Il 16 ottobre, come ogni anno, è stata celebrata la Giornata mondiale dell’alimentazione, istituita per ricordare la data di fondazione della Fao e sensibilizzare ad agire affinché il cibo sia un diritto fondamentale per tutti. I proclami sono sempre molto elevati, ma i risultati sono deludenti: la fame nel mondo colpisce 822 milioni di persone e 149 milioni di bambini subiscono le conseguenze di un arresto di crescita a causa della malnutrizione. Numeri che mostrano come i progressi legati ad annunci come “Fame Zero entro il 2015” non siano stati realizzati. Negli ultimi tre anni il numero di persone denutrite è infatti aumentato, nonostante il cibo sia non solo un bisogno fondamentale ma anche un diritto internazionale, riconosciuto già nel 1948 dalla Dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU.
C’è poi una disperata contrapposizione tra la fascia di popolazione che soffre la fame e i circa 2 miliardi di persone che sono in eccesso di peso, sovrappeso o obesità. Una considerazione a cui si aggiungono i dati sullo spreco alimentare e sulle conseguenze a livello di impatto ambientale: ogni anno un terzo della produzione mondiale di cibo (circa 1,3 miliardi di tonnellate) viene sprecato, sia a causa della perdita di prodotti freschi e delle colture prima che raggiungano i mercati, sia perché finisce nella spazzatura dopo acquisti in eccesso. Il saldo del pianeta, a livello di risorse, è in già rosso e si ipotizza che nel 2050, per mantenere lo stesso stile di vita, avremo bisogno di risorse pari a tre volte quelle disponibili sulla Terra. Per questo motivo bisogna agire in modo deciso contro lo spreco alimentare, in un contesto in cui il cambiamento climatico ha un effetto devastante sulla sicurezza alimentare, sulla biodiversità, sul suolo, sulle risorse idriche, sugli ecosistemi, sulle produzioni agricole. Su questi temi finora l’homo sapiens evoluto è stato poco sapiens e probabilmente Il cervello non è sufficiente per nutrire e per salvaguardare il pianeta: forse ci vuole più cuore.
Riprese e montaggio di Barbara Paknazar