Risale a qualche giorno fa, e nello specifico allo scorso 17 luglio, la decisione dell’Organizzazione mondiale della sanità di dichiarare l’epidemia di Ebola, che da un anno nell’Africa centrale continua a mietere vittime, emergenza sanitaria internazionale. Da quando il virus ha fatto la sua ricomparsa nell’agosto del 2018 in questa area dell’Africa già duramente colpita in passato da epidemie di questo tipo, i decessi e i contagi sono stati migliaia. Ad oggi, secondo le stime fornite dall’Oms, le persone contagiate nella Repubblica Democratica del Congo sono state 2.671 mentre i morti 1.790.
A far cambiare idea all’Oms, che solo un mese fa si era espressa in modo contrario rispetto alla dichiarazione di emergenza sanitaria internazionale, (una decisione già ribadita altre tre volte nel corso dell’anno), è stato il recente ‘sconfinamento’ del virus a Goma, città del Congo che, con circa due milioni di abitanti, è la città più grande finora coinvolta dall’epidemia da quando questa ha avuto inizio. Ma da questo centro, da dove ogni giorno migliaia e migliaia di persone si spostano attraversando il confine con il Rwanda, Ebola è arrivata anche alla città di Beni, a circa 500 chilometri di distanza, dove nelle ultime tre settimane è stato registrato il 46% dei casi. E solo un mese fa, il 13 giugno scorso, il virus era arrivato anche in Uganda dove una donna di cinquant’anni infetta è morta, un giorno dopo il decesso del nipotino di cinque anni. Segnali, questi, che confermano, a 11 mesi dall’inizio della diffusione dell’epidemia, il fallimento dei tanti tentativi di contenimento del virus.
Sulla base di tutti questi dati ma anche dei preoccupanti attacchi agli operatori sanitari che in questi mesi si sono verificati, il Comitato d’Emergenza previsto dal Regolamento Sanitario Internazionale dell’Oms ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria internazionale. Un presupposto che non obbliga giuridicamente gli Stati coinvolti a prendere provvedimenti specifici, ma che rappresenta una condizione straordinaria che implica alcune limitazioni di tipo sociale, commerciale e sanitario. Nel caso del Congo sono stati introdotti alcuni limiti per quanto riguarda i viaggi e restrizioni a livello commerciale. Proprio quest’area dell’Africa, infatti, è zona centrale di scambi e commercio (a Goma ha sede un importante aeroporto internazionale). L’allarme lanciato dall’Oms prevede collaborazione e coordinamento a livello locale tra vari Paesi coinvolti ma anche mobilitazione a livello internazionale per il contrasto del fenomeno (tra cui la distribuzione di un nuovo vaccino, nuovi fondi, maggior dispiegamento di forze di sicurezza). Impegni che, tuttavia, si scontrano con una realtà complessa. La Repubblica Democratica del Congo, infatti, è un territorio fortemente instabile dal punto di vista politico sul quale pesano, anche a livello di salute pubblica, oltre ai tanti anni di conflitti e violenze interne, anche la crisi umanitaria che da tempo caratterizza la regione e i paesi al confine come Uganda e Sud Sudan.
Lo spiega bene anche Barbara Gallavotti in ‘Le grandi epidemie. Come difendersi’ (Donzelli editori, 2019), breve e agile saggio, che racconta di microbi e di epidemie e di come l’uomo, in tutta la storia dell’umanità, abbia combattuto (a volte vincendole, a volte no) le grandi battaglie contro questi ‘minuscoli nemici’ della specie umana che hanno da sempre mietuto il maggior numero di vittime umane. Ma ancora oggi, com’è il caso di Ebola in Africa, le epidemie continuano a uccidere. ‘L’evoluzione – scrive Gallavotta – ci ha dotato di qualcosa che i microbi non possiedono: l’intelligenza’; ed è per questo che quelle occidentali sono ‘forse le prime generazioni nella storia a non vivere nel terrore di un contagio’. Una svolta epocale da attribuire ai traguardi raggiunti dalla medicina moderna, in particolare a due tipi di farmaci: i vaccini e gli antibiotici in grado di contrastare le principali infezioni batteriche. 'Una condizione a tal punto fortunata che a volte ci fa dimenticare come sarebbe la nostra vita se questi non esistessero'. Oggi la principale causa di morte non sono più come nel passato, le epidemie, ma le malattie cardovascolari responsabili di circa 18 milioni di morti ogni anno nel mondo.
Nel 2018, per la prima volta, sono state messe a disposizione del Ministero della Salute del Congo 4.000 dosi di vaccino sperimentale, uno sforzo che ad oggi non è però servito al contenimento del virus. Ma dove comincia la storia di Ebola in Africa centrale? “Tutto sembra essere iniziato in un piccolo villaggio della Guinea dove ad ammalarsi fu, nel 2013, il piccolo Emile, di due anni. Febbre alta, vomito feci scure e poi la morte - scrive Gallavotti. Dopo di lui sopraggiunse la morte della mamma, della sorella e della nonna. Il contagio passa di persona in persona, di villaggio in villaggio e poi travolge, oltre alla Guinea, anche Liberia e Sierra Leone. (…) Chi o cosa abbia trasmesso il virus al piccolo Emile resta un mistero. Emile e gli altri bimbi giocavano spesso nei pressi di un albero cavo dove viveva una folta comunità di pipistrelli della specie ‘dalla coda libera dell’Angola’. Piccoli insettivori agili e puzzolenti che i bambini erano soliti catturare per gioco. Difficile dire se uno di questi animaletti abbia effettivamente dato il via a un’emergenza che ha seminato lutti e tenuto il mondo col fiato sospeso. Di certo però sappiamo che il virus di Ebola può infettare questi pipistrelli e restare per qualche tempo nel loro organismo”.
Ebola è una malattia altamente contagiosa e molto spesso fatale il cui virus si può presentare in diverse varianti. La sua scoperta è recente, risale al 1976 quando due focolai furono scoperti in Africa, in Sud Sudan, e nell’ex Zaire (oggi Congo) presso un fiume chiamato Ebola (da cui il nome del morbo). Oggi da Ebola ci si può difendere. Seguendo le giuste misure di protezione ma soprattutto grazie ai vaccini. Ma il fatto che questi oggi ci proteggano da Ebola, e non solo, non deve far abbassare il livello di attenzione. L'esempio più lampante oggi è la situazione in Africa centrale dove i morti a causa d questo virus sono stati circa 2.000 in un anno. “È difficile pensare che sapremo sconfiggere tutti gli agenti infettivi e per sempre – conlude Gallavotti - ma possiamo aspirare a una situazione di stallo, nella quale saremo in grado di tenere gli avversari pericolosi all’angolo. Ma potremo farlo solo se non abbasseremo mai la guardia, se sapremo essere uniti, se non lasceremo nessuno in balia delle malattie, e se sapremo usare bene le armi a nostra disposizione, dai farmaci alle capacità di ricerca avanzata. Altrimenti ‘loro’ vinceranno ancora molte battaglie, se non la guerra”.