SOCIETÀ

Dare voce alle madri per fermare la violenza ostetrica

La violenza ostetrica è una vera e propria violazione dei diritti umani e può avere un impatto anche duraturo sul benessere fisico e psicologico delle donne che la subiscono. Esistono infatti una serie di pratiche e comportamenti da parte del personale sanitario nei confronti delle partorienti che, come riporta uno dei documenti dell'OMS sull'argomento, possono “minacciare il loro diritto alla vita, alla salute, all’integrità fisica e alla libertà da ogni forma di discriminazione”. Stiamo parlando non solo di abusi fisici ma anche di specifici trattamenti attuati senza informare la paziente, del rifiuto di somministrare terapie contro il dolore o di altre procedure coercitive o umilianti nei confronti della futura madre.

Abbiamo approfondito l'argomento con Alessandra Battisti, avvocato e co-fondatrice, insieme a Elena Skoko, dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica Italia, una realtà nata proprio con lo scopo di aumentare la consapevolezza riguardo a questo fenomeno e trovare modi per contrastarlo dando voce alle madri per fare sì che le storie di parto non siano mai, e non siano più, storie di violenza.

“La violenza ostetrica è quell'insieme di comportamenti che possono verificarsi durante l'assistenza al parto che l'OMS ha qualificato già nel 2014 come abuso e mancanza di rispetto”, puntualizza Alessandra Battisti. “Successivamente, anche le Nazioni Unite sono intervenute su questo tema con un rapporto ad hoc. Nello specifico, parlando di violenza ostetrica si intende una gamma di comportamenti che vanno dalle umiliazioni verbali e frasi offensive, alla carenza di assistenza, violazioni della privacy e della riservatezza, mancato ascolto della donna ma anche all'iper-medicalizzazione o overtreatment, ovvero la somministrazione di trattamenti non sempre necessari e non sempre attuati con il consenso libero, informato e consapevole da parte della donna”.

L'intervista completa ad Alessandra Battisti, co-fondatrice dell'Osservatorio sulla violenza ostetrica Italia. Montaggio di Barbara Paknazar

Nel 2017, la Doxa, nota azienda specializzata in sondaggi di opinione, ha svolto per conto dell'Osservatorio sulla violenza ostetrica un'indagine che ha riportato che, nel giro di 14 anni, circa un milione di donne ha sperimentato una forma di violenza ostetrica e che 4 donne su 10 hanno subito, al momento del parto o del travaglio, dei trattamenti lesivi della loro dignità o autonomia.

“La ricerca in questione, dal titolo: Le donne e il parto, commissionata dall'Osservatorio sulla violenza ostetrica e dalle associazioni CiaoLapo e La goccia magica, è stata svolta per indagare il vissuto delle donne rispetto all'assistenza al parto sotto il profilo di alcuni indicatori di tipo giuridico: rispetto della libertà personale, comunicazione, consenso informato”, racconta Battisti. “Si trattava all'epoca – e probabilmente ancora oggi – della prima e unica ricerca volta a indagare il punto di vista delle donne rispetto all'assistenza ricevuta. La ricerca è stata condotta prendendo come parametri di riferimento le linee guida e lo statement dell'OMS riguardo all'abuso e alla mancanza di rispetto durante l'assistenza al parto.

I dati che sono emersi da questa ricerca hanno evidenziato che il 41% del campione intervistato di donne lamentava una violazione della propria dignità personale in relazione a una serie di trattamenti indicati nelle domande del sondaggio. Inoltre, il 61% delle donne che avevano ricevuto l'episiotomia (un taglio chirurgico effettuato sul perineo e sulla parete posteriore della vagina, ndr) dichiarava di non aver dato il proprio consenso a riceverla e il 21% delle donne dichiaravano di aver subito una qualche forma di violenza ostetrica durante l'assistenza al parto. Infine, un altro dato di cui si parla un po' meno ma che è significativo del danno che può derivare da questa modalità di assistenza al parto riguarda quel 6% del campione intervistato che ha dichiarato di non aver più cercato successive gravidanze come conseguenza diretta del trauma subito durante il parto”.

“La consapevolezza e la sensibilità riguardo a questo tipo di maltrattamenti sta emergendo a livello globale negli ultimi anni grazie alle indagini e alle ricerche che sono state svolte soprattutto nell'ultimo decennio”, continua Battisti. “Ci troviamo quindi ancora in un momento in cui l'entità di questo fenomeno è oggetto di studio e misurazione.

Le donne spesso fanno fatica a denunciare anche perché il percorso è piuttosto complesso e tortuoso”, continua Battisti. “Molte ci riferiscono di essere sole quando partoriscono, quindi il loro racconto viene facilmente smentito dagli operatori sanitari.
Inoltre, nelle cartelle cliniche, alcune procedure effettuate talvolta non vengono riportate. Una di quelle che più frequentemente viene narrata dalle donne ma non viene rinvenuta nelle cartelle cliniche è la manovra di Kristeller, che consiste in una forte spinta sull'addome per far fuoriuscire il bambino che molte partorienti vivono come una vera e propria aggressione, anche perché spesso non vengono neanche avvertite prima di riceverla. Non essendo preparate e senza aver avuto una spiegazione riguardo a ciò che sta per succedere, si trovano a vivere momenti di grande sorpresa e spavento.
Chiaramente, ogni caso richiede un'analisi, uno studio e un approfondimento a seconda del tipo di evento e di danno subito. Non esiste al momento una normativa che elenchi quali comportamenti siano considerabili come violenza ostetrica”.

Gli ostacoli che si incontrano nel denunciare questo genere di violenze non sono dovuti solo alla mancanza di una normativa e alla difficoltà di dimostrare di aver subito un certo trattamento non presente nella cartella clinica, ma anche alla presenza di certi fattori culturali che tendono a normalizzare alcune pratiche ospedaliere a scapito della tutela dei diritti delle donne. Come spiega Battisti, infatti, “Se l'episiotomia viene considerata una pratica di normale routine, una donna che si lamenta di averla subita difficilmente troverà tutela. Eppure, la credenza diffusa nel passato, secondo la quale l'esecuzione di questa pratica sia nell'interesse della paziente, non ha trovato supporto nelle più recenti ricerche scientifiche, che suggeriscono di evitarla il più possibile e di effettuarla solo in casi particolari di difficoltà e di urgenza. Eppure, c'è ancora una fortissima resistenza culturale ad accettare queste evidenze anche da parte dei medici.
Si tratta quindi di uno di quei temi che andrebbero riaffrontati e discussi sulla base della letteratura scientifica e considerando anche il punto di vista delle donne, che molto spesso è mancato nel dibattito su questi argomenti”.

Dare voce alle donne è proprio la missione principale dell'Osservatorio sulla violenza ostetrica, che si occupa di raccogliere le loro storie di parto e anche le loro opinioni su determinate pratiche assistenziali. “Il nostro scopo è quello di capire quale impatto abbiano avuto sul loro vissuto e sulla loro esperienza di parto alcuni comportamenti e modi di comunicare da parte del personale sanitario”, continua Battisti. “Alcune donne, ad esempio, ci hanno riferito di aver ricevuto anche frasi denigratorie e offensive come “non sei capace di partorire”, “non sei capace di spingere” o “non vuoi far nascere il tuo bambino”. Molto di frequente si interrogano anche sul significato dell'espressione spesso ricorrente: “la donna non è collaborativa”.

La buona notizia è che il livello medio di consapevolezza riguardo a questi temi è in crescita e che le donne riescono a raccontare quello che hanno vissuto durante l'esperienza del parto. Seppur questo costi loro molta fatica, poiché si tratta di episodi dolorosi, la condivisione di esperienze permette di acquisire nuove informazioni e comprendere meglio quello che è successo.

L'Osservatorio sulla violenza ostetrica è una iniziativa della società civile nata al termine della campagna mediatica #bastatacere, le madri hanno voce che si è svolta nel 2016 su Facebook e che consisteva nella condivisione di poche frasi scritte su dei cartelloni da parte di alcune madri che desideravano raccontare la loro esperienza di parto.
Il ruolo dell'osservatorio è quello di promuovere ricerca, raccogliere dati, informare e organizzare eventi come seminari e workshop che attengano alla formazione e alla ricerca in ossequio anche a una delle raccomandazioni dell'OMS, che auspica un convogliamento e un ruolo della società civile anche nella ricerca, nello studio e anche nella produzione di dati sulla violenza ostetrica. Questo è il sostegno che noi cerchiamo di dare alle madri, mantenendo aperto il dialogo con le istituzioni per sensibilizzare gli operatori sanitari, le donne, i ricercatori e le associazioni sul territorio, con il fine di prevenire ed eliminare la violenza ostetrica”.

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