SOCIETÀ

G7 Finanze. Clima e sviluppo: un passo a due

Tra il 23 e il 25 maggio 2024 a Stresa, in Piemonte, si sono riuniti i ministri di Economia e Finanza e i governatori delle banche centrali dei Paesi membri del G7, presieduto, quest’anno, dall’Italia. Si trattava di una riunione ministeriale molto attesa: sul piatto c’erano molti importanti temi di discussione globali, dalle questioni geopolitiche, al sostegno alle politiche di sviluppo, all’avanzamento degli obiettivi di sviluppo sostenibile e alla promozione di misure di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico galoppante.

All’indomani del cosiddetto G7 Ambiente, la riunione dei ministri dell’Ambiente che si era conclusa in modo timidamente positivo (soprattutto per l’impegno dei sette grandi a eliminare il carbone come fonte energetica al più entro il 2035), molti osservatori speravano che questa ministeriale si traducesse in sostanziosi impegni economici “verdi” da parte delle maggiori economie mondiali.

Così non è stato – o almeno non del tutto. Soprattutto sul tema della finanza per il clima, gli analisti sottolineano come il periodo complesso tanto dal punto di vista geopolitico che sul piano economico renda i governi particolarmente riluttanti a stanziare fondi per l’azione climatica, la transizione energetica e la tutela ambientale. Eppure, queste sono (o dovrebbero essere) tra le più alte priorità ad ogni livello di governance, dal locale al sovranazionale: la crisi ambientale continua ad aggravarsi, con conseguenze economiche e sociali sempre più evidenti, e siamo già a metà della decade critica per mettere in atto politiche efficaci.

Da alcuni anni si sta verificando un interessante riequilibrio di forze: i Paesi del G7, con economie storicamente più forti e quindi più influenti, stanno loro malgrado cedendo il passo, almeno in termini di influenza diplomatica, alle cosiddette economie emergenti, tra cui vanno annoverati i Paesi del G20. Soprattutto in riferimento alla crisi climatica, questi ultimi si stanno facendo portatori – non necessariamente in maniera disinteressata – delle istanze della parte più vulnerabile della popolazione mondiale, che non solo subisce le più gravi conseguenze di un processo di cambiamento del clima a cui ha contribuito (se del caso) solo in minima parte, ma in più si trova soverchiata dall’eclatante diseguaglianza nella distribuzione delle risorse finanziarie e nella strutturazione dei meccanismi di accesso ad esse.

I Paesi emergenti, dunque, chiedono con crescente insistenza che, soprattutto per far fronte alla necessità sempre più pressante di risorse economiche per fronteggiare i rischi ambientali e supportare la transizione, venga avviato un processo di riforma della finanza internazionale, con l’obiettivo di renderla più giusta ed inclusiva.

Ad oggi, tuttavia, il G7 svolge ancora un ruolo primario nella definizione dell’agenda internazionale: le decisioni prese dai Sette grandi, dunque, sono ancora in grado di spostare l’ago della bilancia. È per questo che tanto i temi di discussione quanto gli esiti della recente ministeriale economica vengono studiati con attenzione: dal posizionamento del G7 si può comprendere quale sarà, probabilmente, la traiettoria della finanza e della politica per il clima dei prossimi mesi, forse dei prossimi anni.

Il rifinanziamento dell’IDA

L’Agenzia internazionale per lo sviluppo (International Development Association, IDA), organo della Banca Mondiale che ha la fondamentale funzione di raccogliere fondi (su base volontaria) da utilizzare per aiutare le persone più povere del pianeta, è rimasta priva di fondi a causa delle necessità dovute all’impatto della pandemia e dei cambiamenti climatici. Per questo motivo, il prossimo ciclo di rifinanziamento è particolarmente delicato. L’argomento è stato affrontato dai ministri delle finanze del G7, che nel Communiqué siglato a conclusione del meeting hanno espresso il proprio supporto al rifinanziamento dell’Agenzia (che avviene ogni quattro anni): si tratta di un posizionamento importante, in considerazione del fatto che, in vista di questo ciclo di rifinanziamento, è stato chiesto ai Paesi donatori di aumentare il loro impegno del 25% rispetto al passato.

Debito, un ostacolo allo sviluppo

Per aumentare l’equità e l’inclusività dell’accesso alle risorse internazionali, è anche essenziale rivedere l’attuale sistema di erogazione dei fondi, incentrato essenzialmente sui prestiti. Per far questo, è necessario riformare il funzionamento delle banche multilaterali di sviluppo (Multilateral Development Banks, MDBs) aumentandone i margini di manovra. Uno strumento che potrebbe rivelarsi utile in tal senso è rappresentato dai Diritti speciali di prelievo, consistenti in riserve valutarie detenute dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) che non corrispondono precisamente ad alcuna valuta in uso e vengono allocati ai Paesi membri del FMI stesso quando questo ritiene necessario aumentare il loro margine di spesa per far fronte a momenti di crisi. Proprio i diritti speciali di prelievo – resi disponibili ai Paesi in base al contributo versato al FMI – potrebbero divenire un importante strumento di riforma del sistema di prestiti ed erogazioni ai Paesi in via di sviluppo: come ha affermato in un briefing per la stampa Luca Bergamaschi, presidente del think tank ECCOClimate, proprio il G7 avrebbe potuto decidere di allocarli per finanziare paesi in via di sviluppo o le banche multilaterali per lo sviluppo. In questo modo, il guadagno sarebbe comune: anche i Paesi più vulnerabili avrebbero modo di compiere gli investimenti necessari per realizzare il cambiamento trasformativo e raggiungere la resilienza necessari per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030.

Tassare (equamente) i ricchi

Un altro tema su cui, in risposta al “sasso” lanciato dalla presidenza brasiliana del G20, il posizionamento del G7 era molto atteso è quello della riforma della tassazione internazionale. L’argomento è molto caldo in questi mesi: i due “pilastri” indicati dall’OCSE (tassazione digitale e imposta minima globale del 15% sulle grandi multinazionali) devono ora essere implementati; in più, la tassa globale sui grandi patrimoni ha definitivamente avviato la – molto opportuna – discussione sulla necessità di redistribuire la ricchezza in modo più equo, destinando i ricavi di un’eventuale tassa sui ricchi al finanziamento di misure per la riduzione della povertà e per il contrasto alla crisi ambientale.

Finanziare la transizione

In questi anni, è uno dei più grandi e controversi – seppur non a parole – temi di discussione nella diplomazia internazionale. Sappiamo che, per affrontare in modo adeguato la crisi ambientale, dobbiamo trasformare profondamente il nostro sistema economico e produttivo. La strada è obbligata: decarbonizzazione. Ma per costruire un sistema energetico “pulito” servono in primo luogo grandi finanziamenti, che dovranno anche attutire gli inevitabili contraccolpi che si verificheranno nel periodo di assestamento del nuovo stato del sistema. Sbloccare fondi per progetti di cooperazione internazionale e per supportare i Paesi più vulnerabili è dunque un passaggio essenziale per rendere la transizione operativa. Eppure, neanche questa riunione ministeriale ha restituito l’impressione di una reale volontà di cambiamento da parte dei ricchi del pianeta, che sarebbe stata segnalata dalla menzione di misure come l’eliminazione delle sovvenzioni ai combustibili fossili e un maggiore impegno per il finanziamento del Fondo per il clima o di quello per la biodiversità.

A conclusione della riunione di Stresa, Rebecca Thissen, esperta di processi multilaterali per il Climate Action Network, ha affidato a una dichiarazione la sua (e di molti) frustrazione: «Il Comunicato dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali del G7 mette in luce l’assenza di responsabilità di questo gruppo di Paesi ricchi e inquinanti, mentre il mondo è alle prese con l’impatto crescente e sempre più devastante dei cambiamenti climatici. Di fronte a un risultato così modesto, Climate Action Network si unisce ai numerosi movimenti sociali che si stanno mobilitando per chiedere al G7, costituito da inquinatori storici, di pagare il proprio debito per gli ingenti danni ambientali che hanno causato al Sud del mondo».

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