SCIENZA E RICERCA
Cambiamento climatico: metodi e strategie per uno sviluppo più sostenibile

I cambiamenti climatici stanno incrementando di anno in anno il rischio di fenomeni meteorologici estremi, che mettono a repentaglio la vita dell’uomo. Un articolo pubblicato recentemente su Nature Communication illustra delle strategie da mettere in campo per evitare di sorprendersi di fronte a questi eventi naturali, che potrebbero diventare più frequenti con il passare del tempo, e per essere pronti e preparati affinché danneggino il meno possibile la collettività.
Ondate di caldo senza precedenti, gravi alluvioni, cicloni fuori stagione dalla potenza fuori dal comune stanno diventando sempre più probabili, ma le società e i governi fanno ancora fatica a contrastarli efficacemente: nel 2017 gli uragani Irma e Maria hanno danneggiato il 95% degli edifici, e provocato più di 4.600 morti nella città di Porto Rico, per via della carenza dei servizi pubblici essenziali e delle strutture sanitarie; nel 2020 la scarsità di piogge nel Corno d’Africa ha causato una diminuzione delle risorse idriche e ha favorito il sorgere di conflitti, rendendo più di 4,35 milioni di persone bisognose di supporto umanitario.
Neanche i paesi europei e l’Italia sono estranei a questi eventi estremi: la grave alluvione del maggio 2023 in Emilia Romagna, per esempio, ha provocato più di 50.000 sfollati e danni per oltre 10 miliardi di euro; nel 2024, invece, gli effetti pericolosi della siccità prolungata nella penisola sono aumentati del 54%.
Tuttavia, nonostante il loro significativo impatto, contrastare efficacemente questi fenomeni naturali risulta ancora molto complesso: spesso ci si sorprende e si afferma di non aver potuto prevedere eventi tanto intensi perché mai registrati prima. Eppure, i progressi scientifici possono contribuire in modo incisivo a esaminarli e prevederli -adeguatamente, così da essere in grado di gestirli più facilmente quando si presentano.
Esistono diversi metodi per analizzare gli eventi estremi. Il primo è di tipo statistico: in base all’osservazione di dati reali e adeguatamente registrati, si può calcolare la probabilità che un fenomeno del genere si verifichi. I punti di forza di questo approccio sono molteplici: in primis, è efficace perché analizza gli eventi riferendosi a dati oggettivi; inoltre, è stato ampiamente testato ed utilizzato in diversi contesti. Tuttavia, il metodo statistico ha anche dei limiti non trascurabili: in particolare, per esempio, se i dati osservati si riferiscono a un periodo breve, c’è il rischio di sbagliare, ritenendo improbabile un evento estremo che, però, diventerebbe possibile se si considerassero dati riferiti a periodi più estesi. Inoltre, il calcolo probabilistico può essere suscettibile di errori di misurazione, rivelandosi a volte impreciso e inesatto. Infine, poiché l’approccio statistico si basa sull’osservazione di avvenimenti passati, potrebbe non tenere conto del cambiamento climatico, che è un fattore che influenza in modo determinante la distribuzione e la probabilità di eventi estremi.
Un altro metodo che può contribuire all’analisi di questi fenomeni è l’osservazione di fonti storiche – registrazioni, tradizione orale e dati proxi, ovvero indicatori indiretti che possono aiutare a ricostruire il clima del passato. Considerando lunghi periodi di tempo, infatti, si può fare maggiore chiarezza e comprendere meglio anche eventi più recenti, alla luce dell’impatto che fenomeni simili hanno avuto in passato. Anche la tradizione orale è di fondamentale importanza: oltre a riportare avvenimenti che possono non comparire nelle registrazioni, consente anche di comprendere come in passato si fronteggiavano questi fenomeni, apprendendo importanti strategie di resilienza.
Un ulteriore approccio che contribuisce all’analisi e alla comprensione degli eventi estremi è costituito dalle storyline: si tratta di immaginare cosa accadrebbe se si verificasse un dato fenomeno, basandosi su fatti già avvenuti in passato. Questo metodo si utilizza soprattutto per comprendere i rischi dovuti a inondazioni, tempeste o siccità, ed è molto efficace perché consente una comunicazione adeguata e d’impatto, incrementando la consapevolezza dei rischi dovuti ad avvenimenti così catastrofici. Ci sono poi i modelli meteorologici che non si basano sulla probabilità statistica che un evento estremo si verifichi, ma sui principi della fisica, che indagano le interazioni tra atmosfera, oceano, terra e ghiaccio: apportando piccole variazioni a questi modelli, gli studiosi cercano di comprendere e prevedere come potrebbe cambiare il clima in futuro.
Nonostante i progressi scientifici nell’analisi e nella previsione di questi eventi, non è ancora possibile essere certi del momento in cui si verificheranno e dell’impatto che potrebbero avere. Perciò, è necessario apprendere e adottare strategie che pongano al centro la resilienza, e che forniscano linee guida concrete per affrontarli. L’approccio proposto nell’articolo di Nature Communication è di tipo piramidale, stratificato, e propone tre diversi sistemi adattivi: l’adattamento reattivo si focalizza sulla gestione dei disastri a breve termine, di cui si può essere informati attraverso le previsioni meteo. Tuttavia, queste ultime sono, tutt’ora, oggetto di sfiducia e ciò può essere rischioso, perché non si intraprendono azioni concrete se si percepisce l’evento previsto come sproporzionato e impossibile: l’alluvione in Nepal del 2021 non è stata adeguatamente fronteggiata anche perché, nonostante fosse stata prevista una grande quantità di piogge, il fenomeno era stato considerato improbabile e fuori stagione. Perciò, occorre migliorare la diffusione e la comunicazione dei messaggi, oltre ad incrementare l’affidabilità delle previsioni meteo, che già sta aumentando grazie alla possibilità di svolgere analisi sempre più precise e accurate.
C’è poi un modello di adattamento di tipo incrementale, che mira ad un miglioramento graduale di servizi e infrastrutture in occasione di gravi disastri: per esempio, le dighe che dovrebbero proteggere da inondazioni, possono essere sottoposte a test di resistenza per determinare la loro efficacia di fronte a violente tempeste.
Infine, c’è l’adattamento trasformativo: quest’ultimo non riguarda piccoli mutamenti graduali, ma un radicale ripensamento del mondo in cui viviamo, che tenga conto del cambiamento climatico e dell’impatto che può avere su di noi e sulle generazioni future. Ridisegnare le città rendendole più verdi, per esempio, può essere considerata una di quelle trasformazioni fondamentali che condurrebbero ad un’innovazione in questo senso; così come sarebbe di vitale importanza che lo sviluppo sociale e infrastrutturale sia più equo e sostenibile per tutti i paesi, così che i danni che gli eventi estremi possono provocare siano più facilmente contrastabili.
Affinché il cambiamento climatico smetta di sorprenderci e si riesca a reagire più prontamente a fenomeni sempre più imprevedibili, è necessario che questi tre approcci adattivi coesistano: ogni metodo ha i propri limiti e punti di forza. Tenendoli insieme si può provare a diventare più consapevoli di come il clima sia in continuo mutamento, e andare verso uno sviluppo che ne tenga conto e che metta al centro il benessere di tutte le persone.