SCIENZA E RICERCA

Come ci muoviamo nel mondo? Le risposte sono nelle scale della mobilità umana

La pandemia da Covid-19 ha fatto balzare all’attenzione di tutti quanto sia importante capire come si spostano le persone nella loro vita quotidiana: ne aveva parlato già ad aprile la rivista Science spiegando che le stime dei flussi aggregati sono incredibilmente preziose e possono aiutare a perfezionare gli interventi di contenimento dei contagi fornendo informazioni quasi in tempo reale sui cambiamenti nei modelli di movimento umano. 

Più recentemente le potenzialità di questo ambito di studi sono state esplorate da un articolo di Nature, di cui si è parlato anche sui media italiani, che ha mappato gli spostamenti orari di 98 milioni di cittadini statunitensi dai relativi quartieri a luoghi di ritrovo e punti di interesse, come ristoranti, chiese e palestre, per cercare di identificare i contesti a maggiore rischio di contagio da SARS-CoV-2 e concentrare su questi le misure di contenimento dell'epidemia, senza arrivare a chiusure estese e generalizzate. 

Le applicazioni legate ai modelli della mobilità umana si estendono però anche ad ambiti ben diversi rispetto al controllo di un’epidemia: conoscere i movimenti compiuti da ogni individuo nell’arco della propria giornata può infatti aiutare anche a progettare meglio gli spazi urbani e a ottimizzare la pianificazione del sistema dei trasporti.

Laura Alessandretti insegna Modelling of Human Dynamics alla Technical University of Denmark ed è arrivata a Copenhagen dopo aver ottenuto un master in Fisica dei sistemi complessi all’École normale supérieure di Lione, un dottorato in Matematica alla City University di Londra e una laurea in Fisica all’università di Torino. 

E’ a questa giovane scienziata, e ai suoi collaboratori Ulf Aslak e Sune Lehmann, che si deve il superamento di un paradosso che da tempo aveva attirato l’attenzione della comunità scientifica, vale a dire il fatto che i modelli della mobilità umana non rivelassero l’esistenza di quelle scale spaziali, come quartieri, città e paesi, che caratterizzano, anche intuitivamente, i nostri spostamenti. Lo studio della professoressa Alessandretti e del suo team di ricerca, pubblicato nei giorni scorsi su Nature, ha permesso di spiegare il motivo di questa contraddizione che era emersa nei precedenti modelli di mobilità individuale e collettiva e soprattutto è riuscito a mostrare l’esistenza di scale spaziali significative che danno una struttura gerarchica agli spostamenti che ognuno di noi compie nella propria vita.

Il modello proposto dagli autori si è basato sugli spostamenti di 700 mila persone in tutto il mondo, ottenuti attraverso la localizzazione GPS degli smartphones, con un'elevata risoluzione temporale e spaziale. Lo studio ha inoltre mostrato che la mobilità è anche influenzata da differenze legate al genere e al livello di urbanizzazione. 

Ci siamo fatti raccontare direttamente da Laura Alessandretti perché è importante analizzare la mobilità umana e in che modo il lavoro di ricerca condotto dal suo team è riuscito a identificare i contenitori spaziali che caratterizzano gli spostamenti delle persone e a fare delle simulazioni generando delle tracce sintetiche che ricalcano il più fedelmente possibile quelle umane. L’idea, ci ha spiegato la prima autrice dello studio pubblicato su Nature, è applicare il metodo scientifico ai sistemi sociali, un ambito molto diverso da quelli che sono stati tradizionalmente studiati dai fisici e lei stessa ha dovuto quindi acquisire anche competenze anche in discipline come la sociologia, l’economia, la geografia e le scienze cognitive.

Laura Alessandretti, docente alla Technical University of Denmark, approfondisce lo studio sulla mobilità umana, recentemente pubblicato su Nature, di cui è prima autrice. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"Lo studio della mobilità umana - introduce la professoressa Laura Alessandretti della Technical University of Denmark - è un ambito molto importante e ce ne siamo accorti in modo particolare in questo periodo. Però in realtà è un campo che esiste dalla fine dell’800 perché c’è un interesse a capire sia gli spostamenti su lunghe scale temporali, ad esempio le migrazioni o i grandi spostamenti dalle campagne ai centri urbani, sia quelli su piccole scale temporali a livello quotidiano. Nel primo caso l’obiettivo è cercare di capire come progettare le città del futuro nel momento in cui ci attendiamo l’arrivo di grandi masse di persone. Nel secondo invece è individuare quali sono i punti di maggiore interesse per gli abitanti di una città e poter in questo modo progettare spazi urbani migliori. Nell'eventualità di un'epidemia l’interesse è quello di prevedere gli spostamenti delle persone affinché queste informazioni possano aiutare a sviluppare politiche di contenimento. Altre applicazioni dei modelli di mobilità riguardano il sistema di trasporti perché per poterne migliorare la pianificazione è necessario prevedere dove le persone si sposteranno".

Entrando nello specifico all'interno dello studio realizzato dalla professoressa Alessandretti e dai suoi collaboratori, la prima autrice della ricerca ci spiega che si tratta "di un lavoro che ha risolto un paradosso che si era venuto a creare in letteratura. Le scienze cognitive ci dicono noi percepiamo e comprendiamo lo spazio attraverso un modello di tipo gerarchico: abbiamo una struttura di posti che vanno dalla stanza, all’edificio, al quartiere, alla città, al Paese e così via. E i geografi sostengono che la maniera in cui ci spostiamo è sicuramente influenzata dalla dimensione gerarchica che è alla base della nostra percezione dello spazio".

"Negli ultimi 15-20 anni, grazie ai dati raccolti dai cellulari, abbiamo potuto ampliare moltissimo la nostra conoscenza su come milioni di persone si spostano quotidianamente. Questi studi mostravano l’assenza di particolari scale caratteristiche nella mobilità umana e il fatto che ci muoviamo in un ambiente fatto di stanze, edifici, quartieri e città non risultava evidente nel modo in cui queste tracce erano osservate. Siamo così venuti a trovarci davanti a un paradosso su cui la comunità scientifica ha inziato a interrogarsi. Nelle tracce umane apparivano le scaling laws, leggi di invarianza di scala che non permettevano di osservare queste scale caratteristiche. Il nostro lavoro ha permesso di spiegare qual è il motivo all’origine di questo paradosso e qual è la ragione che rende difficile estrarre queste scale dalle tracce umane. Abbiamo sviluppato un modello che migliora quelli proposti in precedenza, permette di capire e modellizzare gli spostamenti delle persone e rende possibile prevedere meglio la mobilità, soprattutto a livello individuale", approfondisce Laura Alessandretti.

Tra i principali risultati del nuovo modello della mobilità umana c'è la possibilità di generare tracce sintetiche sulla base delle quali effettuare le simulazioni che servono per capire i meccanismi degli spostamenti. "Abbiamo raccolto un grosso data set di tracce umane e abbiamo fatto alcune analisi, però - precisa la docente della Technical University of Denmark -  molto spesso questi dati non sono a disposizione. Quindi, per esempio, quello di cui c’è bisogno per capire gli spostamenti all’interno di una grande città è avere molte tracce e se non abbiamo a disposizione quelle reali, ci occorrono tracce che le ricalchino in modo il più possibile simile. Noi abbiamo un modello che genera tracce sintetiche molto realistiche e simili alle vere tracce umane, quindi anche senza avere grandi moli di dati possiamo fare delle simulazioni per capire come si spostano le persone".

"Dall’altra parte - prosegue Laura Alessandretti - aver indentificato questi contenitori spaziali ci permette di fare analisi e considerazioni che prima non riuscivamo a fare. Per esempio abbiamo scoperto che esistono delle differenze a livello di genere: abbiamo visto che mediamente questi contenitori tendono ad essere più piccoli nel caso degli spostamenti delle donne perché le donne tendono a muoversi di meno in termini di estensione spaziale. Al tempo stesso però la loro mobilità ha una struttura più complessa perché si delinea in diversi livelli gerarchici. Le spiegazioni possono essere numerose ed è noto in letteratura che le motivazioni dei viaggi delle donne sono molto più variegate e differenti rispetto a quelle degli uomini che invece tendenzialmente tendono a effettuare spostamenti ripetitivi e legati al tragitto casa-lavoro, sebbene ricoprano più spesso ampie distanze spaziali. Abbiamo studiato anche differenze tra contesti urbani e rurali e abbiamo visto che in questi ultimi i contenitori tendono ad essere molto più ampi perché le persone hanno meno accesso, nei paraggi di casa, a tutti i servizi di cui hanno bisogno. Altre possibili applicazioni riguardano l’idea di cercare di definire le città e i quartieri a partire dagli movimenti stessi delle persone: noi abbiamo definizioni amministrative di quartieri e città ma non è detto che corrispondano effettivamente a quello che noi sperimentiamo nel nostro quotidiano".

Quanto alla possibilità di utilizzare le informazioni sugli spostamenti delle persone verso l'ambito che al momento avvertiamo come più urgente, cioè il contrasto alla pandemia, Alessandretti spiega che i modelli della mobilità umana possono essere senza dubbio di aiuto ma occorre che siano in equilibrio con le esigenze legate alla privacy individuale. Inoltre, come ampiamente approfondito da Francesco Suman nell'intervista al professor Walter Quattrociocchi, direttore del Center of Data Science and Complexity for Society e membro della task force governativa sui web data per l’emergenza coronavirus, al tema della riservatezza personale si aggiungono altre difficoltà che vanno dagli aspetti di infrastruttura di raccolta dati alla questione relativa alla proprietà dei dati stessi. 

"Durante la prima ondata - entra nel merito la professoressa Alessandretti - molte compagnie hanno diffuso dati aggregati che mostravano come le persone avevano cambiato le proprie abitudini e questo può aiutare chi deve prendere le decisioni a capire la reazione delle persone davanti ai diversi tipi di restrizioni e a valutare le conseguenze delle misure sul nostro modo di comportarci. I modelli della mobilità ci possono inoltre aiutare a prevedere quale sarà l’andamento dell’epidemia: una delle applicazioni più classiche è effettuare l’analisi dei dati dei movimenti aerei per fare delle previsioni statistiche su dove il virus arriverà prima e quali sono le aree su cui bisogna agire più tempestivamente. Esiste quindi questo lato di previsione dell’epidemia nel futuro a partire da modelli e analisi dei dati che descrivono gli spostamenti delle persone. Ovviamente c’è un trade-off tra il rispetto della privacy dell’individuo e le attività di monitoraggio dell’epidemia basate sul comportamento umano e spetta ai decisori politici gestire questo rapporto nel modo più saggio possibile. Sicuramente conoscere con esattezza dove ogni persona si sposta non andrebbe incontro alle esigenze di mantenere la privacy".

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