CULTURA

Disegnare i confini delle espressioni. Intervista a Michele Cortelazzo, accademico della Crusca

Nel mese di maggio, Michele Cortelazzo, professore di storia della lingua italiana all'università di Padova, è ufficialmente entrato a far parte dell'accademia della Crusca. In questa intervista per Il Bo Live, ci racconta cosa comporta questo prestigioso titolo.

“Essere accademici è un merito di cui io sono orgogliosissimo, ma che sta alla fine di chi ha già dimostrato di lavorare sulla lingua contemporanea ma anche sulla storia della lingua”, commenta. “Sono gli accademici che selezionano gli altri accademici. Nella stra grande maggioranza, sono studiosi della lingua italiana, quindi quasi tutti professori universitari del settore di linguistica italiana, ma sono presenti, per esempio, anche alcuni giuristi”.

“L'accademia della Crusca è composta da 20 accademici corrispondenti e 20 accademici ordinari, i quali, quando compiono 70 anni e hanno avuto almeno 5 anni di presenza nell'accademia, diventano soci emeriti sovra numerali, trattandosi di una nomina a vita”.

Cortelazzo non è il primo studioso legato all'ateneo patavino a diventare accademico. Prenderà infatti posto accanto ai soci ordinari Pier Vincenzo Mengaldo, filologo e critico letterario, Lorenzo Renzi, esperto di filologia romanza, e il linguista Ivano Paccagnella, socio corrispondente.

“I nuovi membri vengono selezionati direttamente dagli accademici, il cui compito è principalmente quello di dare linee guida. In parte scrivono anche loro, ma per lo più continuano a fare quello che facevano prima, cioè studiare la lingua italiana. È presente poi un personale più giovane, grazie a borse di studio e assegni di ricerca”.

Cos'è che fa, quindi, l'accademia della Crusca, oggi?

“L'accademia ha tre riviste cartacee e adesso ha delle riviste digitali; negli ultimi anni, infatti, si è adeguata con molta forza all'evoluzione dei mezzi di comunicazione e divulgazione scientifica, pubblicando libri, portando avanti vari progetti di lavoro, e offrendo un servizio di consulenza e di risposte al pubblico”.

La Crusca, infatti, è tra le accademie europee della lingua quella che ha sentito più di avere un ruolo sociale. Questo è dovuto anche alla sua storia.

“Negli anni Ottanta, la Crusca ha avuto un grosso problema di finanziamenti; Montanelli, allora, ha fatto una sottoscrizione al “Giornale”, e ha raccolto una cifra di una certa consistenza. Trattandosi di soldi che venivano dai parlanti comuni, la Crusca non ha ritenuto giusto, né coerente con la fonte del finanziamento, utilizzarli per far sovvenzionare l'area di studio. Hanno aperto allora una rivista di divulgazione linguistica che si chiamava, e si chiama tutt'ora, “La Crusca per voi”, che offriva risposta ai quesiti di chi aveva problemi o domande”.

Di certo, però, va anche specificato quello che l'accademia non fa.

“Prima di tutto, non fa vocabolari. Il vocabolario dell'Accademia della Crusca è terminato alla sua quinta edizione, con la voce ozono. Dopodiché il regime fascista ha tolto loro il compito, che al momento appartiene al CNR”.

Inoltre, al contrario di quello che credono gran parte degli italiani, l'accademia non ha compiti di legislazione linguistica, cioè di dire che cosa è corretto e cosa è scorretto.

“Proprio perché l'accademia è composta da studiosi, gli studiosi sanno che non è loro compito stabilire norme, semmai quello di dare alcuni orientamenti sulla base della descrizione anche differenziata dell'uso linguistico che si può fare. Quello che fa l'accademia della Crusca è osservare come si distribuiscono delle varianti e dire quali modi siano regionali e quali no”.

Per esempio?

“Un caso abbastanza recente che ha suscitato polemiche è stato quello riguardo all'espressione 'sedere il bambino'. Siccome qualcuno aveva posto il problema, l'accademia ha studiato l'argomento e ha visto che si tratta di una forma sempre più diffusa, che non ha un'articolazione regionale. Detto questo, la Crusca non sdogana niente. Osserva, e lo fa con la competenza non di un osservatore casuale, ma di chi sa dove andare a cercare, e come classificare e presentare le opzioni, cercando di individuare gli ambiti d'uso. Dopodiché, non sono loro a decidere, perché le lingue le cambiano i parlanti.

Non si tratta, quindi, di un'attività di legislazione, bensì di più una vera e propria consulenza linguistica.

“Noi rispondiamo ai dubbi dei parlanti quest'ottica che scontenta tutti ma che è l'unica che possiamo avere. Scontenta tutti, da una parte, perché è l'unica che possiamo dare, non ha senso dare ordini. E in particolare, però, l'orientamento della Crusca è quello di distinguere diversi livelli linguistici. Quello che possiamo fare è collocare con la maggior precisione possibile la distribuzione, e a quel punto il parlante ha dei parametri su cui regolarsi. Si fa riferimento, insomma, al libero arbitrio linguistico delle persone. C'è stato un forte mutamento dell'ammissibilità di alcuni usi linguistici a un determinato gruppo di persone, perché un comportamento linguistico è anche un comportamento sociale. Quello che facciamo è dire cosa succede se si fa qualcosa, non dire cosa fare”.

Quali sono i criteri secondo i quali, allora, gli studiosi della lingua valutano i contesti e i modi d'uso dei costrutti che analizzano?

“Sicuramente la frequenza, ma non in senso stretto. Quello che dovrebbero fare l'accademia della Crusca, ma anche i linguisti che non ne fanno parte, è disegnare i confini dell'espressione. Se la descrizione è fatta bene, dovrebbe dire in quale ambito è consona una determinata espressione, se è diffusa, se si trova, per esempio nei giornali o in letteratura e da chi è usata solitamente. Si tratta, quindi, di un criterio quali-quantitativo”.

C'è poi da dire che, andando avanti in questo impegno sociale, la Crusca è molto presente nei social.

“Ha un buon profilo facebook, che è quello che ha maggior ricaduta sul pubblico, e un buon profilo twitter, che è quello che di solito promuove la mediazione con i giornalisti. Da questo punto di vista, è l'accademia più aperta al pubblico tra le accademie linguistiche nazionali. La presenza sui social, in ogni caso, le ha comportato tutti i problemi annessi, compreso il difficile confine tra il diritto di ognuno di intervenire e il valore della competenza. È chiaro che la Crusca ha dalla sua la competenza, che a volte può anche scontrarsi con i luoghi comuni. Non sempre quello che si è imparato a scuola corrisponde esattamente alla realtà linguistica. Quindi ci sono tutte le polemiche riguardo a quello che ognuno può dire. I fraintendimenti, andando sui social, sono tantissimi”.

Nella storia di petaloso, per esempio, la Crusca non aveva dato il via libera al termine, ma la risonanza di quel caso è stata enorme.

“la Crusca, molto spesso, non ha la possibilità di reagire con la velocità e la mira che vengono richieste dai social network. Per una qualsiasi istituzione, la gestione dei social è una cosa di una delicatezza unica, e non sempre è istituzionalmente facile e possibile avere quella capacità di reazione che ha un singolo. La velocità di reazione sui social è incompatibile con il discorso più motivato e più ponderato che è quello che deve fare la Crusca, e che per cui ci vuole più tempo”.

La verità è che sono davvero molti i quesiti sulla lingua che vengono posti agli studiosi.

“Attualmente, la situazione della lingua in Italia è più in movimento rispetto ad altre lingue. L'Italiano è una lingua che è diventata parlata nel 1900. Fino all'Ottocento era lingua fortemente codificata, con scopi comunicativi più ristretti, e usata da gruppi molto più omogenei. Dal Novecento, invece, soggiace di più a una variabilità che è molto più forte nella lingua parlata, dovuta alla spinta alla regolarizzazione, alla semplificazione, alla espressività. Adesso l'italiano è un laboratorio molto vivace di ristrutturazione. Siamo in una fase in cui le norme che abbiamo imparato a scuola non sono esattamente quelle che abbiamo quando parliamo adesso. Il mutamento della lingua una volta era più lento e durava più della vita media delle persone. Mentre adesso la lingua muta più velocemente, noi viviamo di più, quindi le espressioni che usiamo subiscono più di un cambiamento durante la nostra esperienza”.

Si tratta, quindi, di una caratteristica peculiare della nostra lingua?

“Per le altre lingue europee, il mutamento linguistico è avvenuto e si è assestato nei secoli precedenti. In tutte le lingue ci sono discussioni, ma in Italia sono più virulente proprio perché ci troviamo in questa situazione particolare. L'italiano è un vulcano ancora attivo, mentre altre lingue, come il francese, sono vulcani più sopiti. Restando fedeli alla metafora, possiamo dire che ci sono 'attività eruttive' in entrambi i casi, ma quelle dell'italiano sono più vistose, per ragioni storiche”.

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