SCIENZA E RICERCA

Doppia elica del DNA: origini e sviluppi di una scoperta

Se la nozione di trasmissione ereditaria è stata elaborata fin dalla medicina classica, il concetto di ereditarietà è emerso in Francia nei primi decenni del 19° secolo. In particolare, si passò dall’ereditarietà come condizione importante ma secondaria, all’ereditarietà come causa principale di tutte le doti fisiche degli individui. Esemplare di questo cambiamento è il Traité philosophique et physiologique de l'hérédité naturelle (1847-1850) del medico Prosper Lucas (1786-1848), pietra miliare degli studi sull’ereditarietà pre-mendeliana.

Con gli esperimenti del monaco Gregor Mendel (1822-1884) condotti su piante di pisello, pubblicati nel 1865 e riscoperti al principio del 1900, si stabiliva l’ipotesi “particellare”, secondo cui ogni carattere ereditario è legato a singole particelle materiali. Con ciò, si inaugurava una stagione di studi sperimentali sull’ereditarietà a cui parteciparono tutte le scienze, dalla fisica, alla chimica, alla biologia, alla botanica, alla medicina, generando, a sua volta, nuove specialità come la biologia molecolare e l’ingegneria genetica. Tali dati, inoltre, furono alla base della cosiddetta “sintesi moderna dell’evoluzione”, in cui il modello darwiniano si unificava con la genetica cromosomica e molecolare.

Una breve selezione delle pietre miliari di questa avvincente corsa che giunse alla scoperta della doppia elica, potrà esemplificare l’eccezionale interdisciplinarietà dell’impresa.

A monte di una scoperta

Pochi anni dopo le ricerche di Mendel, il biochimico svizzero Friedrich Miescher (1844-1895) identificò una sostanza contenuta nel nucleo delle cellule, che definì nucleina (1869). Nel maggio del 1900, in treno per Londra, William Bateson (1861-1926), professore di Genetica a Cambridge, leggeva l’articolo di Mendel. Sceso dal treno, si convinse di aver trovato le risposte alle sue ricerche. Bateson, tra le altre cose grande sostenitore del diritto allo studio delle donne, fondò a Cambridge la prima Scuola di Genetica del mondo e fu il primo a suggerire il termine genetica, dal Greco γεννώ, dare origine. Usò pubblicamente tale termine nel 1906, tre anni prima che il botanico danese Wilhelm Johannsen (1857-1927) impiegasse la parola gene per descrivere le unità dell’informazione ereditaria. Infine, fornì la prima dimostrazione che le leggi di Mendel si applicano tanto agli animali quanto ai vegetali.

Nel 1902, il genetista americano Walter Stanford Sutton (1877-1916) ipotizzò che i cromosomi siano i contenitori dei fattori ereditari che si trasmettono alla discendenza. Il biologo Tomas Hunt Morgan (1866-1945) era, al principio, restio ad accettare quest’ipotesi. Il loro numero, infatti, era relativamente piccolo, mentre quello dei caratteri biologici dell’individuo relativamente molto più grande. Intorno al 1908, Morgan cominciò a lavorare sul moscerino della frutta Drosophila, cambiando radicalmente idea e ottenendo la prima mappa cromosomica di una specie vivente, la Drosophila stessa. A Morgan, Nobel per la medicina nel 1933, e ai suoi collaboratori si deve la definizione dei principi fondamentali della moderna teoria cromosomica dell’ereditarietà.

La nostra selezione si conclude con due ultimi punti. Nel 1944, il medico canadese Oswald Avery (1877-1955) dimostrava che le informazioni genetiche erano contenute proprio nel DNA. Infine, il chimico e attivista politico Linus Pauling (1901-1994), padre della biologia molecolare (nonché duplice Nobel: per la chimica nel 1954 e per la pace nel 1962), suggerì per il DNA una forma a tripla elica.

Gli elementi del puzzle

Sin dal principio degli anni Cinquanta, quando James Watson, biologo statunitense di 23 anni, e Francis Crick, fisico britannico di 35, si incontrarono presso il Cavendish Laboratory del dipartimento di Fisica di Cambridge, era chiaro che la scoperta della struttura del DNA costituisse il passaggio obbligato per una conquista scientifica straordinaria, ovvero il collegamento fra la forma spaziale del DNA e il meccanismo dell’ereditarietà. Il che, a sua volta, implicava la possibilità di un modello integralmente fisico chimico della natura e formazione della materia vivente.

Nello stesso 1951, nel laboratorio presso il King’s College di Londra, diretto da Maurice Wilkins (1916-2004), fisico e biologo neozelandese naturalizzato britannico, giungeva Rosalind Franklin (1920-1958), brillante scienziata in veste di rinomata cristallografa per collaborare allo studio a raggi X del DNA. La Franklin, dopo la laurea a Cambridge in Scienze Naturali nel 1941, lavorò sulla struttura chimica del carbone per la British coal utilisation research association a fini bellici. Successivamente si trasferì a Parigi, presso il Laboratoire central des services chimiques de l'état, dove, sotto la guida di Jacques Mering (1904-1973), ingegnere lituano naturalizzato francese, si specializzò nella tecnica della diffrazione dei raggi X che, come detto, le permise di rientrare in patria.

Ciò che accadde fra 1951 e il 28 febbraio del 1953, quando Watson e Crick si resero conto di avercela fatta, trascende la storia asettica di una scoperta di laboratorio, perché include rapporti umani tanto complessi quanto le personalità, i caratteri e le storie individuali dei principali protagonisti, cioè Watson, Crick, Wilkins e la Franklin. Watson racconta, nel suo libro La doppia elica, che la sera di quel fatidico giorno, Crick, entrando, come d’abitudine, nel pub Eagle, esclamava: “Abbiamo trovato il segreto della vita”.

Watson assistette, nel 1951, a un seminario della Franklin. Guardò le prime foto realizzate dalla ricercatrice. Basandosi su queste nuove informazioni, Watson e Crick costruirono un primo modello di DNA composto da tre filamenti, il fosforo sul lato interno e le basi azotate che spuntavano fuori dalla molecola. Spedirono il modellino alla Franklin, che lo bocciò. Inoltre, il capo sezione dei due ricercatori intimò loro di lasciar perdere il DNA, sia perché non erano competenti sull’argomento, sia per non pestare i piedi a Wilkins e alla Franklin. A proposito del rapporto di questi ultimi, si dice che fosse piuttosto conflittuale. Wilkins, considerandola come una collaboratrice, si riteneva in diritto di utilizzare il risultato dei suoi lavori – cosa che certamente fece, come vedremo qui sotto. Di certo, la Franklin si era trovata, sin dal principio dei suoi studi, ostacolata per questioni di genere. Presso il King’s College aveva assunto un atteggiamento poco conciliante, con ogni probabilità dettato dall’essere l’unica scienziata donna in un ambiente ostile per il suo maschilismo. Alcuni resoconti riportano che fu definita “la terribile Franklin” o “la terribile Rosy”. Nel suo La doppia elica, Watson dipinge un quadro di Rosalind certamente poco edificante. Nella biografia di Brenda Maddox (Rosalind Franklin: The Dark Lady of DNA), Rosalind emerge come una ricercatrice brillante e scrupolosa tramite una ricostruzione meticolosa della sua vicenda personale, basata su documenti d’archivio e interviste a chi la conobbe di persona.

Fra 1951 e 1952, la Franklin perfezionò le tecniche di diffrazione a raggi X. Nel 1952, lavorando con lo studente di dottorato Raymond Gosling, riuscì a ottenere alcune delle immagini più nitide della struttura completa del DNA eseguite fino ad allora. Tra queste, la storica “Fotografia 51”, che mostrava una distribuzione spaziale della molecola compatibile solo con una doppia elica.

Un ultimo tassello a disposizione di Watson e Crick giunse nel luglio del 1952, quando il biochimico austriaco Erwin Chargaff (1905-2002) visitò il loro laboratorio ed espose la sua scoperta secondo cui nel DNA c’è tanta adenina quanta timina e tanta citosina quanta guanina. Crick intuì che in quel dato si nascondeva una chiave del rompicapo.

La costruzione del modello della doppia elica

Nel gennaio del 1953, Wilkins, conscio delle scoperte di Rosalind, avvisò Crick e Watson, illustrando loro la celebre foto 51 senza il permesso della scienziata. Con tutti i tasselli a disposizione, Watson e Crick ebbero alcune intuizioni geniali: capirono che le due catene elicoidali intuite dalla Franklin correvano in direzioni opposte. Che ognuno dei due filamenti era il calco esatto dell’altro: ogni base di timina si legava a una di adenina, ogni citosina si legava a una di guanina. Che la complementarietà dei due filamenti risolveva anche un altro rompicapo di importanza cruciale: come il DNA potesse copiare sé stesso durante la riproduzione delle cellule, garantendo la trasmissione ereditaria dei caratteri. Il 7 marzo, manipolando fil di ferro e palline di cartone, costruirono un enorme modello di DNA che pareva avere tutti i requisiti necessari. Mostrarono il manufatto al capo del Cavendish, sir William Lawrence Braggs (1890-1971), che andò su tutte le furie constatando che i due ricercatori avevano eluso il suo divieto di perseguire quella linea di ricerca. Tuttavia, dovette riconoscerne il valore.

Quando la scoperta fu pubblicata, Wilkins mandò ai due scienziati un breve messaggio sarcastico: “I think you're a couple of old rogues!” (A quanto pare, siete una coppia di belle canaglie!). Chargaff, invece, dirà che quando li incontrò, nel 1952, non sapevano nemmeno “how to spell adenine”. I detrattori degli scienziati, rimarcano che i due giunsero alla scoperta sebbene non fossero particolarmente edotti in materia di biologia molecolare e fisica della diffrazione. Inoltre, alcuni sostengono che il loro modello, se pur corretto, fu realizzato senza il supporto di ricerche sperimentali originali, ma sulla base di dati altrui, almeno uno dei quali, quello deducibile dalla fotografia 51, ottenuto senza che la Franklin ne avesse dato l’autorizzazione alla sua divulgazione. Sottolineiamo che, pur riportando alcuni di questi aspetti, riteniamo inevitabile limitarci ai fatti, rimandando a ricerche ben più approfondite la possibile elaborazione di qualche giudizio.

Il 25 aprile 1953, la rivista Nature pubblicava tre articoli sulla struttura del DNA. Il secondo e il terzo erano firmati, rispettivamente, da Wilkins e i suoi colleghi, e dalla Franklin e il suo assistente Raymond Gosling. Il primo, il più importante, era firmato James Watson e Francis Crick. Watson racconta che fu deciso a “testa o croce” chi dei due sarebbe comparso per primo. Al termine dell’articolo, compare una frase profetica: “Non abbiamo mancato di notare che l’appaiamento specifico che abbiamo postulato suggerisce immediatamente un possibile meccanismo di copiatura del materiale genetico”. Nei ringraziamenti, i due ricercatori sostengono di essere “stati stimolati dalla conoscenza della natura generale dei risultati sperimentali non pubblicati e dalle idee del dr. M. H. F. Wilkins, della dr. R. E. Franklin e dai loro colleghi del King’s College a Londra”.

Solo un mese dopo, Watson e Crick pubblicarono un ulteriore studio, sempre su Nature, in cui venivano descritte le implicazioni genetiche del loro modello strutturale del DNA (Genetical Implications of the structure of Deoxyribonucleic Acid). Questo studio fu alla base del cosiddetto “dogma centrale della biologia molecolare”, secondo il quale l’informazione ereditaria passa dai geni alle proteine e mai viceversa. Dogma che le ricerche più recenti hanno in parte messo in discussione: si pensi alla scoperta della metilazione del DNA.

Infine, solo un decennio dopo, nel 1962, Watson, Crick e Wilkins, vennero insigniti del Premio Nobel per la Medicina. Tale riconoscimento non fu mai ricevuto dalla Franklin, che morì prematuramente nel 1958, all’età di 38 anni, a causa di un tumore ovarico probabilmente provocato dal massiccio utilizzo di raggi X.

Gli sviluppi

La scoperta della doppia elica, nei suoi settant’anni di storia, ha aperto la strada a una quantità di sviluppi teorici e pratici ancora oggi tutti da esplorare. Con la comprensione di questa architettura molecolare e della relazione fra informazione genetica e proteine, si è arrivati a comprendere il linguaggio chimico della vita, dai batteri all’uomo. L’ereditarietà dei caratteri, l’evoluzione delle specie viventi e la patogenesi delle malattie ereditarie venivano incluse in un unico, semplice modello.

A partire dagli anni Settanta, i ricercatori hanno iniziato a introdurre nuove tecnologie per analizzare, copiare, modificare e combinare parti di molecole di DNA con la nascita dell’ingegneria genetica che ha dato contributi in campo medico, farmacologico e alimentare, promettendo ancora ulteriori conquiste. Infine, un nuovo campo di ricerca che si sta sempre più imponendo all’attenzione dei ricercatori, è la biologia dello sviluppo, ovvero la comprensione non solo di come il DNA viene copiato e trasmesso, ma anche di come viene tradotto nel corso dello sviluppo individuale e di come questa traduzione possa influenzare la salute e la malattia non solo dell’individuo, ma anche della sua progenie.

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