CULTURA

I giorni sospesi del cinema, voci per ricominciare

Sale chiuse, promozioni e proiezioni saltate, produzioni bloccate, futuro più che mai incerto. Abbiamo raccolto le voci e le testimonianze di alcuni professionisti del cinema. Abbiamo chiesto loro di condividere riflessioni, timori e speranze, visioni, tra progetti saltati e da rilanciare, per cercare di capire, insieme, cosa accadrà dopo l'emergenza coronavirus e, a quel punto, cosa si potrà e si dovrà fare. Francesco Bonsembiante di Jolefim spiega: "Noi produttori dobbiamo riflettere sulla tipologia di prodotto da realizzare d’ora innanzi, coscienti che la domanda aumenterà ma cambieranno le modalità di fruizione e e le tipologie dei prodotti richiesti dal pubblico". Marco Zuin si chiede: "Quanto durerà e se durerà molto, chi si potrà permettere di fare cinema? È complesso per tutti, soprattutto per chi, come me, fa un cinema di prossimità, ma possiamo pensare a questa situazione come a una fase di progettazione per mantenere vivi i rapporti e creare legami", Marco Segato ha iniziato a tenere un diario delle giornate, "dove annoto eventi e stati d'animo", Raffaella Rivi si interroga sul cambiamento: "La domanda, a cui ora non so rispondere, è come questa pandemia cambierà me e quello che mi circonda e di conseguenza quello che mi piacerebbe raccontare con le immagini". E le parole di Marina Zangirolami Mazzacurati si offrono come sintesi di un sentimento comune: "Il nostro settore, fermo per chissà quanto tempo ancora, ne potrebbe uscire più forte se diventa più consapevole delle fragilità umane, che sono la bellezza dei personaggi che raccontiamo. E forse ne possono uscire storie piene di umanità e di intelligenza, fuori dalle pieghe retoriche e troppo facili [...] Quello che unisce un Paese è la sua cultura. Per questo avremo sempre bisogno delle nostre storie, per riflettere, per sognare, per divertirci, per capire con l'ironia intelligente quello che ci circonda".

Nel decreto Cura Italia è previsto un fondo di 130 milioni di euro per cinema, audiovisivo e spettacolo dal vivo, settori duramente colpiti dall'emergenza coronavirus, Netflix e Italian film commissions hanno annunciato la creazione del fondo di sostegno, da un milione di euro, per la tv e il cinema nell’emergenza covid-19, la Regione Veneto ha lanciato un bando per per l’erogazione di contributi a favore della produzione cinematografica e audiovisiva. Nei giorni scorsi dall'Anica è arrivata la richiesta al Mibact di una deroga al Decreto Bonisoli per poter accedere ai benefici (tax credit, contributi automatici e selettivi) anche nel caso in cui un film non possa uscire nelle sale cinematografiche, e l'Afic, associazione dei festival italiani di cinema, ha fatto richiesta formale per l'istituzione di un tavolo di crisi per poter affrontare l'emergenza. 


Francesco Bonsembiante, produttore

Ora non possiamo più “andare al cinema”, ma abbiamo molte occasioni di “vedere i film”: in questi giorni nelle piattaforme e nei canali televisivi sono disponibili, anche gratuitamente, molti film e serie televisive, una grande occasione per lo spettatore, che ha così sia l’opportunità di riaccendere una passione che in qualche modo si stava assopendo sia di allargare l’orizzonte dei propri interessi. Non poter frequentare le sale cinematografiche, luogo di condivisione delle emozioni per eccellenza, non coincide quindi con la crisi dei film. Noi produttori dobbiamo riflettere sulla tipologia di prodotto da realizzare d’ora innanzi, coscienti che la domanda aumenterà ma cambieranno le modalità di fruizione e le tipologie dei prodotti richiesti dal pubblico. Noi di Jolefilm, che da sempre ci occupiamo del “racconto del reale”, abbiamo iniziato a rivedere i progetti che stavamo sviluppando in quanto molti di loro si sono improvvisamente dimostrati inadeguati e irrealistici, visto che lo sconvolgimento generale ha causato una diversa percezione della realtà. Sarà necessario cercare di raccontare i profondi cambiamenti della società, la rinascita di valori che sembravano perduti; la compattezza di un Paese che si è stretto intorno alla scienza e alle istituzioni, cosa che, fino a pochi giorni fa, sembrava impossibile; la percezione, mi auguro definitiva, che la libertà non è l’individualismo sfrenato, ma il rispetto della libertà dell’altro. Speriamo di raccontare il cambiamento, la fine di una corsa forsennata verso un falso benessere ripartendo da Pascal, che disse: “Tutta l’infelicità degli uomini deriva da una sola causa, dal non sapere starsene in pace, in una camera”, per arrivare a Goffredo Parise che, in un splendido articolo apparso sul Corriere della Sera il 30 giugno 1974, dal titolo Il rimedio è la povertà, scrisse tra l’altro: “Il nostro Paese si è abituato a credere di essere (non ad essere) troppo ricco... noi non consumiamo soltanto in modo ossessivo: noi ci comportiamo come degli affamati nevrotici che si gettano sul cibo (i consumi) in modo nauseante”.

Marco Segato, regista

In questi giorni sospesi, dove l'incertezza non ha ancora una data di scadenza, faccio davvero fatica a immaginare il futuro. I vari progetti su cui si lavorava improvvisamente hanno perso la loro urgenza, forse anche la loro necessità. Succede allora qualcosa di strano e ambivalente: nuove idee e nuove storie si fanno spazio e spingono per uscire. E così ho iniziato a tenere un diario delle giornate, dove annoto eventi e stati d'animo, dai più eclatanti ai più irrilevanti, con un grafico dell'umore a fianco di quello dell'andamento del contagio. Non so ancora se questi appunti diventeranno storie, e se ci sarà qualcuno che avrà voglia di ascoltarle, ma intanto è un antidoto per non subire passivamente questo momento difficile. Per chi si occupa di cinema la questione è doppia: da una parte il disagio lavorativo ed economico, purtroppo drammatico in un settore già difficoltà, e dall'altra l'incertezza sui comportamenti futuri, perché non è scontato che ci sarà ancora la possibilità, o la voglia di uscire di casa, parcheggiare, pagare un biglietto e godersi un film, uno spettacolo, un concerto. O almeno non come prima. Quello che più temo è la perdita di valore della sala, dell'aspetto sociale e di condivisione che così tanta parte ha nell'emozione di vedere un film sul grande schermo. È un processo che non è certo iniziato oggi ma a cui il virus ha imposto un'improvvisa e forse irreversibile accelerazione. Sono però convinto che lo shock culturale, sociale ed economico che stiamo vivendo non avrà solo ricadute negative ma produrrà anche nuove istanze artistiche, nuovi modi di fare film, di raccontare storie e sarà uno strumento indispensabile nell'aiutarci a interpretare il tempo denso e sospeso che viviamo.

Marina Zangirolami Mazzacurati, produttrice e formatrice

L’immagine di Papa Francesco solo nella piazza più bella del mondo completamente deserta è stato uno shock di riflessione potente, per tutti. La Chiesa sì che sa fare cinema memorabile! Il cinema che tocca i cuori, che non si dimentica. Quello che abbiamo sempre cercato di ricordare alle lezioni del Master in sceneggiatura Carlo Mazzacurati dell’Università di Padova. Il tempo che stiamo vivendo sta cambiando noi e molte cose, le storie ne dovranno tenere conto. Ma non usando questo dolore per farne dei film, non sarebbe onesto, e non sarebbero i film che vorremmo vedere. E poi abbiamo già il giornalismo che se ne sa occupare molto bene. Ma per lasciare, come in una specie di purificazione necessaria, spazio alle creatività italiane sincere. Questo tempo di dolore forte che ci ha messo a nudo da tutti i punti di vista, se vogliamo che sia utile e che lasci del buono, deve spazzare via dalle storie ogni retorica inutile. Il nostro settore, fermo per chissà quanto tempo ancora, ne potrebbe uscire più forte se diventa più consapevole delle fragilità umane, che sono la bellezza dei personaggi che raccontiamo. E forse ne possono uscire storie piene di umanità e di intelligenza, fuori dalle pieghe retoriche e troppo facili. Anche tutte le persone che si stanno formando un futuro, i giovani e i bambini che hanno interrotto la scuola, quelli arrivati all’ultimo anno del percorso senza nemmeno aver potuto salutare professori, maestre, compagni, la scuola stessa, come quella della Pimpa disegnata da Altan che rimane triste per la chiusura per le vacanze estive, avranno bisogno di energia per ripartire, dell'orgoglio per aver superato questo momento storico durissimo. Quello che unisce un Paese è la sua cultura. Per questo avremo sempre bisogno delle nostre storie, per riflettere, per sognare, per divertirci, per capire con l'ironia intelligente quello che ci circonda… Come sarebbero state più scarne e tristi le giornate di isolamento senza film e serie tv, senza programmi di cultura? Il nostro lavoro è una parte troppo importante della nazione. Ripartirà, per forza.

Quello che più temo è la perdita di valore della sala, dell'aspetto sociale e di condivisione che così tanta parte ha nell'emozione di vedere un film sul grande schermo Marco Segato

Marco Zuin, regista

Sono più le domande che le risposte. Penso sia più utile interrogarsi ora perché quando l'emergenza sarà finita ci sarà voglia di novità e sarà fondamentale scongiurare il rischio che i cambiamenti del comportamento legati al "consumo" di cinema non diventino strutturali. Allora arriveranno delle risposte. Cambierà il modo di raccontare? Il linguaggio dei social, di dirette e di video-selfie, influirà sullo spettatore? Cambieranno gli argomenti che vorremo vedere? Oggi quando guardo un film, che sia finzione o documentario, mi sembra di ritrovare quel senso di normalità che l’emergenza ci sta togliendo, come se avessi bisogno di cinema perché faccio fatica a credere che questa sia la realtà. A metà marzo dovevo partire per un lavoro in Africa: quando sarà possibile viaggiare di nuovo? Quanto durerà e se durerà molto, chi si potrà permettere di fare cinema? È complesso per tutti, soprattutto per chi, come me, fa un cinema di prossimità, ma possiamo pensare a questa situazione come a una fase di progettazione per mantenere vivi i rapporti e creare legami. Le storie che ho in cantiere, rileggendole in questi giorni, mi sembrano ancora più centrate per il post Covid19.

Raffaella Rivi, regista

In questo momento mi sento particolarmente contenta di aver studiato la Divina Commedia, se non altro per poter dire di sentirmi dentro una selva oscura e di aver smarrito la diritta via. Sto ancora cercando di decodificare cosa accade e non riesco ad avere un’idea chiara della complessità. Osservo, chiedo, registro, colleziono. Rispetto al mio quotidiano, che diventa un parametro per guardare il mondo, almeno nel mio caso, trovo uno spostamento di piani dell’attenzione, in particolar modo dai pieni ai vuoti, dal grande al piccolo, dal fuori al dentro. Quello che ora mi colpisce è lo stadio vuoto, il vicino che mette l’umido nel bidone del secco, la nonna seduta dietro la tenda. Mi chiedo se questa sia un’implosione, forzata, che mi porterà ad abbassare lo sguardo o se sarò in grado di mettere in relazione tutti questi dettagli con la vastità, oltre la siepe. Credo che il film di Salvatores in arrivo, Viaggio in Italia, ci darà uno spaccato più ampio di questa realtà. La domanda, a cui ora non so rispondere, è come questa pandemia cambierà me e quello che mi circonda e di conseguenza quello che mi piacerebbe raccontare con le immagini. Sicuramente, ciò che seguo con curiosità e, spero, una buona dose di senso critico, sono le piattaforme online che hanno dominato questo momento. Sono diventate uno strumento di lavoro, apprendimento, relazione e intrattenimento che ha già modificato diverse abitudini. In alcuni casi non possono sostituire la prossimità, in altri invece hanno aumentato l’efficienza e spostato “il senso del luogo”.

Mi chiedo se questa sia un’implosione, forzata, che mi porterà ad abbassare lo sguardo o se sarò in grado di mettere in relazione tutti questi dettagli con la vastità, oltre la siepe Raffaella Rivi

Davide Vizzini, montatore 

La quarantena sta facendo male al cinema? Dal punto di vista di un montatore la risposta oscilla tra gli opposti del sì e del no. Per me che, tappato in casa, penso, provo, mando porzioni di clip ai miei registi al fine di avere feedback, faccio lunghe telefonate in cui mi confronto, litigo amabilmente sulla scelta di un taglio, cerco esempi eccellenti a cui ispirarsi, mi sembra che il cinema non possa finire mai. Quindi penso ottimisticamente che, messo il naso fuori dalla porta, ricominceremo da dove ci eravamo fermati e quelli come me continueranno quello che già stavano facendo da casa. Saremo più attenti forse, con meno certezze per il domani, ma penso che in un'epoca in cui la gente è sempre avida di immagini e contenuti, difficilmente il cinema e le sue peculiarità linguistiche usciranno profondamente trasformati. Certo, come tutte le attività economiche di un Paese, questa industria (nei Paesi dove è industria, qui in Italia al massimo è artigianato) uscirà con le ossa rotte ma, come dicevo, i bisogni emotivi della società mondiale nutriranno il settore cinematografico. Se qualcuno ha paragonato questo momento a una guerra, è proprio nel dopoguerra che troveremo persone che hanno bisogno di qualcuno che descriva i loro sentimenti, le loro vicende, i loro sogni. Di sicuro questa crisi contribuirà ad accelerare delle trasformazioni che erano già in atto nel settore dell'audiovisivo. Per esempio: in futuro andremo meno al cinema per un po', contribuendo a siglare la fine dell'epoca delle sale cinematografiche. Ma parlare di fine forse è eccessivo perché la sala non smetterà mai di canalizzare l'aspetto collettivo dell'emozione che, mentre in una pagina scritta viene goduta in maniera profondamente interiore, davanti a uno schermo viene scambiata da corpo a corpo, con un sospiro, una risata condivisa, virus buono che ci fa desiderare di sentirci uniti nelle storie e nella Storia.

Chiara Andrich, autrice e montatrice

Queste poche righe le scrivo da Palermo dove sono dal 4 marzo. Ero venuta per programmare la quindicesima edizione del Sole Luna Doc Film Festival di cui sono direttore artistico e qui sono rimasta in quarantena. Lavoro a distanza sia al festival che con la mia società di produzione, la Ginko Film con base a Venezia. Il periodo in cui viviamo è come un tempo sospeso, dove ognuno teorizza sul passato e sul futuro. Non mi sento di dare giudizi in un momento ancora così confuso, ma siamo testimoni, oltre che di una emergenza sanitaria senza precedenti, della crisi economica e sociale che si abbatte su chi lavora nel mondo, non solo del cinema ma della cultura in generale. Quello che mi sento di esprimere è la necessità di ripensare, cosa che peraltro si dice da tempo ma che è venuto il momento di pianificare concretamente, ad una assistenza da parte di tutti quei lavoratori che operano nel campo dello spettacolo e della cultura con partite iva e contratti di collaborazione che sono privi di tutele, nei momenti di mancanza di lavoro, che vanno da una malattia alla maternità o come in questi tempi una pandemia. Per quanto riguarda i progetti non mancano le idee. Con Sole Luna Doc Film Festival stiamo lavorando online, offrendo una selezione di documentari dall'archivio del festival. Con la società Ginko Film invece non vediamo l'ora di riprendere la lavorazione dei documentari in produzione: Transumanze di Andrea Mura e Venezia Liquida di Giovanni Pellegrini. Entrambi i film affrontano questioni inerenti il rapporto uomo-natura, le contraddizioni della globalizzazione e le sfide per il futuro. Stiamo anche lavorando su un'idea da lanciare nelle prossime settimane che invece sarà una riflessione sul momento attuale che stiamo vivendo, ci difendiamo con la creatività!

Stefano Collizzolli, autore e distributore indipendente

Siamo in viaggio verso una terra che non conosciamo: il viaggio è lungo, e siamo per il momento concentrati sulle sue asprezze, ci chiediamo quanto durerà, stiamo nel giorno per giorno delle difficoltà. Abbiamo più difficoltà a focalizzare che stiamo andando in una terra molto lontana, e di cui non abbiamo mappe. Immagino due cose: da autore, penso che abbiamo scoperto la fragilità, e quindi diventerà importante la memoria. Stavo lavorando, con Daniele Gaglianone, a un archivio nazionale di testimonianze di ultraottantenni, con l’idea di farci raccontare Il mondo fino a ieri dagli ultimi testimoni di com’era la vita prima dei grandi mutamenti sociali e tecnologici che l’hanno completamente trasformata. Credo che il film avrà un sapore diverso (e che poche scelte di titolo siano state più profetiche). Da distributore indipendente, credo che abbiamo appreso la distanza e il suo feroce costo umano. Mi manca tremendamente una delle cose più belle del mio lavoro, l’incontro fisico con gli spettatori, accompagnando un film, l’incontro degli spettatori con i mondi raccontati dal documentario, il farsi attori degli spettatori quando il film innescava l’urgenza di un’attivazione di trasformazione sociale. Stiamo facendo tutto ciò a distanza, perché per fortuna avevamo attivato l’anno scorso una piattaforma di streaming e d’interazione di nome ZalABB. Credo che avremo un gran bisogno di tornare in luoghi collettivi, di stare assieme fisicamente in una sala e condividere con altri corpi un’esperienza. Ma ne avremo anche paura: l’online resterà importante, e dovremo imparare a renderlo più vivo, ad andare oltre lo schermo e le cuffie. E magari imparare che non sempre, non tutto, potrà essere gratuito.

Sarà necessario cercare di raccontare i profondi cambiamenti della società, la rinascita di valori che sembravano perduti; la compattezza di un Paese che si è stretto intorno alla scienza e alle istituzioni Francesco Bonsembiante

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