CULTURA

Dino Buzzati, il fantastico nel quotidiano e il mistero dell’esistenza

Un treno che corre a tutta velocità verso un disastro ignoto, una goccia che ogni notte sale le scale, una mano gigante che compare nel cielo per annunciare l’apocalisse. E ancora, un appestato che cerca di guarire con la preghiera e un altro che ha trovato nella malattia un’occasione di rivincita. E poi un principe che visita il suo regno e si perde alla ricerca di un confine che forse non esiste.

Uno strano senso di inquietudine attraversa i mondi labirintici in cui ci conduce Dino Buzzati nei suoi libri e numerosi racconti. Lo scrittore bellunese, ancora amatissimo sia in Italia che all’estero, si spegneva il 28 gennaio 1972 a Milano.

“Nei cinquant’anni che ci separano dalla sua morte, diversi critici italiani e stranieri hanno studiato e valorizzato l'opera di Dino Buzzati, un autore che si è espresso con il romanzo, il racconto, la poesia, il teatro e anche la pittura”, racconta Alessandra Grandelis, docente a contratto al dipartimento di studi linguistici e letterari dell’università di Padova. “Ci troviamo dunque di fronte ad una personalità poliedrica ed eclettica sulla quale c'è ancora molto da dire. Infatti, sono state organizzate numerose iniziative, sia in Italia che all’estero, per ricordare questo autore nel cinquantesimo anno dalla sua scomparsa”.

Alessandra Grandelis ricorda Dino Buzzati nel cinquantesimo anniversario dalla morte. Servizio di Federica D'Auria. Montaggio di Barbara Paknazar

“Firma autorevole per il Corriere della Sera, Buzzati pubblica le sue opere letterarie parallelamente al lavoro di giornalista”, continua Grandelis. “A Milano, egli vive la realtà redazionale con una sorta di insofferenza, una condizione umana che ha trasfigurato allegoricamente, almeno in parte, in quello che è considerato il suo capolavoro, Il deserto dei tartari, che esce nel 1940. La vicenda del protagonista, Drogo, ruota attorno ai due temi chiave su cui si fonda tutta l'opera letteraria di Dino Buzzati: l'attesa per qualcosa che deve avvenire ma che non si presenta e il tempo. Sono tematiche che l’autore tratta perlopiù attraverso il modo fantastico.

A Buzzati va infatti riconosciuto il merito di aver fatto attecchire questo genere in Italia, dove era mancata, fino a quel momento, una solida tradizione in tal senso. Si ispira perciò ai grandi modelli europei ottocenteschi per trovare un suo stile letterario, personale e novecentesco, per dare forma alle paure e ai desideri degli esseri umani e offrire una rappresentazione dei fenomeni che non sia soltanto razionale, proprio come esige il fantastico”.

Ne Il disco si posò assistiamo a un eccezionale incontro tra il parroco Don Pietro e i due extraterrestri atterrati con una navicella spaziale sul tetto della sua chiesa per chiedergli il significato della croce posta in cima al campanile. In questo racconto divertente e a tratti spiazzante possiamo ritrovare i due aspetti principali che, come spiega Grandelis, caratterizzano il fantastico di Buzzati: il surreale che si presenta nella quotidianità più banale e la presenza di una tematica esistenzialistica di ispirazione leopardiana.

“Possiamo riconoscere gli echi fiabeschi nell'opera di Buzzati fin dai suoi primi lavori degli anni Trenta, come Barnabò delle montagne o Il segreto del bosco vecchio”, ricorda Grandelis “ma è soprattutto con i racconti che questo autore mostra il suo grande talento nel modo fantastico. Alcuni dei testi migliori sono raccolti in Sessanta racconti che esce nel 1958 e vince il premio Strega. Lì possiamo vedere lo sguardo attento di Buzzati verso la moderna industrializzazione e i progressi della scienza.

Negli anni Cinquanta la curiosità di Buzzati si rivolge anche alla cibernetica e alla possibilità di ricreare in laboratorio i processi della mente. Ecco perché nel 1960 pubblica un testo interessante e ampiamente ripreso dalla critica intitolato Il grande ritratto. Si tratta di un romanzo fantascientifico che narra la follia di uno scienziato che si innamora perdutamente di una grande macchina che riproduce la mente e il corpo della moglie scomparsa. Questo testo presenta un argomento che allora veniva trattato in una fase solo teorica e che oggi invece rappresenta una possibilità concreta, se pensiamo agli sviluppi dell'intelligenza artificiale”.

“Arriveremo al superuomo. Più ancora: al demiurgo, una specie di Dio. Questa, questa è la via per cui riscatteremo finalmente la nostra miseria e solitudine." "C'è da aver paura. A un certo punto sarà materialmente impossibile controllare tutto ciò che avviene in un cervello simile." "Precisamente. È quello che già avviene col nostro Numero Uno. Ma non c'è da preoccuparsi. Le premesse, create da noi, sono sane. Possiamo dormire i nostri sonni tranquilli." "E lui?" "Lui cosa?" "Dorme, di notte? Non si riposa mai?" "Dormire propriamente no, direi. Sonnecchia, piuttosto. Di notte tutta la sua attività è attenuata." "Diminuite l'erogazione di energia?" "No, no, da solo si acquieta, proprio come se fosse stanco." "E sogna anche?"

"Il grande ritratto", Dino Buzzati (1960)

Tra atmosfere da sogno – o forse da incubo – Buzzati amava condurre i lettori in luoghi familiari e allo stesso tempo irreali, dove si finisce per fare i conti con i grandi misteri dell’esistenza e la disarmante solitudine propria dell’essere umano, condannato a perdere contro il volere di un destino ineluttabile e beffardo.

Questo è ciò che accade anche in Qualcosa era successo, un racconto di poche pagine in cui un senso di inquietudine crescente accompagna il lettore in un viaggio in treno a tutta velocità verso una catastrofe ancora sconosciuta.

“Senza parole, la signora alzò un poco il frammento affinché tutti lo potessero vedere. Ma tutti avevamo già guardato. E si finse di non farci caso. Crescendo la paura, più forte in ciascuno si faceva quel ritegno. Verso una cosa che finisce in IONE noi correvamo come pazzi, e doveva essere spaventosa se, alla notizia, popolazioni intere si erano date a immediata fuga. Un fatto nuovo e potentissimo aveva rotto la vita del Paese, uomini e donne pensavano solo a salvarsi, abbandonando case, lavoro, affari, tutto, ma il nostro treno no, il maledetto treno marciava con la regolarità di un orologio, al modo del soldato onesto che risale le turbe dell'esercito in disfatta per raggiungere la sua trincea dove il nemico già sta bivaccando. E per decenza, per un rispetto umano miserabile, nessuno di noi aveva il coraggio di reagire. Oh i treni come assomigliano alla vita!”

“Qualcosa era successo”, Dino Buzzati (1958)

Non dimentichiamo, infine, che Buzzati era un autore dal doppio talento. Infatti, come sottolinea Grandelis, “amava dipingere e illustrare le proprie opere. Pensiamo ad esempio a La famosa invasione degli orsi in Sicilia che pochi anni fa è diventato anche un bellissimo film di animazione, oppure alla sua ultima fatica, I miracoli di Val Morel, che contiene una sorta di testamento per parole e immagini”.

“E tra queste due opere, nel 1969, Buzzati pubblica Poema a fumetti, la prima graphic novel della letteratura italiana. Si tratta della riproposizione in chiave moderna del mito di Orfeo e Euridice ambientato nella Milano del miracolo economico. In un certo senso, i fumetti di Buzzati sono anche un manifesto della sua poetica, perché tra quelle pagine e in quelle immagini, dove si incontrano tradizione e innovazione nella contaminazione dei generi, possiamo ritrovare davvero tutto il mondo letterario, artistico e poetico di questo autore”.

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