SCIENZA E RICERCA

Dai sedimenti oceanici l’evoluzione climatica della Terra negli ultimi 66 milioni di anni

Come si è evoluto il clima sulla Terra negli ultimi 66 milioni di anni? A stabilirlo, con una precisione senza precedenti, è uno studio pubblicato su Science, frutto di una collaborazione scientifica internazionale. “Il nostro obiettivospiega Thomas Westerhold, del MARUM - Center for Marine Environmental Sciences dell'Università di Brema, che ha coordinato le ricerche – è stato quello di creare un nuovo modello climatico per gli ultimi 66 milioni di anni, che incorpori non solo dati a più alta risoluzione, ma che sia anche datato in modo più accurato. Ora sappiamo con maggiore precisione in quale epoca fu più caldo o più freddo sul pianeta e possediamo anche una migliore comprensione delle dinamiche climatiche”.

Già all’inizio degli anni duemila si è assistito a un primo tentativo di ricostruire l’evoluzione climatica del nostro pianeta nell’intervallo di tempo considerato, la cosiddetta era Cenozoica. “Questi studi pionieristici – spiega la geologa dell’università di Padova Claudia Agnini, che ha preso parte al lavoro – hanno evidenziato come tale intervallo di tempo sia particolarmente importante e dinamico dal punto di vista climatico, perché segna la transizione da una fase definita di greenhouse, caratterizzata da assenza di calotte polari, a una fase di icehouse, a partire da trentaquattro milioni di anni fa, in cui si comincia a instaurare la prima calotta antartica e più recentemente la calotta artica”. Rispetto a 20 anni fa, oggi i dati a disposizione sono decisamente superiori e questo principalmente grazie ai consorzi internazionali di perforazione oceanica che hanno permesso il recupero di materiale adatto.

Da più di 50 anni, in tutto il mondo vengono studiati sedimenti che si trovano sui fondali oceanici attraverso spedizioni scientifiche condotte nell’ambito dell'International Ocean Discovery Program (IODP) e di programmi precedenti (Deep Sea Drilling Project, Ocean Drilling Program). Negli ultimi due decenni, in particolare, sono state impiegate metodologie sempre più avanzate e dunque i ricercatori hanno ora accesso a dati più completi e di qualità superiore. Proprio attraverso lo studio di questi sedimenti e dei microfossili al loro interno – in particolare esaminando la composizione isotopica di ossigeno e carbonio  nei gusci dei microrganismi che un tempo vivevano nei fondali marini – i ricercatori sono stati in grado di ricostruire in modo dettagliato i cambiamenti climatici globali avvenuti in un passato anche molto lontano e hanno tratto informazioni sulle temperature delle profondità marine di milioni di anni fa, sui volumi globali di ghiaccio e sul ciclo del carbonio. Gli scienziati hanno utilizzato le informazioni che i sedimenti hanno saputo fornire sui cicli di Milanković, cioè quelle variazioni di insolazione legate ai cambiamenti periodici dell’orbita terrestre intorno al Sole. L’identificazione di queste periodicità ha consentito di ricostruire il clima degli ultimi 66 milioni di anni con un’accuratezza senza precedenti, specie per il periodo compreso tra i 66 e i 34 milioni di anni.

Claudia Agnini dell'università di Padova spiega l'evoluzione climatica della Terra degli ultimi 66 milioni di anni. Montaggio di Elisa Speronello

L’analisi statistica condotta sui dati in nostro possesso – spiega Claudia Agnini – permette ora di distinguere questo intervallo di 66 milioni di anni in ben quattro stati climatici: uno decisamente caldo risalente più o meno a 50 milioni di anni fa, definito hothouse, seguito e anticipato  da fasi relativamente calde definite di warmhouse; poi a partire da 34 milioni di anni fa sono state individuate essenzialmente due fasi, una relativamente fredda (la coolhouse) che segna l’instaurarsi della calotta antartica e una caratterizzata da temperature ancora più estreme che marca l’instaurarsi della calotta artica, detta icehouse”. Si tratta di una classificazione nota da tempo in termini generali, ma solo ora gli scienziati sono stati in grado di identificare e collocare temporalmente i quattro stati climatici con precisione statistica, rivelandone anche le dinamiche che li caratterizzano. Fondamentale si è rilevato, infatti, il metodo di analisi delle ricorrenze, che consente anche di trarre inferenze sulla probabilità di occorrenza degli eventi, a condizione però che si possieda una consistente quantità di dati, estesa nel tempo: solo in questo modo, infatti, è possibile indagare se i modelli climatici si ripetono e sono dunque determinati da processi naturali o se sono anomali e dunque motivo di preoccupazione.

“La storia climatica del nostro pianeta – conclude Agnini – indica che la Terra è passata da fasi estremamente calde ad altre estremamente fredde e lo studio di questi intervalli nel passato può essere di particolare interesse per gli scienziati che si occupano della modellizzazione del clima del futuro. Di particolare rilievo, per esempio, è la hothouse, perché in questa fase si raggiungono temperature anche superiori ai 12 gradi (rispetto alla temperatura attuale) che sono molto simili a quelle degli scenari (almeno quelli più negativi) forniti dall’IPCC, secondo cui nei prossimi 300 anni si potrebbe avere un aumento delle temperature estremamente significativo. Per capire dunque cosa potrebbe accadere in futuro, potrebbe essere sufficiente guardare a quanto ha già sperimentato il nostro pianeta 50 milioni di anni fa”.

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