SCIENZA E RICERCA

Ipossia della barriera corallina: la prima mappatura a livello globale

La deossigenazione degli oceani minaccia gli ecosistemi marini a livello globale. "Tuttavia, le concentrazioni di ossigeno attuali e future e il verificarsi di eventi ipossici sulle barriere coralline rimangono poco esplorati". I ricercatori del californiano Scripps institution of Oceanography della UC San Diego hanno fornito una valutazione completa dei bassi livelli di ossigeno in 32 siti in tutto il mondo, individuando nel riscaldamento degli oceani la principale causa dell'ipossia. "Utilizzando i dati di sensori autonomi per esplorare la variabilità dell'ossigeno e l'esposizione all'ipossia in 32 siti rappresentativi, si dimostra che l'ipossia è già pervasiva su molte barriere coralline. L'84% delle barriere coralline ha sperimentato un'ipossia da debole a moderata e il 13% un'ipossia grave. In diversi scenari di cambiamento climatico, basati su quattro percorsi socioeconomici condivisi, emerge che il riscaldamento e la deossigenazione degli oceani previsti aumenteranno durata, intensità e gravità, con oltre il 94% e il 31% delle barriere coralline che sperimenteranno condizioni da debole a moderata e grave ipossia, rispettivamente, entro il 2100. Questa prevista perdita di ossigeno potrebbe avere conseguenze negative per i taxa della barriera corallina".

Increasing hypoxia on global coral reefs under ocean warming, pubblicato il 16 marzo scorso sulla rivista Nature, è il primo studio a documentare le condizioni di ossigeno sugli ecosistemi della barriera corallina a questa scala. Si tratta di una mappatura della perdita di ossigeno sulle barriere coralline di tutto il mondo, principalmente a causa del riscaldamento degli oceani. La ricerca è stata finanziata dalla National Science Foundation e ha coinvolto 22 autori in rappresentanza di 14 diverse organizzazioni di ricerca e università tra cui UC San Diego, Università di Porto Rico a Mayagüez; NOAA Pacific Islands Fisheries Science Center, Università nazionale dell'oceano di Taiwan, Università della Georgia meridionale; Università del Montana, Istituto di ricerca tropicale Smithsonian, Università Nazionale Sun Yat-sen, Istituto di scienza e tecnologia di Okinawa, Associazione Educazione al Mare, Istituto di ricerca sull'acquario della baia di Monterey, Università nazionale di Taiwan e l'US Geological Survey.

Ne abbiamo parlato con Marco Fusi, Marine Ecosystem Scientist al JNCC (Joint Nature Conservation Committee), ente governativo per la conservazione e protezione delle zone marine del Regno Unito e dei suoi territori d’oltremare, e ricercatore associato alla Napier Edinburgh University, dove collabora a progetti che coinvolgono l’ecofisiologia di sistemi marini costieri. "L'ipossia della barriera corallina è definita come soglia al di sotto della quale l'ambiente può subire stress per la bassa concentrazione dell'ossigeno. Solitamente questa va da 2mg/L a 4 mg/L, dipende dalle condizioni ambientali. Questo studio enorme raccoglie dati da tantissimi coral reef e mostra la concentrazione dell'ossigeno in questi siti. I ricercatori discutono il dato in funzione di quanto l'ossigeno vada sotto questa soglia, questione che si ritiene dannosa per gli animali e le comunità che vivono nella barriera corallina. L'ipossia è una sorta di valore proposto dagli scienziati che hanno individuato questa soglia: è una convenzione che risulta molto utile per comprendere le condizioni di un ambiente come il coral reef che è costituito da coralli, i quali, avendo alghe simbionti, generano ossigeno durante il giorno e lo respirano durante la notte. Passano cioè da situazioni di grande ricchezza di ossigeno - pensiamo a quello che accade anche ad altri ecosistemi, come le seagrasses della laguna di Venezia, con una fotosintesi talmente intensa da mostrare addirittura bolle di ossigeno che si staccano dalle foglie per raggiungere la superficie - alla respirazione notturna dell'organismo fotosintetico, che di notte consuma l'ossigeno per mantenere il livello cellulare attivo. Nei coralli, seagrasses, mangrovie l'ossigeno oscilla continuamente". E Fusi continua: "Come creature terresti, noi ci siamo adattati a vivere in un ambiente in cui l'ossigeno è sempre al 21 percento di pressione parziale, costante. Si potrebbe pensare che questo avvenga anche in acqua e che gli animali acquatici stiano bene solo con molto ossigeno a disposizione. Tuttavia ci sono moltissimi animali, specie di crostacei, insetti acquatici o vermi marini, che sono completamente indipendenti dall'ossigeno. Per loro, dunque, 2 mg/L sono del tutto normali e, anzi, in quelle condizioni restano performanti. La complessità e la risposta della barriera corallina non è uniforme e le soglie di ossigeno degli animali non sono uniche".

"Questo paper ha il merito di evidenziare una situazione pervasiva, in cui i livelli di ossigeno sono in media molto bassi. Un decremento di ossigeno che si lega spesso e volentieri a un incremento della temperatura, che porta a una richiesta metabolica degli animali, incluso il corallo, più alta, e l'abbassamento dell'ossigeno rende impossibile soddisfare la richiesta metabolica. Per alcuni animali questo diventa un problema: pensiamo ai pesci che vivono nei coralli, per esempio alle larve dei pesci pagliaccio. Altro grande merito dello studio è che punta l'attenzione sulla variabile ossigeno: si conosce il problema dell'acidificazione, meno quello dell'ossigeno nell'acqua". Viene così colmato un vuoto, puntando l'attenzione su un problema reale e ancora poco esplorato, ovvero "la deossigenazione, spesso accompagnata dall'impatto antropico che sta a monte: il rilascio dei nutrienti aumenta un certo tipo di metabolismi, come quelli algali, che vanno a competere con i coralli per l'ossigeno".

Esaminati i punti forza, viene da chiedersi se questo paper mostri qualche debolezza e limite. "Il corallo si è evoluto in una condizione di estrema fluttuazione dell'ossigeno: ai Caraibi tra il giorno e la notte vi è una enorme oscillazione, eppure il corallo sopravvive. Il paper ci parla di bassi livelli di ossigeno, in generale, ma non tiene in considerazione la fluttuazione dell'ossigeno nelle 24 ore, che è invece normale: io mi aspetto che una barriera corallina in salute generi una condizione di ossigeno alta durante il giorno e bassa durante la notte. I coralli si sono evoluti ben prima di noi, questa fluttuazione c'è sempre stata e gli animali che ci vivono si sono adattati, sono attrezzati".

Uno studio del 2021 si concentra proprio sull’importanza di considerare le fluttuazioni di variabili ambientali per determinare la reale vulnerabilità delle specie marine ai cambiamenti climatici e ad altri stress antropici: Fluctuating selection and global change: a synthesis and review on disentangling the roles of climate amplitude, predictability and novelty

Dunque, quello pubblicato da Nature "è un ottimo e imponente studio, che riflette sulle condizioni che determinano una ipossia che può nuocere, e punta l'attenzione su una variabile poco studiata dell'oceano e, soprattutto, delle zone costiere dove si concentra la maggior parte di biodiversità marina e di organismi fotosintetici che determinano le fluttuazioni di ossigeno. Ma ha anche limiti, perché i ricercatori riportano soglie di ossigeno dannoso per i coralli presentando dati da esperimenti con misurazioni fatte su tre giorni di esposizione all'ipossia, che non è una fluttuazione rilevante per il corallo" e può quindi falsare la risposta dell’animale.

Si legge nello studio: Importantly, exposure to nighttime (<12 h) low oxygen conditions alone with reoxygenation during daytime has been shown to cause both sublethal and lethal impacts in tropical corals under a range of oxygen concentrations (Supplementary Table 8). Acropora yongei exposed to nightly mild to moderate hypoxia of 2–4 mg O2 l−1 (61–122 µmol O2 kg−1) experienced partial to full mortality and substantial tissue loss after just 3 days1

"Per essere eccellente dovrebbe forse presentare un paragrafo conclusivo in cui specificare che queste misurazioni non sono state fatte in condizioni rilevanti per l'organismo e, soprattutto, dovrebbe cercare di capire a livello spaziale qual è la vera scala di cambiamento, sia dal punto di vista delle temperature che dell'impatto dei fattori che vanno a influire sull'ossigeno, la maggior parte legati all'attività antropica. È la persistenza dello stato di ipossia che deve preoccupare e non la naturale esposizione notturna a bassi tenori di ossigeno".

In conclusione, possiamo davvero prevedere scenari futuri? "I ricercatori si spingono fino al 2100 ma si basano su modelli che prevedono un aumento lineare della temperatura, perché si concentrano sull'aumento lineare della CO2. Tuttavia, il riscaldamento non è omogeneo in tutte le zone del globo".

A tal proposito, uno studio di qualche anno fa mostra come il global warming possa determinare sia zone di riscaldamento che di ‘raffreddamento’, supportando la non-linearità dei processi dei cambiamento climatici: Three decades of high-resolution coastal sea surface temperatures reveal more than warming

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