SOCIETÀ

Censura e delegittimazione di Stato: il caso serbo e la libertà di stampa

Prima ti snobbano, poi ti deridono, poi se continui a fare il tuo lavoro iniziano a discreditarti ed infine, in casi estremi, arrivano ad eliminarti. È successo a Daphne Caruana Galizia, ad Anna Politkovskaja, a Jan Kuciak solo per citare gli ultimi casi, ma potremmo anche guardare dentro i nostri confini e ricordare Giancarlo Siani, Giuseppe Fava, Peppino Impastato, senza dimenticare chi continua a lavorare nonostante tutto, come Roberto Saviano, Rosaria Capacchione minacciata direttamente in un’aula di tribunale e costretta a vivere sotto scorta, Federica Angeli minacciata dal clan Spada di Ostia o, sempre riferendoci alla medesima associazione a delinquere di stampo mafioso, Daniele Piervincenzi, grazie al quale si accese ancora di più l’attenzione sulla situazione del litorale romano.

I nomi di giornalisti attaccati e derisi da chi era protagonista delle loro inchieste sarebbero molti. Precisamente sono stati 301 gli operatori dell’informazione (giornalisti, blogger, fotoreporter, video cronisti) colpiti da minacce e intimidazioni per metterli a tacere, per ostacolare la loro attività di fornire informazioni nell’interesse pubblico. I dati sono stati pubblicati da Ossigeno per l’informazione che fa emergere come il 24% dei minacciati sia rappresentato da donne. La metà delle intimidazioni (48%) poi, sono state realizzate con querele pretestuose, un quarto (25%) con avvertimenti, il 16% con aggressioni fisiche, il 10% con iniziative non perseguibili che hanno ostacolato arbitrariamente e in modo discriminatorio l’accesso alle informazioni, l’1% con danneggiamenti.

Nel 2021 sono stati 301 gli operatori dell’informazione (giornalisti, blogger, fotoreporter, video cronisti) colpiti da minacce e intimidazioni per metterli a tacere, per ostacolare la loro attività di fornire informazioni nell’interesse pubblico

La libertà di stampa e di opinione sembra essere messa a dura prova, non solo per chi di mestiere comunica o indaga. Ne è riprova un fatto aneddotico che però è utile citare per accorgersi che un clima di costante tensione spesso esplode in attacchi diretti a delle persone. Stiamo parlando delle minacce ricevute dalla professoressa dell’università di Padova Antonella Viola costretta a veder ridotta la sua libertà proprio a causa di alcuni personaggi che hanno pensato bene di provare a mettere a tacere l’immunologa con una lettera minatoria e delle pallottole. Personaggi che però non sanno che quando accade un fatto del genere è come se fosse sempre una miccia utile a far esplodere e rafforzare quella che i genitori di Giulio Regeni, un altro che ha pagato con la vita il suo lavoro, hanno sempre chiamato la “scorta mediatica”.

La scorta mediatica è l’unica protezione che un giornalista può avere per difendersi da calunnie, minacce o aggressioni. Lo sa bene chi ha il potere ed un articolo del New York Times uscito a metà gennaio mette in luce come sempre più spesso si cerchino strategie alternative per mettere a tacere delle voci libere.

L’illibertà di stampa si basa soprattutto sulla ricerca della distorsione dell’opinione pubblica. L’articolo di Andrew Higgins parte dalla storia di Ana Lalic, una giornalista serba che ad inizio 2020 aveva denunciato su Nova.rs la grave carenza di mascherine e dispositivi di protezione per i medici e infermieri nel suo Paese. Il 1 aprile era stata arrestata ma, anche sull’onda dell’opinione pubblica e delle pressioni da parte della Commissione Europea, il fermo durò poco e si concluse con le scuse da parte del Primo Ministro. L’allora premier serbo etichettò l’arresto della giornalista come una “decisione stupida”, ma secondo la stessa reporter le parole del politico furono dette solo perché la pressione mediatica era troppo forte per non farlo. La vicenda di Lalic però non si è conclusa con la scarcerazione, bensì è proseguita nelle settimane seguente, dove lo stesso governo ha di fatto chiuso tutte le conferenze stampa per giornalisti, i quali potevano porre domande solamente tramite mail. Un cambio di tattica da parte del governo che mirava più a screditare i giornalisti che a metterli a tacere. 

Non è una novità questa, basti pensare alle accuse rivolte a Daphne Caruana Galizia mentre pubblicava le sue inchieste, ma non solo. Anche in Italia purtroppo abbiamo notato spesso che da parte della politica si tende più a screditare la persona che rispondere punto su punto alle accuse che emergono da un’eventuale inchiesta giornalistica. Lo vediamo costantemente con le trasmissioni d’inchiesta più famose ma l’abbiamo notato spesso anche in casi come quello che Roberto Saviano racconta nel suo nuovo fumetto, intitolato “Sono ancora vivo”.

 

L’illibertà di stampa si basa soprattutto sulla ricerca della distorsione dell’opinione pubblica

Tornando alla Serbia ed al suo presidente, la nuova tattica sembra essere quella di mettere il bastone tra le ruote dei giornalisti con tutti i mezzi leciti. A riferirlo è ancora Andrew Higgins sul New York Times che focalizza l’attenzione sull’emittente N1, cioè quella che trasmetteva i reportage di Ana Lalic. N1 è un canale indipendente ma si basa sui servizi offerti da Serbia Broadband, cioè una televisione via cavo e un fornitore di banda larga. Telekom Srbija, cioè la società di telecomunicazioni controllata direttamente dallo Stato, ha recentemente cercato di strappare i diritti per trasmettere la Premier league di Calcio inglese proprio a SBB. L’offerta, secondo Higgins, sarebbe stata del 700% superiore a quella fatta da Serbia Broadband. 

Togliere il calcio ad una tv significa di fatto ridurre di molto i telespettatori e se questa tv è l’unica, assieme alla piccola emittente Nova S creata nel marzo 2019, a dare voce all’opposizione del governo è chiaro come anche la libertà di stampa sia a rischio.

La conferma arriva indirettamente anche dal V-Dem Institute, cioè il gruppo di ricerca svedese che classifica i paesi più autocratici. Ungheria, Polonia, Serbia e Slovenia sono tra i Paesi che hanno avuto un declino di libertà più marcato. Secondo l’istituto il paese è tra i "primi 10 paesi autocratizzati". 

Insomma in Serbia i giornalisti non vengono più uccisi, ma la libertà di stampa sembra essere compromessa. Ne è riprova il fatto riportato dal NYT di quando nel 2020 lo United Group ha avviato un giornale libero e tendenzialmente favorevole all'opposizione e non è riuscito a trovare un tipografo in tutta la Serbia disposto a toccarlo. Il giornale ora viene stampato nella vicina Croazia e inviato in Serbia.

Il pluralismo d’opinione, la libertà di parola e di stampa sono fondamentali per la salute della democrazia. Cercare di reprimerle, con mezzi leciti o no, significa attentare anche alla salute del proprio popolo stesso. Papa Francesco solo poche settimane fa ha detto che “il buon giornalismo significa saper ascoltare, approfondire, raccontare”. E spesso queste azioni bisogna farle nonostante chi è oggetto di questi approfondimenti cerchi costantemente di sviare l’attenzione.

 

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