La firma dell’Outer Space Treaty alle Nazioni Unite nel 1967
Il 27 gennaio 1967, due anni prima che Neil Armstrong mettesse piede sulla Luna e in piena guerra fredda, Stati Uniti, Regno Unito e Unione Sovietica sottoscrivevano un accordo internazionale sulle attività spaziali. L’Outer Space Treaty sancisce i principi che governano le attività degli Stati in materia di esplorazione e utilizzazione dello spazio extra-atmosferico, compresi la Luna e gli altri corpi celesti, e ancora oggi costituisce la struttura giuridica di base del diritto internazionale aerospaziale. L’accordo è però basato sulle tecnologie a disposizione in quegli anni e non affronta la questione delle attività dei privati.
Nel 1979 fu proposto come estensione del precedente trattato il cosiddetto Moon Agreement, al fine di regolare la condotta delle nazioni nella futura esplorazione spaziale. È normalmente acquisito dal diritto aerospaziale internazionale che la Luna ricada sotto il concetto giuridico di res communis, il che significa che essa è “patrimonio comune del genere umano”. L’Accordo intendeva stabilire un regime per l'uso della Luna e di altri corpi celesti simile a quello stabilito per i fondali marini decretato dalla Convenzione ONU sulla Legge del Mare, impedendo di fatto ogni diritto di proprietà privata.
L’Accordo sulla Luna non ebbe però successo: al momento è stato ratificato solo da Australia, Austria, Belgio, Cile, Filippine, Kazakistan, Libano, Marocco, Messico, Paesi Bassi, Pakistan, Perù, e Uruguay; Francia, Guatemala, India e Romania l'hanno firmato ma non ratificato. Nessuno degli stati aderenti è di fatto una potenza spaziale.
Più che una corsa alla Luna, una corsa alle risorse
La linea seguita dal Moon Treaty appare ormai datata, in un momento in cui sembra plausibile la possibilità di sfruttare le risorse geominerarie lunari (e non solo) per garantire un insediamento umano stabile al fine di intraprendere ulteriori viaggi spaziali, o di alimentare la stessa economia terrestre. La partecipazione delle aziende private all’impresa spaziale, con il rischio ad esso connesso, sembra infatti rendere necessario il riconoscimento di una qualche possibilità di sfruttamento commerciale delle nuove risorse.
Frammento lunare nella sala ovale della Casa Bianca. Foto: NASA
Nonostante l’estrazione di risorse nello spazio sia ancora un settore agli albori, nello U.S. Commercial Space Launch Competitiveness Act, emanato nel 2015, si trattano l’esplorazione a fini commerciali e i diritti riguardanti le risorse presenti sugli asteroidi. Con esso il governo americano ha deciso di favorire l’apertura allo sfruttamento delle risorse spaziali, appoggiando il coinvolgimento delle aziende private e lo sviluppo di modelli di business coerenti con la new space economy.
L’atto del 2015 non rende possibile il diritto di proprietà di asteroidi o altri corpi celesti, ma solamente delle risorse che verrebbero eventualmente estratte. Una linea operativa confermata dall’amministrazione Trump, che nel 2020 promulgò un Executive Order on Encouraging International Support for the Recovery and Use of Space Resources. Definendo l'Accordo sulla Luna un "tentativo fallito di limitare la libera impresa", nel documento veniva sottolineato che "gli Stati Uniti non considerano lo spazio esterno come un bene comune globale”. In esso il tycoon confermava inoltre ufficialmente il supporto della politica americana a un pieno sfruttamento commerciale della Luna e dello spazio, facendo esplicito riferimento all’assenza di un’adeguata legislazione sullo spazio. Trump rinnovava così la volontà degli Stati Uniti di non sottoscrivere il Moon Treaty.
Un’altra delle decisioni controverse di Trump in ambito di politiche spaziali fu la nomina nel 2017 di Jim Bridenstine ad amministratore della NASA. Dopo una lunga tradizione di scienziati o astronauti in quel ruolo, per la prima volta l’Agenzia spaziale statunitense era guidata da una figura eminentemente politica (recentemente dimessasi in seguito all’insediamento del nuovo presidente).
Fu proprio Bridenstine a presentare nel 2020 una serie di linee guida per i partner internazionali degli Usa per la futura esplorazione lunare, chiamati Artemis Accords. Con un obiettivo chiaro: iniziare a costruire le basi di una giurisdizione che permettesse a privati e non di sfruttare commercialmente la Luna.
Illustrazione della Terra circondata da detriti spaziali. Immagine: NASA
Come gestire gli Accordi Artemis sarà una delle grandi sfide dell’attuale amministrazione Biden, caratterizzata da una linea politica nell’esplorazione spaziale finora non proprio cristallina. In ogni caso, dato ormai per scontato l’inserimento di corporations private che mirano allo sfruttamento delle risorse spaziali, quale presidente americano, repubblicano o democratico che sia, potrebbe frenare l’espansione delle proprie imprese? Dopo un inizio almeno apparentemente incerto, la politica spaziale dell’amministrazione Biden sembra infatti andare in una direzione coerente con il programma lunare Artemis, che prevede l’invio della prima donna e il prossimo uomo sul nostro satellite nel 2024 per poi puntare all’esplorazione umana di Marte.
Obiettivo degli Accordi è: “rinvigorire il ruolo dell’America [Usa] come leader globale nello spazio, promuovendo un uso responsabile delle risorse e aprendo la porta a una nuova epoca di collaborazione internazionale”. Essi inoltre definiscono “un insieme comune di princìpi per governare l’esplorazione civile e l’uso dello spazio esterno” e invitano a condividere le ricerche scientifiche, affermano il principio di trasparenza tra partner, di interoperabilità tra i sistemi e di assistenza in caso di emergenza. Il focus più innovativo è però sugli aspetti commerciali: “Paesi e aziende – ha dichiarato Bridenstine – dovranno essere in grado di cogliere i frutti del loro lavoro”. In essi inoltre si afferma che “la capacità di estrarre e utilizzare risorse su Luna, Marte e asteroidi sarà fondamentale per supportare l’esplorazione e lo sviluppo sicuro e sostenibile dello Spazio”. Ed è proprio quest’ultimo punto a far discutere maggiormente.
L’obiettivo principale degli accordi intergovernativi è chiarire quali saranno i protagonisti della nuova era dell’esplorazione spaziale. L’invito degli Usa alla cooperazione internazionale nell’ambito del progetto Artemis – e contestualmente degli Accordi – è stato accolto al momento da Canada, Giappone, Regno Unito, Australia e Lussemburgo. Ci sono infine gli Emirati Arabi, reduci dalla prima missione araba verso Marte (Hope), che incoraggia le ambizioni extra-atmosferiche di Abu Dhabi. La posizione della Russia appare molto critica, tanto da far pensare che sia la grande esclusa dalla nuova impresa spaziale, mentre la Cina conferma il suo ruolo di concorrente della leadership americana con un piano molto ambizioso per la Luna: far arrivare i propri taikonauti (dal cinese mandarino tai kong, spazio) sul polo sud del satellite, proprio dove gli Usa vorrebbero realizzare una base stabile.
Accordi bilaterali o globali?
Il nuovo diritto spaziale verrà dunque dallo strapotere di una o più potenze, che per mezzo di accordi bilaterali riusciranno a imporre la loro visione, o si riuscirà in qualche modo ad arrivare a norme più condivise? Un accordo sancito da un organo legislativo super partes avrebbe sicuramente una legittimazione maggiore e permetterebbe una più rapida armonizzazione della regolamentazione in materia a livello globale. I trattati bilaterali sono tutto fuorché flessibili e in un momento storico come quello che stiamo vivendo, nel quale la tecnologia doppia facilmente la velocità di adattamento delle istituzioni e dei regolamenti, potrebbero produrre una forte tensione che porterebbe a un’altra impasse, spostando il problema invece di risolverlo. Analogamente, un approccio puramente su base nazionale sarebbe molto più rapido ma butterebbe il seme per una frammentazione endemica del diritto internazionale. Questo approccio porterebbe semplicemente gli attori privati a spostarsi di Paese in Paese verso una legislazione più morbida, aumentando solamente la competizione tra nazioni a discapito del sistema. La via di mezzo potrebbe produrre i maggiori benefici, con i Paesi più avanti nel settore che si impegnino a seguire protocolli comuni che successivamente potrebbero porre le basi per un’evoluzione nel momento in cui l’economia dello spazio inizierebbe a vivere la sua fase adulta.
UNISPACE I, Vienna 1968. Foto: UNOOSA (part.)
A questo riguardo si deve ricordare il contributo di istituzioni internazionali come l’ONU, presso la quale il 12 dicembre 1959 è stato fondato il Comitato delle Nazioni Unite sull’uso pacifico dello spazio (COPUOS), specificatamente dedicato alle discussioni sull’uso delle risorse spaziali. A questo si aggiunge l'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari spaziali (UNOOSA), attivo per aiutare tutti i Paesi, in particolare quelli in via di sviluppo, ad accedere e a sfruttare i vantaggi dello spazio per accelerare uno sviluppo sostenibile attraverso una serie di attività che riguardano tutti gli aspetti relativi allo spazio. L’UNOOSA supporta inoltre le diverse nazioni nella pratica e nello sviluppo del diritto spaziale internazionale, con lo scopo di aumentare la loro capacità di elaborare o rivedere le leggi e le politiche spaziali nazionali in linea con i quadri normativi internazionali sullo spazio. L’UNOOSA sostiene la trasparenza nelle attività spaziali, attraverso misure come il Registro degli oggetti lanciati nello spazio esterno, che collega ogni manufatto a un Paese responsabile.
Tra le attività dell’UNOOSA rientra l’organizzazione di occasioni di incontro e di discussione, alcune delle quali si sono rivelate importanti per il confronto sul futuro dello spazio. Come le tre conferenze UNISPACE, incentrate sulla sensibilizzazione sull'enorme potenziale dei benefici dello spazio per tutta l'umanità, alla prima delle quali (14-27 agosto 1968, Vienna) parteciparono 78 Stati membri, nove agenzie specializzate delle Nazioni Unite e altre quattro organizzazioni internazionali. UNISPACE I passò in rassegna i progressi nella scienza, nella tecnologia e nelle applicazioni spaziali e chiese una maggiore cooperazione internazionale e il suo rapporto finale fa parte del Rapporto del Comitato sugli usi pacifici dello spazio esterno.
E l’Italia?
Il nostro Paese ha firmato nell’ottobre 2020 gli Accordi Artemis, confermando un importante coinvolgimento industriale in campo spaziale. Il contributo italiano al Programma Artemis sarà dettagliato con successivi accordi attuativi tra l’Agenzia spaziale italiana (ASI) e la NASA, in particolare sulla fornitura di moduli abitativi per l'equipaggio e di servizi di telecomunicazione.
Il 20 e 21 settembre scorso si sono riuniti a Roma nella sede dell’ASI i capi delle agenzie spaziali dei venti Paesi piú industrializzati al mondo nel “G20 Space Economy leaders meeting 2021 – Space for people, planet and prosperity”, con lo scopo di evidenziare il contributo della Space Economy all’economia globale. L’obiettivo finale è far entrare stabilmente il tema spaziale nei punti in agenda del G20, il summit internazionale che riunisce le principali economie del mondo. Il leitmotiv dell’edizione 2021, organizzata alla fine di ottobre sempre a Roma; sarà proprio “People, Planet, Prosperity”.
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