesi freddi, anche il resto del territorio europeo ha visto nevicate superiori alle medie stagionali. Diverso è stato per il periodo primaverile dove, tranne in rari casi, ci sono stati molti meno giorni nevosi rispetto alle medie previste.
Le note dolenti arrivano proprio dal fronte dei ghiacciai: mediamente, durante l’anno idrologico 2023-2024, tutti hanno perso ghiaccio.

Quelli in Scandinavia e alle Svalbard hanno visto il più alto tasso di scioglimento di sempre, con una perdita di spessore media di 1,8 metri in Scandinavia e di 2,7 metri alle Svalbard. Le rilevazioni indicano come causa principale l’aumento delle temperature nel periodo estive con record nei mesi di agosto e settembre.
Durante gli ultimi dieci anni, l’Europa centrale è una delle zone al mondo in cui la riduzione dei ghiacciai è stata più pronunciata. Anche le Alpi hanno subìto una perdita media di ghiaccio pari a 1,2 metri. Un risultato leggermente migliore rispetto alle gravi perdite del 2022 (-3,6) e del 2023 (-2,4), probabilmente dovuto alle precipitazioni nevose invernali e primaverili che hanno parzialmente attenuato gli effetti, proteggendo il ghiaccio.
Le precipitazioni
Un’Europa spezzata in due quella che esce dalla fotografia della pioggia per il 2024: la media delle precipitazioni è stata comunque più alta del normale, a livello generale, ma l’Ovest (in particolare per Spagna, Italia, parte della Fennoscandia) ha vissuto condizioni di piovosità estremamente superiori alla media, tanto da risultare uno dei dieci anni più piovosi di sempre. A Est, per contrasto, le condizioni sono state molto più secche.
Anche il numero di giornate piovose (intese come quelle per cui si è accumulata una precipitazione pari almeno a un 1 mm) riflette la spaccatura tra Est ed Ovest dell’Europa. In quest’ultima porzione di territorio, infatti, i giorni di pioggia sono stati superiori anche di 30-40 volte la media.

Le temperature del mare
Anche dalle acque salate non arrivano delle buone notizie. Mari e oceano dell’Europa hanno toccato il record più alto di temperatura media mai registrato da quando esistono le serie storiche, battendo – di poco – il record del 2023. Poco cambia che si tratti di oceano o acque chiuse: dalla Groenlandia al Mediterraneo il trend è stato lo stesso.
La temperatura superficiale delle acque salate è un indicatore chiave non solo per gli impatti sugli ecosistemi marini e sulla biodiversità, ma anche per comprendere gli scambi energetici tra le acque e l’atmosfera. Nel corso del 2024, tutti i mari hanno visto un aumento della temperatura media con record in tre settori: nel nord Atlantico, nell’est del Mediterraneo, nel Mar Nero, nel mare della Norvegia e in quello di Barents.
In particolare, la temperatura superficiale del Mediterraneo è stata di 1,2 °C sopra la media e di 0,3 gradi superiore al poco invidiabile record già stabilito nel 2023.
Proprio questi eccessi sono stati collegati all’intensità delle tempeste e delle precipitazioni che hanno interessato l’Europa, come la già citata Boris e anche l’evento che ha scatenato le inondazioni a Valencia.
Buone notizie dalle energie da fonte rinnovabile
La generazione di energia “pulita” proveniente da fonti rinnovabili rimane fondamentale per raggiungere i livelli di transizione e di decarbonizzazione previsti dalle politiche verdi dell’Unione Europea. Nel rapporto, le rinnovabili rappresentano una delle poche buone notizie di trend in positivo: dal 2019 ad oggi, i Paesi in cui è stata generata più energia da fonti rinnovabili e non fossili è quasi raddoppiata, salendo da 12 a 20.

La proporzione di elettricità generata da fonti verdi ha raggiunto il 45% in Europa. Il record più alto, superando quello del 43% nel 2023. Scorporando i dati percentuali, il 18% dell’energia è arrivato dall’eolico, il 9% dal solare e circa il 18% dall’idrico.
Luoghi abitati e resilienza agli eventi climatici estremi
L’ultima parte del rapporto è dedicata agli ambienti urbani e alla loro resilienza agli eventi climatici estremi che – come si è potuto vedere – sono in costante aumento in frequenza e intensità.
Le città europee sono diventate più resilienti, ma ancora molto da fare c’è per mitigare gli effetti prodotti dal cambiamento climatico. Lo State of the Climate pone l’accento sulla necessità di aumentare gli sforzi soprattutto per quanto riguarda il rischio inondazioni. D’altra parte, ed è senz’altro una notizia incoraggiante, il 51% delle città europee ha adottato un pianto di adattamento. Il dato rappresenta un significativo aumento percentuale rispetto al 26% del 2018.
Solo per dare qualche esempio, la città di Glasgow (Scozia) sta implementando sistemi di avviso per eventi avversi e migliorando le sue infrastrutture contro le inondazioni; Parigi (Francia) sta aumentando la piantumazione di verde urbano per accrescere la biodiversità e combattere le isole di calore; Milano sta promuovendo la realizzazione di infrastrutture verdi e di metodi di contrasto all’inquinamento atmosferico e l’Olanda sta sostituendo gran parte della pavimentazione delle strade con materiali più ecologici e permeabili.
Ancora molto c’è da fare, unitamente – soprattutto – alle grandi decisioni prese dai decisori politici, su cui – complici le sfide economiche e i venti di guerra internazionali – troppo spesso si sente vociferare di passi indietro che non ci possiamo proprio permettere.