SCIENZA E RICERCA

Carbonio nella Via Lattea: uno studio sulle nane bianche ne analizza le origini

Circa il 90% di tutte le stelle, quelle con massa iniziale fino a circa 8 volte la massa del Sole, terminano la loro vita come nane bianche, resti stellari molto densi e compatti destinati a raffreddarsi per sempre, divenendo via via meno luminosi. Prima che ciò accada, negli ultimi respiri di vita, queste stelle lasciano un'ultima importante eredità, spargendo delicatamente le loro ceneri nello spazio circostante nelle magnifiche sembianze di nebulose planetarie. Queste ceneri, diffuse nel cosmo attraverso i cosiddetti "venti stellari", sono arricchite con molti elementi chimici, tra cui il carbonio, da poco creati negli strati più profondi della stella durante le ultime fasi prima della morte.

Il carbonio è essenziale per la vita sulla Terra, ogni atomo di carbonio nell'universo è stato creato dalle stelle, attraverso la fusione di tre nuclei di elio. L'origine del carbonio nella nostra galassia, la Via Lattea, è ancora oggi oggetto di vivace dibattito tra gli astrofisici. Alcuni studi sono a favore di stelle di piccola massa che eiettarono nello spazio i loro mantelli esterni per mezzo di venti stellari e divennero nane bianche, altri collocano il sito principale della sintesi del carbonio nei venti di stelle massicce che alla fine esplosero come supernovae.

Lo studio pubblicato su Nature Astronomy con il titolo Carbon star formation as seen through the non-monotonic initial–final mass relation dal team internazionale di ricercatori guidato dalla professoressa Paola Marigo del dipartimento di Fisica e Astronomia "Galileo Galilei" dell'università di Padova e associata all’Istituto nazionale di Astrofisica indica che le nane bianche possono dare risposte sull'origine del carbonio nella Via Lattea. 

La ricerca

Grazie a osservazioni astronomiche condotte tra agosto e settembre 2018 all'Osservatorio Keck, sito in prossimità della cima del vulcano Mauna Kea alle Hawaii, i ricercatori hanno scoperto e analizzato alcune nane bianche situate in ammassi stellari aperti della Via Lattea. Gli ammassi stellari aperti sono gruppi di stelle - fino a qualche migliaio - tenute insieme dalla reciproca attrazione gravitazionale. Esse si formarono dalla stessa nube molecolare gigante e hanno all'incirca la stessa età.

Dal un lato, attraverso i telescopi Keck, si sono analizzati i loro spettri ed è stato possibile così misurare le masse delle nane bianche, dall’altro, usando la teoria dell'evoluzione stellare, i ricercatori sono stati in grado di risalire alle stelle progenitrici, derivandone le loro masse alla nascita.

Il rapporto tra le masse iniziali delle stelle e le masse finali delle nane bianche si chiama “relazione massa iniziale-massa finale”, uno strumento fondamentale in astrofisica in quanto racchiude l’informazione integrata dell'intero ciclo di vita delle stelle, collegando la nascita alla morte.

La relazione massa iniziale-massa finale è sempre stata descritta, sia su basi osservative che teoriche, avere un andamento crescente: più la stella è massiccia alla nascita, più grande sarà la massa della nana bianca che rimarrà alla sua morte.

“Una volta confrontati i nuovi dati delle nane bianche con la relazione massa iniziale-massa finale, ci siamo trovati di fronte ad un risultato inaspettato e, in un certo senso, bizzarro: le masse di quelle nane bianche erano significativamente più grandi di quanto credessero fino ad oggi gli astrofisici. Non solo, ci siamo resi conto - dice Léo Girardi dell’Inaf di Padova - che la loro inclusione interrompeva la crescita lineare, introducendo una sorta di piccola increspatura nella relazione, in corrispondenza a stelle nate con una massa attorno a due volte la massa del Sole. Stelle nate all'incirca 1,5 miliardi di anni fa nella nostra Galassia non hanno prodotto nane bianche di circa 0,6-0,65 masse solari, come fino a oggi si poteva supporre, bensì, morendo, hanno lasciato dietro sé resti compatti più massicci, fino a circa 0,7-0,75 masse solari”.

 

I risultati

Una differenza apparentemente piccola, ma in realtà di notevole impatto per l’astrofisica. Come spiegare questo risultato "anomalo"? Lo studio ha interpretato quella piccola increspatura nella relazione massa iniziale-finale come la firma della sintesi del carbonio ad opera delle stelle di piccola massa nella Via Lattea.

“Nelle ultime fasi della loro vita le stelle con una massa iniziale circa pari a due volte quella del Sole forgiarono nuovi atomi di carbonio nei loro caldi strati interni, per poi trasportarli fino in superficie e spargerli nel mezzo interstellare. I nostri modelli stellari dettagliati - spiega Paola Marigo - indicano che la rimozione del mantello esterno ricco di carbonio fu un evento che si verificò abbastanza lentamente da consentire ai nuclei centrali di queste stelle, le future nane bianche, di crescere sensibilmente in massa, più di quanto si riteneva”.

Analizzando la relazione di massa iniziale-finale attorno al piccolo picco, i ricercatori hanno tratto altre importanti informazioni: se le stelle più massicce di due volte la massa del Sole contribuirono all'arricchimento del carbonio nella Via Lattea, quelle meno massicce di 1,5 masse solari non lo fecero. In altre parole una massa pari a circa 1,5 volte la massa del Sole rappresenta la massa minima affinché una stella prossima alla morte possa arricchire di carbonio il mezzo interstellare.

“Questo risultato è importante per due motivi. Per prima cosa pone dei vincoli rigorosi su come e quando il carbonio, l'elemento essenziale per la vita sulla Terra, fu prodotto dalle stelle della nostra galassia, finendo poi con l’essere intrappolato nella materia da cui il Sole e il suo sistema planetario si formarono circa 4,6 miliardi di anni fa. Ora sappiamo - continua Paola Marigo - che il carbonio, di cui siamo fatti, proviene da stelle con una massa alla nascita non inferiore a circa 1,5 masse solari. In secondo luogo questa scoperta ci aiuta a capire le proprietà delle galassie che popolano l'universo. Combinando assieme le teorie della cosmologia e dell'evoluzione stellare, ci aspettiamo che stelle luminose ricche di carbonio prossime alla morte, del tutto simili ai progenitori delle nane bianche che abbiamo analizzato in questo studio, stiano attualmente contribuendo alla luce emessa da galassie molto distanti. Quella stessa luce, che porta la firma del carbonio appena prodotto, viene raccolta dai grandi telescopi dallo spazio e dalla Terra per indagare l'evoluzione delle strutture cosmiche. Pertanto, comprendere la sintesi del carbonio nelle stelle significa anche avere un interprete affidabile della luce che ci raggiunge dall'universo lontano”.

La ricerca è il risultato di una estesa e proficua  collaborazione internazionale che ha attinto a molteplici competenze: dalla raccolta e dall'analisi di dati astronomici di eccellente qualità grazie ai tempi di osservazione assegnati a importanti telescopi (i telescopi Keck alle Hawaii, il telescopio spaziale Hubble) e altri dati resi disponibili dal satellite GAIA, alla generazione di modelli dettagliati di nane bianche e dei loro progenitori nelle varie fasi evolutive, dalla nascita fino alla morte.

Il gruppo di ricercatori vede coinvolte numerose università e istituti di ricerca, in particolare l'Università di Padova e Johns Hopkins University, American Museum of Natural History a New York, Columbia University, Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory, Space Telescope Science Institute, University of Warwick, University of Montreal, University of Uppsala, SISSA di Trieste, lstituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e University of Geneve.

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