CULTURA

Fondo Ambiente Italiano, storie d'arte e paesaggio

"Io sono io e l'ambiente che mi circonda; se non lo salvo non salvo me stesso". Nel nome della bellezza e seguendo questo pensiero di Josè Ortega y Gasset, trasformato in insegnamento per individuare la strada da percorrere, da 45 anni, il FAI - Fondo Ambiente Italiano protegge ambiente e cultura, paesaggio e arte. Nata nel 1975, grazie a Giulia Maria Crespi, imprenditrice scomparsa il 19 luglio scorso, a 97 anni, oggi questa fondazione senza scopo di lucro continua a lavorare per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e paesaggistico del nostro Paese. Il 16 aprile 2020, in una lettera al direttore del Corriere della Sera, in qualità di presidente onorario del FAI e dell'Associazione per l’agricoltura biodinamica, dimostrando ancora una volta il suo amore per la natura, la fiducia nei giovani (con riferimento al movimento Friday for future), e individuando le cause della pandemia nei cambiamenti climatici, nella deforestazione, nell'invasione delle città "in aree naturali che fungono da filtro, in una agricoltura troppo intensiva e forzata", Crespi scriveva: "Stiamo finalmente imparando che è urgente e doveroso ricercare un nuovo e più rispettoso equilibrio con il Pianeta che ci ospita", un principio che continua ad animare, oggi, il Fondo ambiente italiano. Ne abbiamo parlato con Ines Lanfranchi Thomas, presidente del FAI Veneto.

Partiamo dalla fondatrice e dal 1975. Perché nasce il Fondo Ambiente Italiano e cosa è diventato oggi?

Giulia Maria Crespi è stata una donna illuminata, una guerriera indomita che ha combattuto fino all'ultimo per la salvaguardia dell’ambiente e del patrimonio culturale italiano. “L’ambiente - diceva, con la voce che diventava sempre più decisa quando affrontava questi temi - è un compito che spetta a tutti noi”. Il FAI nasce 45 anni fa: il modello era quello del National Trust inglese, che preservava i beni artistici del Paese e operava a vantaggio della collettività. L’associazione inglese, infatti, diventando proprietaria di ville e parchi privati, ne assicurava il godimento a tutti. Crespi, insieme, tra gli altri, all'architetto Renato Bazzoni, dà vita al Fondo Ambiente Italiano dotandolo subito di un cospicuo fondo economico e donando al neonato ente il Monastero di Torba, nel Varesotto. Voleva rendere evidente che il FAI, che era un’associazione di privati, poteva gestire un bene destinato a una fruizione pubblica. Oggi conta più di 210mila iscritti e cura, protegge e tutela l’ambiente, il paesaggio, il patrimonio storico e culturale del Paese.

Sogni? Sì, sogni. A furia di sognare, si riesce a portare nel concreto ciò che si sogna Giulia Maria Crespi (1923-2020)

Come si concretizza lo scambio tra ambiente e cultura?

Fin dalla sua nascita il FAI si occupa di arte, cultura, ambiente e paesaggio che, secondo il Codice dei beni culturali, è il territorio espressivo di identità. La centralità della sostenibilità ambientale è ormai un tema comune e quotidiano a livello sociale ed economico. Il FAI realizza quello che sostiene: Giulia Maria Crespi è stata una sognatrice che ha quasi pienamente realizzato i suoi sogni, con la forza di operare per il bene comune. Nei beni i visitatori possono percepire e toccare con mano come vengono messi in atto risparmio energetico, riduzione dell’impronta idrica e del dissesto idrogeologico, tutela della biodiversità, sperimentazione e innovazione, attraverso le nuove tecnologie amiche del pianeta.

Il già citato Monastero di Torba come prima donazione, era il 1977. Quale l'ultima in ordine di tempo? E quanti sono oggi, complessivamente, i beni?

Dopo il Monastero di Torba arrivarono altre donazioni: l’Abbazia e il Borgo di San Fruttuoso (Genova) da parte dei principi Doria Pamphilj e negli anni ottanta, il Castello della Manta (Cuneo) e la villa del Balbianello (Como). L’ultimo bene che è arrivato è Palazzo Moroni a Bergamo, il cui giardino è stato aperto in occasione delle Giornate FAI all'aperto, nell'ultimo weekend di giugno. I beni storico-artistici o paesaggistici possono essere di proprietà o affidati in concessione da un ente pubblico o in comodato da un privato: oggi, tra beni di proprietà e in concessione, si è superata quota 60.

Chi finanzia il FAI e come vengono investiti i fondi raccolti?

Le fonti di finanziamento sono sia privati cittadini, che fanno donazioni o un lascito testamentario, sia le aziende che diventano partner della fondazione, sponsor di un progetto o Corporate golden donor. A questi si aggiungono, in minima parte, gli enti pubblici e le fondazioni, sia pubbliche che private. I fondi raccolti sono destinati, per oltre i due terzi, alla missione principale cioè al restauro, alla conservazione e alla gestione dei luoghi, regolarmente aperti al pubblico. Un quinto è investito per le campagne di raccolta fondi, il restante per i servizi generali.

Le direzioni regionali come si comportano rispetto alla direzione centrale? Hanno autonomia per quel che riguarda attività, progetti e interventi?

Il confronto tra presidenze regionali e direzione centrale è costante e dialettico: ciascuna regione decide da sé, autonomamente, sia per l’organizzazione dei progetti locali che per le varie attività. Lo staff centrale è sempre disponibile a dare una mano. Due volte l’anno, i presidenti regionali si ritrovano a Milano per fare il punto della situazione di ogni regione e per conoscere i nuovi progetti e i comuni piani di lavoro.

Uno dei punti di forza è costituito dai volontari, attivi in tutta Italia. Chi sono e cosa hanno in comune?

Li accomuna l’amore per il Paese, per il proprio territorio, la consapevolezza della sua ricchezza storica, culturale, ambientale, paesaggistica e il desiderio di operare per il bene comune. Si tratta di una rete trasversale che unisce generazioni, regioni e professionalità. I volontari sono persone che grazie al loro impegno, alla professionalità e al tempo che investono, permettono al FAI di essere quello che è: un ente serio, credibile, che dialoga con tutti, con i vertici delle istituzioni e con le persone più semplici.

Quali sono i beni del Veneto e cosa rappresentano per il territorio regionale dal punto di vista turistico?

Il Veneto è tra le prime regioni per numero di beni. Due sono a Venezia: il Negozio Olivetti, in Piazza San Marco, che è un bene affidato nel 2011, per concessione delle Assicurazioni Generali, e Casa Bortoli, arrivata nel 2017, per eredità da Sergio e Carla Bortoli. L’appartamento signorile con veduta stupefacente sulla chiesa della Salute è diventato luogo in cui “pensare” Venezia e nuovi possibili scenari di questa città unica. A Luvigliano, in provincia di Padova, sui Colli Euganei, è situata la splendida rinascimentale Villa dei Vescovi, residenza di campagna dei vescovi padovani, donata dalla famiglia Olcese nel 2005. Sta per essere aperto al pubblico l’alpeggio di Fontana Secca, donato dei fratelli Collavo nel 2015, sul Massiccio del Monte Grappa: un’area che prevede il recupero e la riqualificazione dei pascoli e delle aree forestali. A Padova, nel 2018, il FAI ha ereditato da Maria Pia Dal Prà, Casa Dal Prà, una dimora in centro città che custodisce una raccolta interessante di opere di arte antica e contemporanea. Il restauro è ancora in corso. Il piccolo paese di Rolle, in provincia di Treviso, nel 2004 è diventato il primo borgo italiano tutelato dal FAI. I beni vanno intesi come fulcri di un sistema paesaggistico, culturale, sociale ed economico. Infatti vivono in relazione inscindibile con il contesto naturale e urbano nel quale sono inseriti e possono essere risorsa per tutto il territorio circostante. Si tratta di un patrimonio che favorisce il turismo, grazie a un’offerta culturale e ambientale unica.

Oltre a quelli del Veneto, quali beni ama particolarmente e perché?

Sono tutti speciali: amo naturalmente, e sono i miei preferiti, quelli veneti. Non conosco tutti i beni italiani, ma ne ho visitati molti: dovunque, sono stata colpita dalla cura e dall'amore con cui vengono continuamente curati. Nulla è lasciato al pressapochismo o al banale o al superfluo. Ho da poco visitato in Umbria, ad Assisi, il Bosco di San Francesco, un acquisto FAI, grazie alla donazione di Intesa Sanpaolo nel 2008: è un’oasi di pace e di spiritualità dove poter camminare, pregare, leggere e pensare. Non si dovrebbe andare a Milano senza visitare Villa Necchi Campiglio, un gioiello del déco anni Trenta.

Il Fondo Ambiente Italiano conta anche sul sostegno dei suoi iscritti, cittadini che hanno a cuore l'ambiente e la cultura e a cui vengono offerte una serie di agevolazioni. Con un piccolo contributo mensile, i tesserati hanno anche la possibilità di adottare un bene e diventare "custodi della bellezza". 

Si può adottare un bene e seguire, passo passo, gli interventi che lo proteggono dallo scorrere del tempo. Questa scelta dà diritto alla tessera come "iscritto speciale" e offre molte opportunità: sconti, agevolazioni e il resoconto annuale degli interventi effettuati nel bene. Inoltre, dà la possibilità di dedurre l’importo della donazione nella dichiarazione dei redditi. Iscriversi è un atto civico di sostegno al nostro Paese: serve ad aiutare chi preserva e si impegna a tutelare il nostro meraviglioso e unico patrimonio. 

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