SOCIETÀ

Gorgona, Toscana: un’isola carcere ancora attiva

Qualche isola carcere è ancora attiva in Italia e nel mondo. Forse il caso più significativo nel Mediterraneo riguarda la più piccola e lontana delle isole dell’Arcipelago Toscano, Gorgona, 222 ettari appartenenti al comune di Livorno, più o meno di fronte alla città, a circa 35 chilometri dalla costa, sul mar Ligure. Si tratta di un territorio prevalentemente montuoso (massimo 255 metri sul livello del mare) e ricco di vegetazione tipica della macchia mediterranea: pineta e lecceta più in alto, esemplari di castagno e ontano nero, bassi resistenti cespugli in basso. Verso ponente la costa cade a picco nel mare, mentre a levante degrada formando tre valli terminanti con piccole deliziose cale, insenature e baie, come Cala Scirocco, dove si apre la Grotta del Bove marino, un tempo rifugio di foche monache.

Gorgona ha avuto innumerevoli denominazioni nel passato, fu abitata fin dal Neolitico, frequentata da Etruschi e Romani, poi sede di monaci eremiti, che fondarono i monasteri di Santa Maria e di San Gorgonio. Nei millenni successivi la presenza umana fu connessa alle scorribande di terra e di mare in Toscana e nel Tirreno, con conseguenti edificazioni di case, torri, chiese e fortificazioni. Citata da Plinio, Namaziano e Dante, risultò comunque sempre complicato l’uso agricolo. Agli inizi dell'Ottocento, i Citti di Lugliano (Lucca) popolarono l'isola, dando origine all'attuale paese dei pescatori. È probabilmente loro lontana discendente l’unica residente oggi stabilmente abitante sull’isola, dodici mesi l’anno, Luisa Citti, 93 anni splendidamente portati, spesso intervistata, arzilla e fedele, sola e tranquilla (con i suoi gatti).

Due secoli fa il granduca di Toscana inviò circa duecento contadini per coltivarla, che però fecero di necessità virtù, dedicandosi solo alla pesca. Ma, già dal 1869, inoltre, una parte dell'isola fu destinata a colonia penale all'aperto come succursale di quella di Pianosa. E isola carcere sempre è rimasta, da oltre centocinquanta anni, mai solo carcere, mai senza detenuti, un caso abbastanza raro. Il centro di Gorgona è ancora borgo di discendenti di antichi pescatori, come detto oggi quasi spopolato: una decina di famiglie, fra 60 e 130 abitanti “civili” nell’ultimo quindicennio, sono residenti ma la abitano ogni anno qualche settimana o raramente qualche mese (estivo), in vacanza. Del resto, non ci sono attività sull’isola diverse da quelle “rieducative” (articolo 27 della Costituzione italiana) seppur utili e funzionali. L’unico bar è gestito dal personale di polizia dell’amministrazione penitenziaria; come pure l’unico negozio che vende prodotti, quelli realizzati da gruppi di detenuti, per esempio pomodori e uova.

Non mancano problemi. La lontananza dalla terraferma comporta disagi per tutta la popolazione umana (permanente e soprattutto transitoria, detenuta e non), disservizi e scomodità sono quelli di tante isole italiane, i collegamenti marittimi non sempre sono possibili causa le avverse condizioni del mare. La gestione e la direzione hanno sede nella distante Livorno. Il personale di polizia penitenziaria è in numero talora insufficiente quando aumentano d’improvviso i detenuti (anche 100 alcuni mesi), non sempre è accompagnato dalla famiglia e andrebbe scelto più su base volontaria. Non tutti i condannati hanno sempre lavoro sufficiente e l’intera esperienza non sembra davvero sostenuta dall’amministrazione centrale, con progetti e fondi specifici.

Sul territorio di Gorgona persiste comunque in ampi spazi il carcere all’aperto, una Sezione distaccata della Casa Circondariale di Livorno (in base a un decreto dell’ottobre 2013), con la capienza di 88 detenuti (al 30.11.2017 erano 90 uomini, stranieri 46; al 30.1.2021 82 sempre solo uomini, ancora 46 stranieri), unica esperienza di colonia penale agricola ancora funzionante in Europa (vi si viene trasferiti come premio di buona condotta, con una condanna definitiva con residuo di pena non superiore a dieci anni). L’istituto è suddiviso in due sezioni prive di imponenti mura di recinzione, ognuna delle quali è praticamente autosufficiente. La prima composta da 19 stanze singole ospita detenuti con un programma di trattamento “più ampio”, nel senso che non è previsto una vigilanza di polizia fissa ma dinamica, dalle 7.00 alle 21.00, orario di chiusura delle stanze; ha un campo da bocce, il refettorio e una sorta palestra all’aperto. La seconda (Capanne) consta di 90 posti ed è dotata di campo sportivo, sala musica, sala hobby, biblioteca, palestra, aula scolastica, barbieria, oltre a cucina e refettorio.

Le diramazioni di costruzione più recente si trovano nei pressi del piccolo villaggio, mentre quelle ottocentesche sono ubicate sulle alture dell'isola. Il lavoro può essere considerato il perno attorno al quale gira tutta l'organizzazione del carcere. Le attività, tuttavia, non sono sempre presenti e ben coordinate: vanno bene l’agricoltura (due ettari di vitigni autoctoni, una cantina di vinificazione, ulivi, ortaggi e piante aromatiche, panificazione), l’edilizia (manutenzione, ristrutturazione, carpenteria), e la gestione dei rifiuti; rispetto alla zootecnia il macello è stato chiuso (molti animali trasferiti, il terzo residuo oggetto d uno studio relazione d’intesa con l’Università Bicocca di Milano); l’acquacoltura è durata solo per circa un decennio (2001-2012) e non può essere più praticata.

Sono stati ristrutturati degli edifici presenti a Cala Scirocco, nella parte sud orientale dell'isola ed è stato creato il Laboratorio di Biologia Marina e Maricoltura (LaBIMM), il quale oltre a svolgere attività di ricerca, è dotato di un'unità d'allevamento larvale e pre-ingrasso, che fornisce avannotti di specie pregiate (orate, spigole, ombrine), che saranno poi collocate sul mercato esterno per la vendita (oltre una piccola parte che viene naturalmente destinata al consumo interno). L'allevamento vero e proprio dei pesci avviene in gabbie off shore situate nella Cala Bellavista, e tutto ciò è accompagnato da corsi che forniscono ai detenuti la competenza necessaria per portare avanti il progetto. Alcuni detenuti sono impegnati nel gestire l'impianto e (ora) gli “impiantini” di produzione dell'energia elettrica, nelle attività di pesca sostenibile e, ormai, in lavori connessi al turismo didattico riguardante l'ambiente naturale dell'isola.

La giornata "tipo" di un detenuto “incarcerato” a Gorgona prevede la sveglia alle ore 6.30 e, dopo la colazione, alle 7.30 inizia il turno lavorativo fino a mezzogiorno per la pausa pranzo. Il turno pomeridiano è dalle 14.00 alle 16.00. La restante parte della giornata viene impiegata per l'attività scolastica oppure per il tempo libero (è presente una biblioteca, una palestra, un campo da calcetto). L'istituto di Gorgona è dunque definibile "un istituto a trattamento avanzato": il lavoro costituisce l'elemento cruciale e fondamentale del trattamento stesso, le acquisite capacità professionali garantiscono dignità, autosufficienza, autostima e aiuto economico ai familiari.

Per larga parte degli ultimi trenta anni è stato responsabile del carcere un funzionario del mMinistero della Giustizia, Carlo Alberto Mazzerbo (Catania, 1957), direttore della casa di reclusione di Gorgona dal 1989 al 2005 (quando la visitai da sottosegretario insieme all’allora Presidente dell’Ente Parco dell’Arcipelago Toscano), con incarichi e missioni ad hoc su Gorgona dal 2005 al 2013, gestore del trasferimento a Livorno dal 2013 al 2015, direttore del carcere di Livorno (e quindi anche di Gorgona) dal 2019 in avanti. Il libro scritto qualche anno fa da Mazzerbo insieme al giornalista Gregorio Catalano ha diffusamente raccontato l’esperienza (“Ne vale la pena: Gorgona, una storia di detenzione, lavoro e riscatto”, Nutrimenti Roma 2013). Dal 2016 è stato firmato fra Amministrazione Comunale di Livorno, Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano e direzione della Casa di Reclusione Gorgona Isola un Protocollo d'Intesa relativo alla fruizione turistico naturalistica dell’isola di Gorgona. Nel 2019 è stato riattivato un trasporto passeggeri di linea, bisettimanale.

Nel 2021 Gorgona resta un’isola carcere. Potete andare a visitare l’isola di Gorgona. Yacht e crociere non possono attraccare, passeggeri e turisti sì. Il sabato e il lunedì vi è un traghetto da Livorno, servizio pubblico che parte e torna anche con un solo pagante il biglietto. Quei due giorni e pure la domenica la società che ha vinto il bando pubblico (Toscana Trekking) organizza visite guidate per massimo cento persone al giorno, anche per insegnanti e studenti. Nel 2019 ne usufruirono quasi 20.000 persone, nel 2020 (nonostante la pandemia) oltre 12.000. Il fascino sta nell’isola, bella e varia, non nell’essere carcere. Le funzioni giudiziarie semplicemente obbligano ad avere una guida esperta e competente ogni gruppo di 25 turisti. E l’ecosistema merita.

In realtà, quasi tutte le isole dell’arcipelago toscano sono state utilizzate per isolamento detentivo, in tutto o in parte, prima o poi e non solo nel lontano passato: Elba (Napoleone), Capraia (in più epoche), Gorgona, Montecristo, Pianosa (in più epoche, anche romana). Il carcere di Porto Longone a Porto Azzurro (isola d’Elba) è pure ancora attivo, ma l’Elba è troppo grande per essere considerata un’isola-carcere in senso stretto con i criteri descritti nel volume, ha una superficie di circa 224 km, ovvero cento volte Gorgona. La casa di lavoro all'aperto di Capraia fu chiusa con un decreto del Ministero di Grazia e Giustizia del 27 ottobre 1986, mentre l'istituto penitenziario di Pianosa è stato definitivamente soppresso con la legge del 23 dicembre 1996 n. 652.

Gorgona “resiste” come isola carcere. Meriterebbe forse maggiore attenzione nazionale. Le isole non andavano e non vanno usate come carcere e andrebbe complessivamente ripensata ogni strutturazione detentiva. Le isole sono purtroppo state un lungo elettivo di “doppio isolamento” da millenni, in ogni mare del mondo, ovunque l’ecosistema aveva come confine acqua (anche in tanti ampi laghi e larghi fiumi). In linea di massima, tutte le isole andrebbero pensate ormai senza carceri e le vestigia degli istituti penitenziari del passato andrebbero usate come museo all’aperto sulla crudeltà umana. Tuttavia, Gorgona è un caso unico, forse quello che più va incontro a un’esigenza di giustizia operosa, rieducativa e riabilitativa che dovrebbe essere praticata in ogni luogo e momento della pena detentiva.

Gorgona avrebbe avuto grandi potenzialità. Possiamo e forse dobbiamo chiudere ogni isola carcere, comunque quel modo di trattare i condannati alla pena detentiva dovrebbe pur essere sperimentato (anche) da qualche altra parte! In Italia meno del tredici per cento della popolazione carceraria lavora. Il resto passa venti ore al giorno in cella, senza alcuna occupazione e senza effettiva osservanza del testo costituzionale. Discutere seriamente di Gorgona è un altro modo di affrontare collettivamente la questione dei carceri italiani, spesso incubatori di crimini, saliti a cronache pessime anche di recente, per comportamenti non confacenti delle pubbliche istituzioni o di chi lì le rappresenta, fenomeni ordinari e scandali straordinari di cui recentemente il presidente del consiglio Draghi e la ministra della giustizia Cartabia hanno detto di volersi occupare per ottenere finalmente che la detenzione sia l’inizio di un nuovo percorso di vita per chi “è stato” criminale.

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