Il Consiglio d’Europa pochi giorni fa ha pubblicato un report sulla libertà di stampa in Europa. Il documento, intitolato “Democracy at risk: threats and attacks against media freedom in Europe” (Democrazia a rischio: minacce e attacchi contro la libertà dei media in Europa), inizia in modo eloquente: “La libertà di stampa in Europa è nel momento di più fragilità dalla fine della Guerra Fredda”. Sono quattro gli stati su cui si concentra in particolare il report annuale: la Turchia, l’Italia, l’Ungheria e la Russia.
La premessa, prima di analizzare nel concreto questo report bisogna farla su chi l'ha pubblicato. Il Consiglio d’Europa non è un organo dell’Unione Europea, bensì un’istituzione nata nel 1949 per promuovere la democrazia e i diritti umani. L’ultimo rapporto pubblicato è stato presentato da una piattaforma che ha incluso anche altri diversi enti, come la Federazione internazionale dei giornalisti, l’Associazione dei giornalisti europei, la Federazione europea dei giornalisti, Article 19, Reporter senza frontiere, Unione europea di radiodiffusione, PEN International, International News Safety Institute, Rory Peck Trust, il Comitato per la protezione dei giornalisti, Index on Censorship e l’International Press Institute.
“ la libertà di stampa in Europa e nel momento di più fragilità dalla fine della Guerra Fredda
La libertà di stampa in Turchia
Del Paese governato da Erdogan abbiamo già parlato qualche mese fa, quando il governo turco aveva licenziato in tronco più di 18mila dipendenti pubblici. “Dal tentativo di colpo di stato del 2016 - cita il rapporto -, oltre 200 giornalisti sono stati arrestati a causa delle loro pubblicazioni” e questo trend è continuato anche nel 2018, in particolare nella parte sud est del Paese.
L’accusa principale per la maggioranza dei giornalisti arrestati è quella d’appartenere o fare propaganda a favore di gruppi considerati terroristici.
C’è però poi un'ulteriore aggravante, messa in luce dal rapporto del Consiglio d’Europa, e riguarda la tortura. Secondo la Corte Europea dei diritti umani la detenzione in solitaria per diversi mesi è equiparabile al reato di tortura e sembra si proprio la modalità con cui sono stati detenuti il giornalista tedesco Deniz Yücel, liberato il 16 febbraio 2018, e Nedim Türfent, ancora imprigionato.
Questo non è stato l’unico caso di diritti violati nei confronti di giornalisti. Il report infatti traccia anche altri due eventi principali: il primo, accaduto da inizio 2018, è stato un grande procedimento penale contro giornali e giornalisti come il quotidiano Cumhuriyet, i fratelli Ahmet and Mehmet Altan (quest’utimo poi rilasciato), la giornalista Nazlı Ilıcak ed il quotidiano Zaman, che fino a commissariamento avvenuto il 4 marzo 2016, era il quotidiano più diffuso in Turchia.
Il secondo caso citato nel report riguarda il già citato Mehmet Altan e il giornalista Şahin Alpay. La Corte Costituzionale della Turchia infatti ha stabilito nel gennaio 2018 che c’era stata una violazione dei diritti umani nei confronti dei due giornalisti e che avrebbero dovuto essere liberati ma inizialmente i tribunali hanno respinto la decisione.
La libertà di stampa in Italia
“L'Italia è tra i paesi con il maggior numero di segnalazioni pubblicate sulla piattaforma nel 2018. Tredici allarmi focalizzati sull'Italia, lo stesso numero della Russia”. Il report del Consiglio d’Europa non usa mezzi termini per parlare dell’Italia, disegnando un’immagine della libertà di stampa sicuramente non positiva.
“Mafia ed organizzazioni criminali sono gli argomenti principali. Ventuno giornalisti italiani sono minacciati dalla mafia e vivono sotto la protezione permanente della polizia. Inoltre, diversi giornalisti sono stati intimiditi e attaccati da membri di gruppi neofascisti”. Il rapporto del Consiglio d’Europa però non risparmia nemmeno la politica italiana.
“ diversi giornalisti sono stati intimiditi e attaccati da membri di gruppi neofascisti
“La maggior parte degli allarmi alla libertà di stampa - continua il report - è avvenuto dopo l'istituzione del nuovo governo. I due vice-premier Luigi Di Maio e Matteo Salvini esprimono regolarmente ostilità nei confronti dei giornalisti attraverso i loro social media”.
“Tra l’altro - conclude il Consiglio d’Europa - il vice-primo ministro Salvini ha minacciato di togliere la scorta al giornalista investigativo Roberto Saviano, nonostante le minacce fatte dalle organizzazioni criminali”.
La libertà di stampa in Russia
Sono stati 13 gli alert sulla libertà di stampa in Russia nel 2018. “I giornalisti e blogger indipendenti russi affrontano azioni legali, finanziarie, violazioni dei diritti fondamentali, tutte azioni dettate poi da impunità”. Le segnalazioni inoltre fanno anche riferimento al sul crescente controllo delle autorità russe sul flusso di informazioni, che restringe fortemente i diritti di libertà d’espressione, opinione e informazione.
Il report del Consiglio d’Europa inoltre cita il caso di Maksim Borodin, giornalista investigativo che il 15 aprile 2018 è morto cadendo dalla finestra del suo appartamento al quinto piano. Nelle settimane precedenti al fatto Borodin aveva pubblicato una relazione sulla corruzione locale, le carceri e il il coinvolgimento degli appaltatori militari russi privati in Siria, reportage che aveva avuto un risalto nazionale. I rapporti ufficiali chiusero il caso Borodin come un suicidio.
Oltre ai già citati fatti che potremmo definire ad personam, in Russia nel 2018 c’è stato anche un tentativo di bloccare alcuni mezzi di comunicazione. Tra tutti, l’applicazione di messaggistica Telegram.
“Uno sviluppo particolarmente allarmante - conclude il report - è stata l'adozione da parte del parlamento russo di una legge per estendere lo status di "foreign agent" ai media, singoli giornalisti e altri scrittori che ricevono finanziamenti esteri. Lo status di “foreign agent” in pratica è l’etichetta di chi vuole svolgere gli interessi di un paese straniero, a discapito di quello d’appartenenza.
La libertà di stampa in Ungheria
L’Ungheria è il quarto Paese su cui il Consiglio d’Europa ha voluto fare un focus. Tre sono state le segnalazioni arrivate alla piattaforma mentre due sono gli esempi concreti riportati: il primo riguarda il giornalista investigativo András Dezső che nel 2018 è stato accusato d’abuso di informazioni personali sensibili, incarcerato e poi rilasciato a Novembre. Il secondo riguarda il portavoce del governo ungherese Zoltán Kovács e gli attacchi verbali contro Lili Bayer corrispondente di Politico.
Il documento rilasciato dal Consiglio d’Europa parla anche di “forte polarizzazione dei media, con mancanza di dibattito ed una struttura fortemente pro-governativa”.
Giornalisti uccisi
L’Europa negli ultimi due anni è stata scossa da due eventi principali che l’hanno fatta ripiombare nell’incubo delle uccisione di voci indesiderate, incubo di cui noi italiani purtroppo potremmo definirci esperti. L’omicidio di Daphne Caruana Galizia a Malta nel 2017 e quello di Ján Kuciak e della sua fidanzata Martina Kušnírová in Slovacchia.
Entrambi, con modalità diverse, con il loro lavoro avevano messo in luce sistemi di corruzione ed un sodalizio tra la politica e la criminalità.
“ In memoria di Daphne Caruana Galizia e Ján Kuciak
Daphne Caruana
Daphne è stata uccisa il 16 ottobre 2017 con una bomba piazzata sulla sua auto che la fece esplodere a pochi passi da casa. il primo a sentire il boato fu il figlio Matthew che corse a vedere l’accaduto e scopri l’attentato.
Il lavoro di Daphne si era concentrato sul coinvolgimento di alcuni politici maltesi all’interno della più grande inchiesta sui Panama Papers, arrivando ad ipotizzare che una società implicata nel caso fosse di proprietà di Michelle Muscat, cioè la moglie del primo ministro Joseph Muscat.
L’uccisione di Daphne scosse il mondo del giornalismo. Il suo lavoro però non è andato perduto, dal tragico destino è nato il The Daphne Project, cioè il tentativo di diverse testate giornalistiche mondiali di portare avanti le inchieste della giornalista per andare a fondo sulle vicende che vedrebbero Malta come nodo cruciale per il riciclaggio nell’Unione Europea. Le testate giornalistiche che partecipano al The Daphne Project sono: la Repubblica, Le Monde, il New York Times, The Guardian, Reuters, Süddeutsche Zeitung e Die Zeit.
Ján Kuciak e Martina Kušnírová
Il 26 febbraio 2018 Ján Kuciak e la sua ragazza Martina Kušnírová sono stati trovati morti a Veľká Mača una cittadina a 50 km da Bratislava. Ad ucciderli un colpo di pistola. Della morte del giovane giornalista (aveva 28 anni) non si sa molto altro se non che il suo lavoro l’aveva portato ad affrontare il delicato tema della gestione dei fondi provenienti dall’Unione Europea.
In particolare Kuciak aveva ipotizzato un legame tra politici slovacchi, imprenditori italiani e ‘ndrangheta.
Nell’ultimo articolo, quello che probabilmente indusse i suoi killer a farlo tacere per sempre scriveva:
“Quattordici anni fa, un italiano di nome Carmine Cinnante arrivò nella cittadina di Michalovce. Una mattina partì con la sua Fiat dal paesino di Novosad, a circa 40 chilometri da Michalovce, dove viveva con la sua fidanzata, Lýdia….Mentre i due stavano guidando su una stradina di campagna, verso la strada principale che collega i paesini di Porostov e Ostrov, nel distretto di Sobrance, notarono una pattuglia della polizia.
La Fiat Punto bianca con targa italiana iniziò improvvisamente a fare inversione. I poliziotti si insospettirono per il comportamento dell’uomo, fermarono l’auto e controllarono. Sul sedile posteriore trovarono una valigetta di legno nera con un’arma da fuoco, 50 pallottole e un caricatore. Era un fucile mitragliatore di fabbricazione cecoslovacca modello 26 con un mirino laser, ma il numero di serie era cancellato...Alcuni mesi dopo, la polizia italiana arrestò Cinnante con l’accusa di contrabbando di armi per conto del boss Guirino Iona. Iona era il boss della cosca di Belvedere di Spinello, uno dei clan della mafia italiana economicamente più potente ai giorni nostri, la 'ndrangheta. Come i documenti dell’inchiesta dimostrano, Carmine Cinnante è anche un affiliato della ‘ndrangheta”.
“ Kuciak aveva ipotizzato un legame tra politici slovacchi, imprenditori italiani e ‘ndrangheta
Kuciak inoltre fece anche altri nomi, tra cui quello di Antonio Vadalà, personaggio che avevamo già incontrato parlando dell’inchiesta Picciotteria 2.
“Antonino Vadalà e Carmine Cinnante non sono i soli ad agire in Slovacchia - continua il reporter nel suo ultimo articolo -. Nella parte orientale del paese operano altri quattro rappresentanti della famiglia italiana della Calabria, culla della 'Ndrangheta. Oltre ai Vadalà e ai Cinnante, ci sono anche le famiglie Roda e Catroppa. L'agricoltura è diventata la loro attività principale in Slovacchia. Possedevano o ancora possiedono dozzine di società. La loro proprietà varia in decine di milioni di euro. Gestiscono centinaia di migliaia di ettari di terra, per i quali ricevono milioni di sussidi, dallo stato e dall’Ue".
'Ndrangheta, fondi europei e influenze mafiose sulla politica slovacca, fino ad ipotizzare un legame tra Vadalà ed il primo ministro Robert Fico. Legame che sarebbe avvenuto, secondo il giornalista, tramite Mária Trošková, ex finalista di miss universo 2007, con cui Vadalà avrebbe fondato una società, la Gia Management. La donna avrebbe lasciato l'azienda poco dopo per fare carriera politica, fino ad arrivare nella squadra dei nove dell’ufficio centrale proprio del primo ministro Robert Fico.
L’articolo di Ján Kuciak termina con una frase chiara, a cui però il giornalista non ha più potuto dar seguito:
“Nel 2017, i nomi dei familiari di Antonino Vadalà sono comparsi in un mandato di arresto per 18 membri della banda che dovevano contrabbandare centinaia di chilogrammi di cocaina in Europa per la 'Ndrangheta. I Vadalà sono menzionati solo nel mandato di arresto. I dettagli del caso non sono ancora noti”.