SCIENZA E RICERCA

L'editoriale: Dottorandi e assegnisti: un mondo di rinunce e incertezze

Alcune settimane fa ho parlato di una petizione, promossa da Ugo Amaldi, affinché vengano finanziate molte più risorse per la ricerca scientifica, in particolare quella di base. 

Le firme raccolte sono ancora meno di 20.000: si tratta o di indifferenza (ma non lo credo) o di disillusione perché si ritiene inutile fare appelli di questo tipo perché rimarrebbero inascoltati.

A favore di questa seconda ipotesi arrivano alcuni dati presentati in Senato nella seconda metà di ottobre dall’associazione dottorandi e dei dottori di ricerca italiani. È il punto della situazione dei giovani ricercatori sulla carriera, soprattutto quella iniziale. Ebbene, i dati che emergono sono impressionanti: dal 27 al 33% dei ricercatori ha avuto un periodo di disoccupazione molto lungo dopo la fine dell’assegno di ricerca. La metà di questi è stata disoccupata per più di sei mesi e senza un paracadute sufficiente da parte del welfare.

Ben il 67% ha dichiarato che avrebbe voluto formare una famiglia e fare un figlio ma ha deciso di posticipare per mancanza di solidità economica. Uno degli elementi più gravi è quando nell’indagine si calcolano le possibilità di carriera: le posizioni disponibili come ricercatore di tipo B sono state 860 in media all’anno negli ultimi 4 anni. Gli assegnisti sono stati 13.600, con una possibilità di sbocco fino al tipo B del 6,3%: bassissima.

Per sintetizzare: dall’indagine emergono parole come rinunce, povertà, incertezza e promesse non mantenute. A fronte di tutto ciò le cifre, da prendere dal recovery fund, a favore dell’università e della ricerca sono totalmente insufficienti.

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