CULTURA

Gio Ponti, un artista rinascimentale in tempi moderni

Una carriera poliedrica, tra architettura, design industriale, editoria e produzione artigianale: classe 1891, Gio Ponti incarna uno stile indipendente rispetto alle avanguardie e ai movimenti che animano gli anni del primo Novecento. Nel 1913 si iscrive alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, conseguendo la laurea solamente nel 1921 a causa della Prima guerra mondiale: proprio il conflitto però lo porta nelle terre venete dove scopre e si innamora del neoclassicismo palladiano

Agli architetti dovrebbe andare una grande posizione. Gli ingegneri hanno, diciamo così, dei problemi da risolvere; gli architetti hanno il problema della vita degli uomini Gio Ponti in un'intervista di Marina Botta del 1971

Questo interesse, riveduto in chiave moderna, è presente nelle sue prime progettazioni come la palazzina in via Randaccio a Milano (1925) e la villa Bouilhet a Garches in Francia (1927). Parallelamente, Ponti instaura alcune collaborazione con aziende, tra cui Richard-Ginori (1923-1933), rinnovandone la produzione di ceramiche grazie all’unione tra classicismo e tecniche all’avanguardia, e FontanaArte nel 1931 dove dà vita alla lampada Bilia, composta da due forme geometriche semplici ed essenziali, la sfera e il cono.

In questi primi anni della sua carriera, Gio Ponti fonda la rivista Domus (1928) in cui propone uno sguardo innovativo sull’architettura ma anche sulla produzione industriale. In quello stesso periodo, l’architetto progetta le Case tipiche: un’idea di città diversa, colorata e ripetibile, per rinnovare il concetto di abitazione per la classe medio borghese, con un’ampia zona giorno, materiali poco costosi e un’evoluzione della vivibilità. 

Negli anni che precedono la Seconda guerra mondiale, Gio Ponti è attivo su più fronti: nel 1930 inizia la sua collaborazione con la Triennale di Arti decorative di Milano, che prosegue anche negli anni successivi, e nel 1941 fonda la rivista Stile. Negli anni Trenta, le sue creazioni si distribuiscono tra edifici residenziali e scolastici: un esempio di questo periodo sono i lavori a Padova. Il rettore Carlo Anti (in carica dal 1932 al 1943) avvia IV Consorzio Edilizio, un’opera di rinnovamento e modernizzazione degli edifici universitari. Ai lavori partecipa anche Gio Ponti, in particolare per la realizzazione della sede della facoltà di lettere e filosofia, palazzo Liviano. Grazie alla normativa, conosciuta poi come “legge del 2%” (che prevede per le amministrazione pubbliche la possibilità di destinare il 2% dei finanziamenti all’abbellimento artistico), l’architetto e designer milanese viene coinvolto nella restaurazione e abbellimento del rettorato di Palazzo Bo e nelle decorazioni di palazzo di piazza Capitaniato: con lui collaborano diversi artisti della scena artistica italiana, tra cui Massimo Campigli, Arturo Martini, Marcello Mascherini, Pino Casarini, Giovanni Dandolo, Giorgio Peri, Antonio Morato, Fulvio Pendini, Filippo De Pisis, Achille Funi, Ferruccio Ferrazzi e Gino Severini.

Riprese e montaggio di Elisa Speronello

Negli anni Quaranta, Gio Ponti prende le distanze dalle committenze pubbliche, ritrovando così la sua passione per le arti decorative, la pittura e la scenografia teatrale. Nel 1956 progetta una delle opere più conosciute al mondo, il grattacielo Pirelli a Milano: una figura senza vizi, come la descrive lo stesso architetto, in cui l’essenzialità sia all’esterno che all’interno dell’edificio è la vera protagonista. L’anno successivo, l’architetto pubblica Amate l’architettura, un libro che presenta al mondo il suo pensiero attraverso racconti, idee e appunti; nello stesso periodo nasce la sedia essenziale Leggera, un’icona del design moderno con la sua sezione triangolare delle gambe. 

L’Architettura come arte deve nutrire l’anima degli uomini e i loro sogni sul piano dell’incanto: immaginazione, magicità, fantasia, poesia da "Amate l'architettura" di Gio Ponti, 1957

Il “Pirellone” è la chiave che apre al mondo: negli anni Cinquanta e Sessanta Gio Ponti avvia un’intensa attività di progettazione dall’estero, iniziando così a sperimentare nuove forme che si distaccano dal neoclassicismo milanese o funzionale alla ricerca di una “forma” essenziale, espressiva e leggera. L’arte di Gio Ponti raggiunge diverse città tra cui Stoccolma, San Paolo, New York, Caracas, Teheran, lslamabad, Hong Kong, Singapore e Eindoven. Gli edifici progettati all’estero comprendono ambienti ministeriali, abitazioni e immobili commerciali.

La leggerezza è diventata il tratto distintivo di Gio Ponti: tra le sue ultime imponenti opere troviamo la concattedrale Grande Madre di Dio di Taranto (1967-1970), una struttura quasi immateriale, secondo le parole dell’architetto Luigi Moretti, e il Museum of modern art di Denver (1970-1971), in cui l’architetto gioca tra volumi statici, feritoie e immagini verticali in uno slancio verso il cielo. Gio Ponti muore il 16 settembre 1979, nella casa dall’architettura spontanea in via Dezza a Milano, da lui stesso progettata e in cui ha abitato per quasi trent’anni.

Gio Ponti concepiva l’artista in una prospettiva rinascimentale: libero da etichette, al di fuori dei canoni, capace di esprimere la propria creatività in vari contesti. Una visione del mondo differente, unica e preziosa in cui arte, architettura e design si fondono per appagare i bisogni dell’uomo e della vita moderna. 

Non è il cemento, non è il legno, non è la pietra, non è l’acciaio, non è il vetro l’elemento più resistente. Il materiale più resistente nell’edilizia è l’arte Gio Ponti

L'articolo è stato scritto per celebrare la grande retrospettiva, la prima in Francia, Tutto Ponti, Gio Ponti archi-designer, una mostra monografica che si è tenuta dal 19 ottobre 2018 al 10 febbraio 2019 nelle sale del Musée des Arts Décoratifs a Parigi. L’esposizione ha messo in esposizione i passi più importanti della carriera poliedrica di Gio Ponti, tra architettura, design industriale, editoria e produzione artigianale.

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