SCIENZA E RICERCA
Eclissi solare, uno spettacolo e un'occasione preziosa per studiare la corona
L'eclissi solare totale dell'8 aprile ha mantenuto le promesse. L'evento astronomico più atteso dell'anno ha oscurato il cielo sopra una fascia del pianeta, ampia e densamente popolata, che ha incluso il Messico, gli Stati Uniti e il Canada e si è protratto per un tempo particolarmente lungo, grazie al fatto che la Luna si trovava molto vicino al perigeo.
Nei punti più favoriti l'oscuramento del Sole è durato ben 4 minuti e 28 secondi. Può sembrare un tempo breve ma per un'eclissi non lo è affatto e a rendere speciale l'evento ha contribuito anche la concomitanza con il periodo di massima attività del ciclo solare attualmente in corso. Una circostanza che ha reso l'eclissi del 2024 ancora più spettacolare, e scientificamente interessante, rispetto a quella che ha avuto luogo, sempre negli Stati Uniti, il 21 agosto del 2017 quando il Sole si avvicinava al minimo del suo ciclo.
Inoltre, per una questione puramente probabilistica, capita spesso che le eclissi solari totali (la cui frequenza è circa 18 mesi) siano visibili solo da regioni inaccessibili della Terra, come nel mezzo degli oceani. Questa volta invece il fenomeno ha interessato aree metropolitane con un numero elevato di abitanti (complessivamente oltre 40 milioni di persone) e raggiungibili anche da parte dei tanti turisti che si sono organizzati in tempo utile pianificando i loro spostamenti.
Per l'Italia l'appuntamento è solo rimandato perché nei prossimi tre anni ci saranno altrettante opportunità per assistere allo spettacolo dell'eclissi solare. Il primo evento, il 29 marzo del 2025, sarà parziale e dunque possiamo considerarlo come una sorta di "antipasto" di quello che invece potremo gustare il 12 agosto del 2026 e il 2 agosto del 2027 quando in alcune aree l'oscuramento del disco solare potrà superare il 90%. Nel 2026 saranno maggiormente favorite le regioni settentrionali, mentre nel 2017 la situazione sarà esattamente opposta e sull'isola di Lampedusa calerà la notte.
Ma oltre a regalare uno spettacolo altamente suggestivo, le eclissi solari sono anche occasioni preziose per sviluppare nuove conoscenze sulla fisica dell’atmosfera esterna del Sole, la corona. Il motivo è che si tratta dell'unico momento in cui è possibile osservare la corona solare dalla Terra perché normalmente è nascosta dalla luminosità, enormemente più elevata, del disco. E i misteri astronomici che riguardano la corona sono ancora molti, a partire dalla necessità di comprendere perché abbia una temperatura molto più calda rispetto alla superficie solare.
Abbiamo parlato di questo argomento insieme a Giampiero Naletto, professore del dipartimento di Fisica e astronomia dell'università di Padova, che ha avuto anche il ruolo di experiment manager nella fase di realizzazione di Metis, un sofisticato coronografo a guida italiana che è a bordo del satellite Solar Orbiter. E' infatti soltanto durante le eclissi solari che gli scienziati possono avvalersi della Luna come coronografo speciale: in ogni altro momento è necessario l'impiego di strumenti ottici appositamente progettati allo scopo di mascherare la luce proveniente dal disco solare e ottenere un effetto simile a una eclissi artificiale.
Il professor Giampiero Naletto spiega quali sono gli aspetti ancora misteriosi della corona solare e perché le eclissi totali sono un'occasione preziosa per osservare e conoscere meglio la parte più esterna dell'atmosfera del Sole
Il Sole: un oggetto caotico e in continuo movimento
Quando pensiamo al Sole, spiega il professor Naletto, tendiamo a pensare subito al disco ma è la corona a sollevare misteri che da decenni i fisici solari cercano di risolvere. "Stiamo parlando di un oggetto molto caotico, e in continuo movimento, che emette nello spazio quella sostanza che viene chiamata plasma, sostanzialmente una miscela di elettroni, protoni e altri materiali ionizzati che fuoriesce dalla sfera del Sole e si sparge in tutto il sistema solare, raggiungendo la Terra e anche i pianeti più esterni. La corona solare è un oggetto ancora poco conosciuto soprattutto a causa delle difficoltà che pone la sua osservazione".
Il paradosso della corona
Uno degli enigmi più grandi che si celano dietro la fisica solare riguarda il fatto che nella nostra stella sembra non valere un semplice principio, secondo il quale allontanandosi da una fonte di calore le temperature dovrebbero diminuire.
"Il disco ha una temperatura superficiale di 5500 gradi. Ma se andiamo a considerare la temperatura del plasma, nella zona intorno al Sole e fuori dal disco, si vede che la temperatura di queste particelle supera anche il milione di gradi. C’è quindi un meccanismo, ancora non ben conosciuto, che fornisce energia a queste particelle e le fa diventare più calde. Questo è ancora uno dei maggiori problemi che abbiamo nella comprensione del vento solare ed è uno dei motivi per cui si continua ad osservare la corona. Quello che si sa è che l’aumento dell’energia è associato ad un’interazione tra queste particelle cariche e il campo magnetico del Sole, però le teorie che spiegano questo legame non sono ancora definitivamente consolidate", afferma Naletto.
Perché è difficile osservare la corona
Le osservazioni della corona, come già anticipato, non sono semplici. "Il motivo è che la corona ha una densità estremamente più bassa rispetto al disco solare e la luce che noi vediamo emessa dalla corona è semplicemente luce che parte dal disco e arriva su queste particelle, viene poi diffusa e arriva sulla Terra. Però se consideriamo l’intensità emessa dalla corona è un milione di volte più debole rispetto a quella del disco, quando siamo vicini al disco, e un miliardo di volte più debole quando ci allontaniamo fino a cinque raggi solari. Osservare una radiazione così debole è quindi estremamente difficile", precisa il docente del dipartimento di Fisica e astronomia dell'università di Padova.
"Per osservare la corona solare bisogna trovare il modo di oscurare il disco. L’eclissi fa esattamente questo. C’è una coincidenza particolare per cui la dimensione della Luna corrisponde nel cielo sostanzialmente alla dimensione del disco solare e quindi, quando questi due astri sono allineati dal punto di vista dell’osservatore sulla Terra, la Luna oscura perfettamente il disco e ci permette di vedere la corona che sta intorno".
“ Per osservare la corona solare bisogna trovare il modo di oscurare il disco. L’eclissi fa esattamente questo. Il problema è che un evento del genere si verifica ogni 18 mesi e dura pochi minuti, impedendo quindi un’osservazione continua della corona
Eclissi artificiali grazie ai coronografi
Le eclissi solari però si verificano solo ogni 18 mesi e hanno una durata molto breve. Per questo motivo, spiega Naletto, si utilizzano i coronografi che sono degli strumenti capaci di oscurare la parte più intensa della radiazione solare. Tuttavia anche l'osservazione con questi particolari telescopi non è così semplice, sebbene dall'anno della loro invenzione, nel 1932 ad opera dell'astronomo francese Bernad Lyot, ad oggi siano stati compiuti ovviamente rilevanti progressi tecnologici.
"Quando facciamo queste osservazioni da Terra non c’è solo il problema di mascherare il disco perché lo stesso cielo azzurro manda un contributo di luce diffusa che ci permette di vedere sola una piccola porzione della corona, pochi decimi di raggio solare intorno al disco, mentre il resto non possiamo vederlo. L’osservazione da Terra con i coronografi è quindi estremamente difficile. Quello che si fa è usare coronografi a bordo di satelliti", approfondisce Naletto.
Come ricorda il docente, è quello che si è fatto, ad esempio, con la missione SoHo che è stata lanciata nel 1995 ed è stata realizzata da ESA e NASA. Poi successivamente c’è stata la missione della NASA Stereo con i coronografi SECCHI che hanno ottenuto informazioni estremamente utili. Più recentemente, nel 2020, l’ESA ha lanciato la missione Solar Orbiter a cui anche l’Università di Padova ha contribuito con la realizzazione del coronografo Metis che lavora sia guardando sia nel visibile, sia nell’ultravioletto.
Proprio il coronografo Metis nel 2022 è stato protagonista di un'importante osservazione i cui risvolti hanno aggiunto un ulteriore tassello al complesso puzzle con cui si cercano risposte sui meccanismi alla base dell'accelerazione del vento solare. Uno studio a cui ha collaborato anche Giampiero Naletto e i cui risultati sono stati pubblicati su Astrophysical Journal Letters, ha infatti fotografato per la prima volta un enigmatico meccanismo responsabile delle improvvise inversioni del campo magnetico del vento solare. L'osservazione, oltre a risolvere il mistero dell'origine degli switchback, ha anche compiuto il primo passo verso una possibile nuova spiegazione dei processi che accelerano il vento solare e lo riscaldano a grandi distanze dal Sole, suggerendo un ruolo determinante svolto proprio da questi cambi nel campo magnetico.
Rimandendo all'interno dela linea di ricerca che cerca di scoprire perché la corona è 150 volte più calda rispetto al disco, un altro contributo è arrivato da un recente studio condotto da un team internazionale guidato dall'INAF e i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista The Astrophysical Journal Letters. Questo lavoro ha effettuato una misurazione innovativa, congiunta con la missione Parker Solar Probe, che indica nei fenomeni di turbolenza i principali responsabili del riscaldamento della corona solare alle temperature osservate. Ma prima di poter affermare che il mistero è risolto gli stessi scienziati hanno sottolineato la necessità di ulteriori indagini.
Le osservazioni rese possibili dalle eclissi hanno però una marcia in più
Come abbiamo visto, l'utilizzo dei coronografi nello spazio permette di superare il problema della luce diffusa dell’atmosfera terrestre. Tuttavia, spiega Naletto, c'è un'ulteriore questione che rimane irrisolta ed è la luce intorno all'occultatore. "Questo introduce un limite perché non siamo in grado di vedere la porzione della corona in prossimità del disco solare, ma soltanto da una certa distanza in poi. Quindi torna in gioco l’importanza delle osservazioni realizzate durante le eclissi solari perché l’occultatore, cioè la Luna, è estremamente lontano, e di conseguenza riusciamo a vedere la corona proprio dove si sviluppa, vale a dire in prossimità del disco. E quelle sono le uniche occasioni che abbiamo per vedere nel dettaglio cosa accade nell’interfaccia tra disco e corona", spiega il professor Naletto.
L'eclissi dell'8 aprile 2024 è inoltre coincisa con il massimo solare
In più quest’ultima eclissi solare ha avuto la peculiarità di essersi verificata in corrispondenza del massimo del ciclo del Sole, un periodo di attività estrema che si verifica ogni 11 anni. "Quindi c’era la possibilità di vedere gli oggetti più tipici che si trovano all’interno della corona, come gli anelli coronali che sono delle curve chiuse in cui si vede il plasma che segue le linee di campo magnetico chiuse, oppure le prominenze solari che sono grandi emissioni di materia, o i buchi coronali in cui c’è poco plasma ma esce il vento solare perché in quella zona le linee di campo sono aperte. Sono tutte quelle strutture coronali che sono sempre di particolare interesse sia da un punto di vista scientifico, sia da un punto di vista più strettamente collegato alle nostre tecnologie", continua il docente.
Attività solare e tempeste geomagnetiche
La corona solare, pur essendo relativamente quieta per la maggioranza delle sue attività, ogni tanto ha delle esplosioni particolarmente violente. E partire dai brillamenti poi si sviluppano le esplulsioni di massa coronali che sono delle emissioni nello spazio di questo materiale costituito da plasma a forte velocità e alta densità. Questo ci porta ad un'altra ragione, oltre a quella più strettamente scientifica e di comprensione della fisica solare, per la quale è importante osservare e conoscere meglio la corona. Una tempesta geomagnetica estrema, di portata pari al famoso evento di Carrington del 1859, oggi potrebbe mettere fuori uso centrali elettriche, comunicazioni radio e satelliti, provocando danni per miliardi di dollari.
"Se questi eventi arrivano fino alla Terra hanno la capacità di deformare il campo magnetico terrestre e arrivare fino alla superficie. Già normalmente capita che il vento solare riesca ad arrivare fino alla superficie terrestre, in corrispondenza tipicamente dei poli dove il campo magnetico si chiude e lì queste particelle cariche creano quei bellissimi fenomeni che sono le aurore boreali. Se l’evento è particolarmente intenso, riesce a rendere inefficace la protezione del campo magnetico terrestre sulla superficie della Terra: quindi queste particelle arrivano e provocano delle tempeste geomagnetiche che possono creare gravi danni agli apparati tecnologici, soprattutto quelli basati su tecnologie elettriche ed elettroniche", osserva Naletto.
In tempi recenti a subire le conseguenze di un evento di questo tipo sono stati i satelliti Starlink che nel 2022 furono decimati poche ore dopo il lancio proprio a causa di una tempesta geomagnetica che ha fatto aumentare localmente la densità dell’atmosfera, a causa della compressione della magnetosfera terrestre dovuta all’esplulsione di massa coronale.
"L’osservazione della corona solare ha importanti ripercussioni sulla nostra tecnologia perché se dovessero arrivare queste tempeste magnetiche molti satelliti potrebbero essere profondamente danneggiati e potrebbero esserci rischi anche gli astronauti in orbita, un punto che acquisisce sempre maggiore centralità visti i progetti di soggiornare a lungo nello spazio. Le principali agenzie Esa e Nasa stanno sviluppando dei progetti per creare una rete di satelliti dedicati al monitoraggio della corona solare. E’ quello che si chiama lo Space Weather: si monitora non solo la corona, ma anche il disco perché si spera di comprendere, guardando l’attività sul disco solare, quando sta per verificarsi uno di questi eventi e riuscire a predirlo allo scopo di mettere in atto le opportune procedure di sicurezza", conclude Giampiero Naletto.