Le discriminazioni – di genere, ma non solo – pongono un inaccettabile freno alla libertà e alla dignità personale a cui tutti e tutte hanno diritto in una società democratica. Per essere liberi e libere abbiamo bisogno di sentirci al sicuro; ma se un contesto sociale ci discrimina e ci chiude le porte in faccia a priori per come siamo o per come appariamo, sia la sicurezza che la libertà diventano impossibili. Per questo motivo, fenomeni come la disparità di genere, il razzismo e l’omotransfobia limitano il nostro potenziale – privando quindi la società intera del contributo positivo che tutti e tutte possiamo apportare – e, soprattutto, hanno un impatto potenzialmente distruttivo sul benessere emotivo e psicologico di chi li sperimenta.
Quando ci si interroga rispetto alle strategie da adottare per contrastare la cultura patriarcale e discriminatoria che è ancora dolorosamente radicata nella nostra società, ci si rende conto di come l’inasprimento delle pene e l’aggiornamento dei codici legislativi non siano sufficienti per la creazione di una cultura paritaria e basata sul rispetto reciproco se non sono accompagnate da nuove forme di educazione che promuovano quel cambiamento culturale di cui abbiamo bisogno.
L’università di Padova ha deciso di rispondere a questa sfida con la realizzazione di un nuovo corso online dal titolo Equità e inclusione. Questioni di genere, omotransfobia, razzismo e discriminazione, inaugurato il 6 dicembre scorso. Quest’occasione formativa rappresenta una delle strategie previste dal Piano di uguaglianza di genere che l’università ha stabilito nel 2022 per la costruzione di un contesto di studio e lavoro sicuro e accogliente.
“L’idea di questo corso è nata circa un anno fa dal desiderio di costruire una cultura inclusiva all’interno dell’Ateneo attraverso messaggi chiari e facilmente interpretabili, con l’obiettivo di creare un ambiente favorevole e rispettoso”, afferma Gaya Spolverato, delegata della rettrice alle Politiche per le pari opportunità. “Quest’attività di formazione è stata pensata sulla falsa riga di corsi online tradizionalmente utilizzati sulla sicurezza o il primo soccorso, che servono a fornire conoscenze pratiche in determinati ambiti. In particolare, il corso in questione ha lo scopo di aiutare le persone a riconoscere diverse forme di discriminazione, violenza, molestie, razzismo e omotransfobia e sapere quali sono gli strumenti attualmente a loro disposizione per reagire e trovare supporto sia all’interno che all’esterno dell’università.
L’efficacia di questa opportunità formativa verrà valutata inizialmente tramite la raccolta di pareri da parte delle persone che lo hanno seguito. Qualora poi il corso diventasse obbligatorio per tutti i nuovi iscritti e assunti – cosa che potrebbe avvenire con l’inizio del prossimo anno accademico – si potranno osservare ancora meglio i risultati ad almeno un anno di distanza dall’inizio dell’obbligatorietà. A quel punto si potrebbe contemplare la possibilità di esportarlo anche ad aziende e altre istituzioni operanti sul territorio (e non solo) tramite tutta la rete di contatti unipd, assolvendo così alla terza missione dell’università”.
Parlare di terza missione significa promuovere l’idea secondo cui le accademie non abbiano solo il compito di produrre e conservare il sapere, ma anche quello di diffondere la conoscenza al di fuori delle proprie mura, contribuendo così al progresso culturale e scientifico di tutta la società. Infatti, nonostante l’obiettivo del corso sia principalmente quello di promuovere un comportamento inclusivo e non discriminatorio all’interno dell’Ateneo, la speranza è che i contenuti delle lezioni riescano ad accompagnare le persone nel loro percorso anche al di fuori nell’ambito universitario.
Tornando invece al tema dell’obbligatorietà, Spolverato considera tale requisito fondamentale per assicurarsi di raggiungere l’intera comunità unipd. “Se un corso è facoltativo, è verosimile che venga seguito solo da persone già interessate alla materia”, sottolinea. “In quel caso, ovviamente, non centrerebbe l’obiettivo di creare una cultura paritaria laddove ce n’è più bisogno. Pertanto, la volontà è quella di renderlo obbligatorio dopo questa prima fase di rodaggio durante la quale, attraverso i feedback di coloro che lo stanno seguendo, capiremo l’eventuale necessità di apportare modifiche o di aggiungere ulteriori moduli”.
Gli argomenti trattati nel corso sono organizzati in sei moduli (“i dati della parità di genere”, “un approccio socio-psicologico alle discriminazioni di genere”, “discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e l’identità di genere”, “riconoscere e contrastare il razzismo”, “molestie e discriminazioni: quando si è vittima e come agire?”, “l’Università di Padova: strumenti, politiche e azioni per l’equità e l’inclusione”). Ogni modulo nasce dal contributo di esperti ed esperte provenienti da diverse aree disciplinari e si sviluppa attraverso varie forme di contenuti didattici: video, audio, grafici, glossari, articoli, letture consigliate e persino forum in cui i partecipanti possono condividere per iscritto le proprie riflessioni e leggere quelle degli altri, confrontandosi quindi virtualmente con gli altri membri della comunità universitaria.
“È estremamente interessante l’idea di rendere questi moduli interattivi – riflette Spolverato– sia per raccogliere feedback e opinioni da parte delle persone che frequentano il corso così da poterlo migliorare, sia per rispondere alle necessità della comunità dell’Ateneo creando spazi di dibattito sugli argomenti trattati nei moduli. È importante, inoltre, garantire al corso una certa dinamicità, tenendolo costantemente aggiornato man mano che passano gli anni”.
La speranza, perciò, è che attraverso il completamento di tutti i moduli, il corso ci aiuti a prendere coscienza dei nostri diritti e a riconoscerli allo stesso modo in tutti gli altri, riscoprendoci tutti e tutte alla pari e, di conseguenza, impegnandoci ogni giorno perché tale parità venga sempre rispettata. L’inclusione, insomma, è anche nelle nostre mani. Con il nostro agire quotidiano possiamo modificare, anche solo di poco, l’ambiente in cui studiamo e lavoriamo per trasformarlo in uno spazio sicuro e per contribuire in prima persona alla raccolta di conoscenze, esperienze e punti di vista che possano arricchire la riflessione personale e collettiva di tutta la comunità dell’Ateneo.