SOCIETÀ

Ma l’ecologia è una scienza come le altre? O un’arte?

La questione della classificazione delle scienze è un po’ come la questione della classificazione delle specie umane precedenti o coeve rispetto a noi sapiens, dipende dalle definizioni e ognuno parte dalla sua competenza (per titolo o studio) e poi confronta le altre. Sono più certi gli antenati comuni che le esatte date di nascita. Sono più certi i paradigmi di ciascuna che gli esatti confini con le altre. Tutte, comunque, sono innanzitutto elaborazioni del nostro cervello ciarlante simboli. Si tratta di intendersi, di potersi e volersi intendere. Non tutti considerano l’ecologia una scienza, alcuni sì, altri una branca di altre scienze (perlopiù della biologia), altri no. Sono abbastanza note le origini greche del concetto che coniuga contesto residenziale e studio applicato, l’inserimento del termine nel dibattito scientifico europeo della seconda metà dell’Ottocento per sottolineare le interrelazioni dei fattori biotici fra loro e con i fattori abiotici, il cruciale abbinamento con la storia e la geografia individuato nel connesso indispensabile termine di ecosistema. Si sono diffusi studi e laboratori (spesso all’aria aperta), manuali e corsi. In quasi due secoli l’ecologia è certo divenuta un complesso organico di conoscenze, una disciplina scientifica in continua evoluzione, autonomamente ricercate studiate confrontate, abbastanza specifiche rispetto a fisica, chimica, biologia, genetica, cosmologia, astronomia, matematica, geometria e così via.

La considerazione dell’ecologia come scienza è stata resa difficile negli ultimi due quarti di secolo dalla stessa dinamica che ha indotto tanti ricercatori e studiosi di tutto il mondo ad occuparsene, i pericolosi cambiamenti e i dannosi inquinamenti degli ecosistemi umani. Quasi ogni cittadino del pianeta è stato costretto ad accorgersi di dover diventare lui stesso “ecologista”, almeno un poco: capire meglio cosa stava accadendo nel proprio corpo o nel proprio ambiente, per reagire o adattarsi. In molti paesi sono sorti movimenti “ecologisti” per comprendere quei cambiamenti e difendersi da quegli inquinamenti. I singoli sapiens e l’intera opinione pubblica hanno scoperto i problemi ambientali globali e locali, dotandosi progressivamente di una certa coscienza ecologica. Agenzie e istituzioni internazionali e nazionali hanno optato per coerenti scelte ecologiche. Sono cresciuti anche miti naturalistici e false credenze, essi stessi poco scientifici, in parallelo a processi politici e culturali che hanno attraversato molte comunità umane, anche su altre questioni. Si è rischiato e si rischia una divaricazione fra scienza e coscienza.

La questione dei cambiamenti climatici antropici globali consente e impone di considerare la scienza dell’ecologia e la coscienza ecologica come urgenti conoscenze e opzioni per garantire la sopravvivenza sul pianeta Terra di alcuni ecosistemi, di moltissimi individui, di gran parte delle specie vegetali e animali e della stessa unica specie umana finora restata. Appare significativo che nell’enciclica papale Laudato sì del maggio 2015 si partiva dai cambiamenti climatici e si arrivava all’ecologia. Il capitolo quarto era appunto intitolato “Un’ecologia integrale” e affrontava con rigore scientifico e religiosità moderna la necessità per tutti gli umani, per tutti i sapiens, credenti e non credenti, di tornare all’armonia con la Terra tenendo conto del contesto post-industriale in cui ci troviamo. “Quando parliamo di ‘ambiente’ facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati…Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale”. Ecologia chiarisce che l’uomo è costitutivamente “essere nel mondo”, ne deriva che il suo sviluppo dipende anche dal corretto rapporto che egli instaura con la natura, alla quale inerisce un ordine intrinseco, fondato sulla struttura propria delle diverse categorie di esseri che la compongono e sulla mutua connessione esistente tra loro. Integrale serve a coniugare relazioni biologiche e relazioni umane, biodiversità e sostenibilità, crisi ambientale e crisi sociale, lotta agli inquinamenti e lotta alle diseguaglianze.

Il rapporto delle scienze con l’arte ha avuto da poco uno splendido conviviale compendio nel saggio di Pietro Greco, Homo. Arte e scienza, Di Pietro Roma 2020, pag. 404 euro 18. Il rapporto delle scienze con il diritto vigente non è stato, invece, molto studiato in termini comparativi e scientifici. Sarebbe opportuno svolgere almeno qualche esame di laboratorio. Nella Costituzione italiana il termine “ecologia” non c’è e forse non risulta grave. Mancano altre scienze e, del resto, pure il termine “ambiente” era assente dal testo entrato in vigore nel 1948. Via via è divenuto unanime, tuttavia, il riconoscimento che l’ambiente costituiva e costituisce nel nostro ordinamento un valore costituzionale. Varie successive sentenze della Corte Costituzionale (omogenee nella qualificazione dell’ambiente come valore costituzionale, non sempre su tutto il resto), attraverso il combinato disposto di vari articoli (2, 3, 9, 32, 41, 42), hanno riconosciuto il bene ambientale come valore primario, assoluto e unitario, non suscettibile di essere subordinato ad altri interessi, un bene fondamentale garantito e protetto, da salvaguardare nella sua interezza. La giurisprudenza diffusa ha poi trovato spesso la strada per garantire il diritto dell’individuo all’ambiente salubre e per affermare il dovere connesso dello Stato alla tutela del patrimonio ambientale. Infine, da circa vent’anni è entrata in Costituzione anche la parola. Nel titolo quinto della parte seconda, riorganizzando la ripartizione di competenze fra stato e regioni, si assegna alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”. Sottolineo l’importanza del secondo termine: quale è la differenza precisa scientifica e giuridica fra “ambiente” ed ecosistema? Ambiente non può certo essere qualcosa che prescinde dalla presenza umana (come nemmeno la stessa “natura”) e viene ormai spesso utilizzato come sinonimo di contesto. La nozione cruciale è quella di ecosistema, l’insieme dei fattori biotici e abiotici, riferito sia all’intero pianeta che a singoli specifici “ecosistemi” (o quelle nozioni che caratterizzano territori in base a determinati parametri fisico-biologici, come i “biomi” per il clima). Va comunque evidenziata la parzialità di una formula collocata solo nella ripartizione delle materie e delle competenze. Ed è noto il complicato dibattito dottrinario interpretativo su quei concetti. Comunque, il vuoto formale è stato colmato. 

L’ecologia è una scienza storica, la scienza della casa e dell’abitare (del trasferirsi): riguarda gli scambi di materia ed energia, gli organismi e le condizioni dell’esistenza, la pluralità degli e negli ecosistemi. L’ecologia è entrata in Costituzione tramite il lemma “ecosistema”, questa è la nozione scientificamente discriminante. Da quasi 4 miliardi di anni il vivente si è adattato al (precedente e coevo) non-vivente e tutta la vita si è interrelata a livello evolutivo, nella Biosfera, l’ecosistema di tutte le specie viventi, la comunità di tutti i fattori biotici e abiotici della terra, un’unica grande organizzata biocenosi in un unico grande biotopo, che ha attraversato varie ere e periodi geologici, da precambriana e archeano a ceneozoica e pleistocene/olocene. Poi, gli ecosistemi cominciano ad essere definiti dalle attività umane, prima ecosistemi agricoli, poi urbani, poi industriali. Non va bene dire che non sono più naturali. La Biosfera resta, in ogni ecosistema continuano ad interagire fattori abiotici e altri fattori biotici. I processi naturali modificano gli ecosistemi continuamente, talvolta in modo sistematico e/o ciclico, connesso all’evoluzione dell’organizzazione delle varie comunità di specie. 

Gli ecosistemi vivono attraverso una successione ecologica, come complesso processo di relazioni e di cicli vitali. Cresce la successione indotta dall’uomo, il tentativo umano di conoscere e gestire tutti i meccanismi micro e macroevolutivi, tutti i cicli dei fattori abiotici (acqua, azoto, fosforo, ossigeno, ecc.), tutti i meccanismi di evoluzione e adattamento per usarli, imitarli o cambiarli. La presenza umana diventa via via più invasiva, introduce necessitati co-adattamenti e co-evoluzioni, provoca mutazioni e selezioni, ordina nuove gerarchie e nuove migrazioni. Ormai ogni ecosistema è divenuto umano, condizionato dall’esistenza della specie Homo sapiens. Dunque, vieppiù l’ecologia deve nutrirsi di antropologia e di altre scienze sociali. E, poi, deve guardare oltre l’orizzonte: come ribadito sapientemente da Telmo Pievani nel recente Finitudine. Un romanzo filosofico su fragilità e libertà (Raffaello Cortina, Milano 2020, pag. 280, euro 16) la nostra specie umana è un evento particolare e imprevedibile dentro una biosfera particolare e imprevedibile.

L’evoluzione delle altre scienze nell’ultimo secolo, in particolare le conoscenze della fisica impongono un’ulteriore scatto all’ecologia. Gli ecosistemi sono nozione terrestre. Eppure, questo minuscolo pianeta nano dipende in tutto e per tutto dal Sole, stella madre di un piccolo sistema, sperduto tra i duecento miliardi di stelle della mostra piccola galassia (una delle innumerevoli, fra 100 e 1000 miliardi) dell’universo, sole giunto ormai a metà di sua vita e destinato, quindi, a crescere di brillare ancora solo per qualche miliardo di anni e a rendere a un certo punto (già tra appena circa un miliardo di anni) la terra troppo calda per specie come la nostra (se ancora noi sapiens esisteremo quel dì). I paradigmi terreni dell’ecologia devono proprio tenerne conto. Il concetto di ecosistema è fondamentale per i fattori biotici come li abbiamo sperimentati noi in questo fortuito ambiente cosmico all’inizio sede esclusiva di fattori abiotici, risulta meno esplicativo per i fattori abiotici estranei all’atmosfera terrestre, per gli spazi e i tempi del sistema solare, della nostra galassia, del resto, per eventuali altre forme di vita e di interrelazione fra tali forme e le materie. Là fuori la norma è il vuoto. E però, noi qui siamo (a Rodi), qui noi dobbiamo saltare. Nel vuoto. 

Qui la scienza dell’ecologia ci serve, concepiamola come arte di migliore sapiente sopravvivenza. Il luogo terrestre è il contesto ecologico dove si giocano le possibilità di vita e di capacità riproduttiva del singolo (unico e irripetibile) individuo, a prescindere dal suo ruolo nella variazione genetica. Come i fattori abiotici e i corpi di altre specie, in tanto quanto materie e corpi, gli individui biologici sono situati in uno spazio fisico delle placche della tettonica del pianeta e occupano un posto localizzato (in superficie e volume), anche in relazione ad altri corpi e materie. Habitat ed ecosistemi esistono per ogni individuo e gruppo di ogni specie, diversi per biodiversità e anche per ampiezza e distanze. I movimenti avvengono in ogni contesto, le migrazioni originarie sono spostamenti dal luogo di replicazione o nascita (e cura parentale per alcune specie), anche senza che le distanze abbiano senso o senza aver maturato (per alcune specie) il senso dell’ampiezza delle distanze. Il processo evolutivo ha continuamente generato nuove specie. La più o meno lunga sopravvivenza della nostra dipende anche dai comportamenti collettivi, degli individui e delle comunità. Prima o poi finiremo, si sa. Esattamente come tutte le altre specie terrestri. Se prima (anche presto rispetto all’inerzia verso i cambiamenti climatici antropici globali) o poi, se pochi (anche molto pochi rispetto ad aggiornate analisi demografiche e a strumenti di sterminio di massa già esistenti) o tanti, se depressi o vitali è tutto da scoprire.

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