Quando Emmanuel Macron, una decina di giorni fa, ha annunciato che il green pass sarebbe diventato obbligatorio in Francia per accedere ai luoghi della socialità e ai mezzi di trasporto, come ristoranti, bar, centri commerciali, treni e aerei, è stato registrato quasi un milione di richieste di vaccino in poche ore. Non sono mancate le proteste, ma la decisione ha aperto un dibattito che ha portato anche il nostro Paese in queste ore a rendere vincolante in molte circostanze l’uso della certificazione verde, con l’obiettivo di contenere la diffusione di Sars-CoV-2 – su cui ora incide in modo particolare la variante Delta – senza ricorrere a ulteriori restrizioni.
“Il contenuto del decreto appena approvato – ha sottolineato il ministro della Salute Roberto Speranza durante la conferenza stampa di ieri – si può racchiudere attorno a tre questioni fondamentali: la prima è una proroga dello stato d’emergenza al 31 dicembre di quest’anno; la seconda è una modifica dei parametri che consentono il cambio di colore alle regioni”. Il terzo ambito, per l’appunto, è l’estensione del green pass. “Fino a pochi mesi fa il parametro prevalente era Rt, ultimamente il parametro decisivo è stato riconosciuto nell’incidenza, quindi nel numero dei casi: il numero che abbiamo utilizzato è stato il numero dei casi ogni 100.000 abitanti alla settimana. La modifica sostanziale che ora facciamo, in accordo con le Regioni con cui ci siamo confrontati, è quella di considerare il parametro prevalente per il cambio di zona il tasso di ospedalizzazione”. Dunque, una regione in zona bianca passerà in zona gialla quando il tasso delle terapie intensive supererà il 10% e contemporaneamente il tasso di occupazione dell’area medica supererà il 15%. Diventerà arancione quando il tasso delle terapie intensive supererà il 20% e quello dell’area medica il 30% e si andrà invece in area rossa quando il tasso di occupazione delle terapie intensive supererà il 30% e quello dell’area medica il 40%. “La ragione di questo cambio – ha osservato il ministro – sta nel fatto che oggi il nostro Paese ha somministrato oltre 63 milioni di dosi: l’aspettativa quindi è che ci possa essere anche una maggiore circolazione virale, senza tuttavia una ricaduta sulle ospedalizzazioni forte come c’è stata nella fase precedente”.
Conferenza stampa del Presidente del Consiglio, Mario Draghi, con i ministri Roberto Speranza e Marta Cartabia
Il ministro si è soffermato infine sui provvedimenti adottati in merito al green pass, che già oltre 40 milioni di italiani – tanti hanno scaricato la certificazione verde, stando ai dati comunicati il 22 luglio – già da alcune settimane hanno cominciato a usare in contesti come i matrimoni o le Rsa.
“Con questo decreto – spiega Roberto Speranza – estendiamo in maniera piuttosto significativa l’utilizzo di questo strumento ad altre attività e servizi, tra questi i servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio per il consumo al tavolo al chiuso, gli spettacoli aperti al pubblico, gli eventi e le competizioni sportive, i musei, gli altri istituti e luoghi della cultura, le piscine, le palestre, i centri benessere, le fiere, le sagre, i convegni, i congressi, i centri termali, i parchi tematici e di divertimento, i centri culturali, i centri sociali e ricreativi, le attività di sale gioco, sale bingo, casinò e, ancora, le procedure concorsuali”. Conclude Speranza: “Vogliamo evitare che una crescita del contagio porti a nuove chiusure generalizzate e lo strumento fondamentale che abbiamo in questa stagione è proprio quello della vaccinazione. Quindi il messaggio di fondo che, come governo, vogliamo dare nel modo più fermo e più convinto è di vaccinarsi, perché questa è la strada principale, se vogliamo provare a metterci alle spalle la stagione così difficile che abbiamo vissuto”.
Se molti dunque sanno bene ormai cosa sia il green pass, certificazione che ora più che mai dovremo avere a portata di mano in molte occasioni, non tutti forse sono a conoscenza che il provvedimento si colloca in un ben preciso quadro di riferimento teorico: può essere considerato infatti un intervento di “nudging”, con cui si intende promuovere per l’appunto la vaccinazione.
L'esitazione vaccinale nel 2019 è stata identificata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità come una delle principali minacce alla salute globale, ed è diventata una questione ancora più importante durante la pandemia da Covid-19: nonostante i casi siano ormai più di 193 milioni a livello mondiale, con oltre quattro milioni di morti, e nonostante i periodi di lockdown e le numerose misure di contenimento del contagio adottate, non tutti sono ancora disposti a farsi vaccinare, pur essendo disponibili diversi vaccini clinicamente testati ed efficaci.
🔴 #Covid19 - La situazione in Italia al 22 luglio: https://t.co/8ciMmO9yfx pic.twitter.com/mT1KcU4abC
— Ministero della Salute (@MinisteroSalute) July 22, 2021
Proprio per migliorare l’adesione volontaria alla vaccinazione contro Covid-19, le proposte di cui in generale si è discusso e si continua a discutere sono numerose: si va dalla rimozione delle difficoltà pratiche alla vaccinazione, alla promozione dell’accettazione del vaccino attraverso il coinvolgimento della comunità, dall’individuazione di leader riconosciuti, alla messaggistica sulla salute pubblica, fino alla proposta di pagare con degli incentivi chi si vaccina.
La teoria dei nudge in particolare – termine tradotto con “pungolo” o “spinta gentile” – è stata sviluppata da Richard H. Thaler, premio Nobel per l’economia nel 2017, e Cass R. Sunstein e fa leva sui cosiddetti bias cognitivi, errori in cui il nostro cervello può incappare, quando ricorre a processi veloci e automatici di pensiero (detti euristiche di pensiero), messi in atto per prendere decisioni. Nel volume in cui presentano la loro teoria, Thaler e Sunstein definiscono il nudge come “ogni aspetto nell'architettura delle scelte che altera il comportamento delle persone in modo prevedibile senza proibire la scelta di altre opzioni e senza cambiare in maniera significativa i loro incentivi economici. Per contare come un mero pungolo, l'intervento dovrebbe essere facile e poco costoso da evitare. I pungoli non sono ordini. Mettere frutta al livello degli occhi conta come un nudge. Proibire il cibo spazzatura no”.
Dell’argomento (e del dibattito sul green pass nel nostro Paese) abbiamo parlato con Lorella Lotto, professoressa di psicologia generale all’università di Padova: “Nella teoria dei nudge, i bias cognitivi vengono dunque sfruttati per costruire contesti decisionali in cui le persone possano essere spinte a prendere le decisioni più salutari sia per se stesse che per la collettività intera. Nell’architettura della scelta, che ‘altera’ il comportamento delle persone in un modo prevedibile, non viene proibita la scelta di altre opzioni, dato che il nudge non è assolutamente inteso come una coercizione. Per essere considerato un nudge e non una strategia meramente persuasiva, l'intervento deve essere trasparente e il comportamento promosso facile da mettere in pratica. Perciò, affinché il green pass non si trasformi in un boomerang, il governo dovrebbe fare in modo di assicurare a tutti coloro che desiderano ottenere il certificato la possibilità di accedere alla vaccinazione con facilità ed entro un ragionevole arco di tempo”.
💉Il #vaccino ci protegge da infezioni, ricoveri ed decorsi fatali del virus
— Istituto Superiore di Sanità (@istsupsan) July 21, 2021
✅Lo dimostra il confronto tra vaccinati e non
📊Leggere correttamente i dati evita preoccupazioni e perdita di fiducia nella vaccinazione
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Aspetti, questi, su cui si soffermano altri ricercatori, evidenziando che se si vuole implementare il modello del green pass, serve rimuovere tutte le barriere alla vaccinazione per gli individui che vogliono ricevere il vaccino, compresi gli ostacoli relativi all'accesso, alla logistica e all'alfabetizzazione sanitaria, e serve garantire la diffusione di informazioni affidabili per aiutare le persone a fare una scelta informata e libera.
“Il green pass può essere considerato un nudge – sottolinea Lorella Lotto –, nel senso che effettivamente può facilitare la promozione della vaccinazione. Credo, tuttavia, che non funzioni per tutti. Esiste, infatti, una percentuale di persone contrarie, convinte delle loro opinioni, che continuano a rifiutare i vaccini contro Covid-19 con motivazioni molto diverse, che vanno dalla paura degli effetti avversi a una mancanza di fiducia nei confronti delle autorità in generale, al sospetto che esistano interessi economici a cui non vogliono piegarsi: ebbene, su tutte queste persone, dal mio punto di vista, il green pass non potrà essere efficace, non agirà come un incentivo, anzi probabilmente contribuirà ad alimentare ancora di più le convinzioni di queste persone”.
E conclude la docente: “Io credo che possa essere probabile e sensato pensare che il green pass abbia invece un effetto positivo su quanti non sono così radicati nelle loro convinzioni, ma hanno timori e continuano a essere incerti sul da farsi. È possibile che, non avendo una motivazione fortemente contraria e facendo una sorta di rapporto tra costi e benefici, queste persone attraverso il “pungolo” del green pass finiranno col ritenere che il vantaggio di essere vaccinati e tornare a fare una vita normale sia superiore ai timori e questo potrebbe spingerli ad optare per la vaccinazione. Il green pass potrebbe dunque essere uno strumento utile per stimolare una quota delle persone indecise, ma sicuramente non coloro che sono radicati nelle loro convinzioni”.