L’emergenza ha messo tutti a dura prova, ma in prospettiva potrebbe addirittura rafforzare l’agroalimentare italiano. È l’opinione di Fabio Renzi, segretario generale di Symbola, fondazione che da anni si occupa di promuovere la qualità italiana: “Nella fase più di dura del lockdown in molti hanno preso coscienza che l’Italia è un importante produttore di beni alimentari – spiega a Il Bo Live –; questo ci ha dato sicurezza sul fatto che non ci sarebbe stata scarsità di cibo e consapevolezza dell’importanza del settore agricolo”. Quanto ad abitudini e stili di vita probabilmente l’emergenza non ha fatto altro che confermare e rafforzare tendenze già in atto tra i consumatori: “Negli ultimi anni avevamo registrato un’attenzione crescente rispetto a sostenibilità, tracciabilità, sicurezza e qualità del cibo; con il lockdown è poi aumentato il consumo di prodotti biologici, indicatore del fatto che oggi si cerchi un’agricoltura di qualità”.
Un trend probabilmente destinato a crescere in futuro, e in cui l’Italia al momento non ha rivali: “Nell’agricoltura biologica siamo da anni ai vertici mondiali con oltre 70.000 prodotti che sfruttano il 15,5% della superficie agricola nazionale, davanti alla Spagna con il 9,7% e alla Francia con il 7,5%. Siamo inoltre il Paese con minori residui chimici oltre i limiti di legge negli alimenti: riguardano lo 0,8% dei prodotti, contro la media Ue dell’1,3% e il 5,5% extra Ue”.
Altra tendenza che sembra uscire rafforzata dalla pandemia è quella alla responsabilità ambientale e sociale, individuale e collettiva: “Pandemia e crisi climatica sono due facce della stessa medaglia: quella della sostenibilità. Se vogliamo rendere le città più abitabili dobbiamo ad esempio intervenire sulla mobilità pubblica, ridurre gli spostamenti, muoverci con mezzi meno inquinanti e capire il valore della prossimità. Per questo ad esempio il sindaco di Parigi Anne Hidalgo ha lanciato il progetto ‘Città in un quarto d’ora’: fare in modo che in ogni quartiere siano presenti tutti i servizi, da quelli sanitari alla distribuzione, fino alle attività sportive”. Un rovesciamento rispetto al modello precedente che tocca anche il modo di concepire il cibo e il territorio: “Questa ricerca della prossimità esige che anche l’agricoltura assuma una dimensione diversa, non solo agroindustriale: pensiamo solo a quanti orti urbani sono nati negli ultimi anni”.
“ Durante il lockdown è aumentato il consumo di prodotti biologici, segno del fatto che si cerca la qualità
Insomma la nuova frontiera dell’agroalimentare è la sostenibilità, che in prospettiva può divenire anche un volano per tutto il settore. “I prodotti italiani sono già caratterizzati da una qualità che non è solo organolettica ma riguarda anche i processi produttivi: se aggiungiamo anche la sostenibilità diventeremo ancora più forti. Un esempio: da anni i neozelandesi fanno un vino con bassa emissione di Co2: pensiamo se iniziassimo anche noi a farlo su grande scala, con i nostri vitigni autoctoni e gli ambienti, la storia e l’identità che ci contraddistinguono. Il vantaggio dell’Italia non sta solo nella sua grande capacità di elaborare prodotti che rispondono alle esigenze della gente, ma anche nel suo retroterra identitario e culturale: un vantaggio fondamentale in una società che cerca allo stesso tempo originalità e autenticità”.
Nel mondo postpandemia ci sono però anche molti pericoli, a partire dal rischio che la chiusura delle frontiere, unita al risorgere di visioni autarchiche e al tramonto della globalizzazione, segnino un ritorno del protezionismo. Una minaccia per un settore che, come quello agroalimentare, è da sempre una perla del nostro export. “Sarebbe una stupidaggine, non esiste un Paese autosufficiente dal punto di vista alimentare – continua Renzi –. Quello che invece l’Ue può fare è adottare misure antidumping. Spesso le produzioni di altri Paesi sono frutto di allevamenti intensivi e di monoculture che non rispettano le norme che noi europei ci siamo dati per la salvaguardia dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori”. Rispetto a questo fenomeno, secondo Renzi, la risposta non sta nel protezionismo ma nell’attenzione a tracciare l’origine dei cibi, premiando i produttori che rispettano i diritti e l’ambiente: “L’Europa deve imporre non dazi e chiusure ma un filtro basato sui valori, riconoscendo allo stesso tempo un prezzo adeguato ai produttori”.
L’importante è tornare a promuovere il cibo come cultura: “L’Italia ha la qualità nel suo patrimonio genetico per tutta una serie di ragioni storiche: le radici del Made in Italy affondano nella tradizione dei liberi comuni, in quel momento tra feudalesimo e modernità in cui si consuma il passaggio dall’economia dei bisogni a quella dei desideri e della rappresentazione”. Una tradizione che non rappresenta solo un retaggio storico: “Oggi si tende a recuperare un concetto di economia legata anche ai valori culturali e sociali, da cui la qualità non è scissa né indipendente. Oggi la qualità viene dalla sostenibilità ambientale, dalla responsabilità sociale e dalla creatività, e in questo le aziende più virtuose sono anche quelle più forti”.
La richiesta di responsabilità nei consumi deve però partire soprattutto dai consumatori: “Un litro d’olio o un barattolo di pomodoro non possono costare pochissimo, se non a prezzo di schiavismo o di truffa – conclude Renzi –. Nutrirsi bene non è solo questione di stile, ma anche di salute: controllare quello che si mangia è la prima forma di prevenzione”.