SCIENZA E RICERCA

Il cambiamento climatico farà crescere fame e migrazioni nel mondo

È stato presentato oggi il riassunto per i decisori politici del rapporto Climate Change and Land: an IPCC special report on climate change, desertification, land degradation, sustainable land management, food security, and greenhouse gas fluxes in terrestrial ecosystems

Più di 100 scienziati provenienti da 52 paesi hanno lavorato per circa tre anni per ricercare i legami tra agricoltura, degrado del territorio, desertificazione, sicurezza alimentare e cambiamenti climatici.

La sintesi della sintesi è che centinaia di milioni di persone abitanti nelle nazioni più povere del pianeta dovranno lottare per produrre cibo sufficiente a soddisfare i loro bisogni alimentari. L'azione combinata dell'aumento della domanda di alimenti e dei cambiamenti climatici sulle aree agricole e naturali innescherà migrazioni di massa e conflitti.


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l'umanità dovrà rivedere il modo di coltivare se intende concretamente frenare gli impatti dei cambiamenti climatici

Il documento conclude che l'umanità dovrà rivedere il modo di coltivare se intende concretamente frenare gli impatti dei cambiamenti climatici e produrre alimenti e fibre per una popolazione in continua crescita, dagli attuali 7,7 miliardi ai 10 miliardi nel 2050. 

Circa 4,9 miliardi ettari, pari a un terzo delle terre emerse del pianeta, sono oggi utilizzati per l'agricoltura. Ma la crescente domanda di cibo e di terra e altre risorse sta spingendo il pianeta al limite della sua capacità. Decenni di espansione dell'agricoltura e della silvicoltura intensiva hanno causato un diffuso degrado del suolo a livello globale. Alcune pratiche agricole, quali le lavorazioni meccaniche, l'uso eccessivo di fertilizzanti e pesticidi, specialmente nelle aree meno piovose e più secche del pianeta, hanno portato a una diffusa erosione e degradazione dei suoli. Centinaia di milioni di ettari sono divenuti praticamente improduttivi a causa di questo regime agricolo intensivo. In diverse aree agricole italiane, questo fenomeno è già evidente in migliaia e migliaia di ettari di zone agricole tradizionalmente fertili, dalla Lombardia alla Puglia, dalla Campania alla Sicilia. A questo trend è associato anche una perdita di biodiversità; simmetricamente, vaste aree di foreste e zone umide sono state e continuano a essere "bonificate" per lasciare spazio a coltivazioni di olio di palma, soia, allevamento di bestiame, cotone e bioenergia (eucalitto, pioppo, robinia).

Il rapporto - che sarà pubblicato a settembre prossimo nella sua versione integrale - sostiene che i cambiamenti climatici, se lasciati a se stessi, peggioreranno questo quadro, poiché le condizioni meteorologiche estreme, come siccità e alluvioni più intense, frequenti e estese, causeranno una maggiore erosione dei suoli, aggravando le minacce che gli agricoltori si trovano già a fronteggiare e mettendo a rischio la sicurezza alimentare del pianeta.

Ciò porterà milioni di persone a essere esposte a difficoltà di disporre del cibo, innescando migrazioni di massa e conflitti

Ciò - con molta probabilità - porterà milioni di persone, specialmente nelle nazioni più povere, ad esse esposte, a difficoltà di disporre del cibo necessario ai loro fabbisogni, innescando migrazioni di massa e conflitti.

Il rapporto, secondo uno stile nuovo dell'IPCC e delle istituzioni internazionali in ambito ONU, oltre che sottolineare la crisi dell'agricoltura, suggerisce soluzioni concrete per rendere l'agricoltura più sostenibile e ridurre gli sprechi alimentari.

Gli autori del rapporto invocano l'urgenza di agire per mitigare il livello attuale di emissione di gas serra da parte dell'agricoltura e della silvicoltura, che insieme totalizzano quasi un quarto delle emissioni globali di gas serra. L'abbattimento delle foreste (13 milioni di ettari l'anno, 250 milioni negli ultimi due decenni), il drenaggio delle torbiere e delle aree umide e la distruzione di prati e i pascoli  sono alla radice delle emissioni di enormi quantità di anidride carbonica (CO2); allo stesso modo la coltivazione per sommersione del riso e l'allevamento di bestiame producono grandi quantità di metano, un gas serra molto più potente della CO2, con un potere riscaldante 30 volte superiore. 

Distruggere gli ecosistemi naturali e seminaturali, incluse le aree agricole, e trasformarle in altre forme di uso del suolo (edifici, strade, capannoni, parcheggi) è grave non solo perché contribuisce all'effetto serra e ai cambiamenti climatici, ma anche perché rimuove una funzione chiave che gli ecosistemi garantiscono all'umanità, quella di assorbire le emissioni (e quindi sottrarle) dall'atmosfera e 'sequestrarle' nelle piante e nel suolo sotto forma di sostanza organica. Con questo degrado e 'consumo’ di suolo stiamo pericolosamente rinunciando a una opzione importante per raggiungere il livello net zero emissions entro il 2050, il target che lo Special Report 1.5 dell’IPCC pubblicato lo scorso anno indica ai decisori politici se vogliamo evitare aumenti pericolosi della temperatura globale. 


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Un grave problema che emerge dal rapporto è il degrado del suolo, in cui i terreni agricoli sono stati danneggiati da pascoli eccessivi, cattive pratiche di coltivazione e taglio degli alberi e della vegetazione in genere, rendendoli vulnerabili all'erosione causate da vento e precipitazioni. In alcune aree, i deserti si sono diffusi, aggravati da siccità più intense e prolungate. Non sono i singoli proprietari terrieri, grandi o piccoli che siano, a voler causare il degrado. In molti casi è la pressione a coltivare il cibo nel modo più economico possibile da parte del sistema agro-industriale dominante a rendere difficile per gli agricoltori concentrarsi sulle pratiche ecologiche e di sostenibilità.

Inoltre, ancora una volta, l'IPCC richiama all'urgenza di agire e procedere verso la decarbonizzazione e il cambio trasformazionale delle economie e delle società: all'umanità è rimasto pochissimo tempo per ridurre drasticamente le emissioni da tutte le fonti, compresi i trasporti, i rifiuti e la produzione di energia, per evitare pericolosi cambiamenti climatici.

Rendere l'agricoltura più efficiente e ridurre notevolmente la sua impronta ambientale è una soluzione chiave nella lotta al clima, sostengono gli autori dell'IPCC. 

D'altra parte è anche fondamentale che il mondo sia in grado di alimentare 10 miliardi di persone entro il 2050. Il nuovo rapporto IPCC afferma che sarebbe impossibile mantenere le temperature globali entro livelli di sicurezza più di 2°C di riscaldamento rispetto alla temperatura dell’era pre-industriale a meno d'una trasformazione nel modo in cui il mondo produce cibo e gestisce i suoli.

Secondo quanto dice il rapporto, confermando anche una analoga conclusione della sesta edizione del Global Earth Outlook dell'UNEP, è possibile coniugare sostenibilità ambientale dell'agricoltura e della selvicoltura e sicurezza alimentare, a condizione che siano avviate strategie e misure concrete, immediate, di lotta allo spreco alimentare (secondo la FAO circa un terzo del cibo prodotto viene sprecato e ciò causa l’8% delle emissioni globali di gas-serra) e di trasformazione delle diete. Due strade principale indicate dal rapporto IPCC sono quelle di adottare diete più sane e climate-friendly, riducendo il consumo di carne, e di ri-assegnare valore al cibo.

Gli scienziati dell’IPCC ritengono che siamo in grado e in tempo per capovolgere questa tendenza, adottando pratiche più sostenibili, ampiamente sperimentate in ogni regioni del globo dove sono stati avviati programmi di agricoltura rigenerativa e sostenibile, che possono contribuire a assorbire e sequestrare carbonio nel suolo e togliere carbonio dall'atmosfera.  

Le pratiche dell’agricoltura che portano a una riduzione delle emissioni e al sequestro di carbonio consistono in: 

1. una migliore gestione delle colture agrarie attraverso pratiche agronomiche sostenibili quali rotazione colturale, inerbimento, sovescio;

2. una gestione più accurata dei fertilizzanti e delle lavorazioni al suolo, dell’acqua d’irrigazione, delle risaie, dei sistemi agro-forestali, delle trasformazioni di uso del suolo;

3. la gestione e il miglioramento dei prati e dei pascoli (intervenendo sull’intensità del pascolo, sulla produttività, sui nutrienti, sulla bruciatura dei residui e sul controllo degli incendi in genere);

4. il recupero delle aree degradate;

5. la gestione zootecnica del bestiame (miglioramento delle pratiche di nutrizione, uso di agenti specifici e additivi nella dieta, gestione del letame). 

 Sull’IPCC

Il gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC) è l'organismo delle Nazioni Unite per la valutazione della scienza relativa ai cambiamenti climatici. È stato istituito dal Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEPe) e dall'Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) nel 1988 per fornire ai responsabili politici valutazioni scientifiche periodiche sui cambiamenti climatici, le sue implicazioni e i potenziali rischi futuri, nonché per proporre strategie di adattamento e mitigazione agli stessi cambiamenti climatici. Conta su 195 stati membri.

Le valutazioni dell'IPCC forniscono ai governi, a tutti i livelli, informazioni scientifiche che possono utilizzare per sviluppare politiche e misure climatiche. Le valutazioni dell'IPCC sono un contributo chiave ai negoziati internazionali per affrontare i cambiamenti climatici. Le relazioni dell'IPCC sono redatte e riviste in più fasi, garantendo così obiettività e trasparenza.

L'IPCC valuta, per la redazione di ogni rapporto, migliaia di articoli scientifici pubblicati ogni anno per informare i politici di ciò che sappiamo e non sappiamo sui rischi legati ai cambiamenti climatici. L'IPCC identifica dove c'è accordo nella comunità scientifica, dove ci sono differenze di opinione e dove sono necessarie ulteriori ricerche. L'IPCC non conduce ricerche proprie.

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