SCIENZA E RICERCA

L'editoriale. La guerra non è scritta nel DNA

Nella giornata del 25 aprile non potevo che essere di fronte all’atrio degli eroi di Palazzo del Bo. Vicino a me, la lapide con i nomi di coloro che si sono sacrificati per la libertà durante la Resistenza e la motivazione per l’attribuzione della medaglia d’oro al valore militare all’università di Padova.

Infine, l’opera di Arturo Martini, il Palinuro, dedicato a un partigiano nostro laureato che morì negli ultimi giorni della Resistenza.

Mi collego al 25 aprile per ricordare che le riviste scientifiche, negli ultimi mesi, continuano a ripetere: perché non ascoltiamo la scienza e i suoi appelli? Quelli sulla sicurezza climatica e così via. Cosa c’entra con il 25 aprile? Uno dei motivi per cui non riusciamo a percepire bene i rischi che corriamo, anche per le nostre libertà fondamentali, è – tra i tanti – il fatto che tendiamo a credere che molte delle caratteristiche culturali siano figlie di un “ordine naturale delle cose”. Pensiamo che il mercato, le leggi dell’economia e che pure la guerra sia una cosa naturale. Sì, ho sentito questa sciocchezza: che farsi la guerra faccia parte nello statuto umano, che è scritto nel nostro DNA. Assicuro che nel nostro codice genetico non c’è scritta la parola guerra. Certo, in natura c’è l’aggressività, individuale e di gruppo, ma non c’è la guerra come la intendiamo noi – quella pianificata, organizzata, istituzionale per distruggere un altro gruppo – è un’invenzione molto recente: non ci sono tracce di essa prima del neolitico. È un prodotto culturale e come tutto quello che è culturale possiamo evolvere, possiamo cambiare e considerare la guerra un tabù, come già fatto con la schiavitù.

Sarebbe molto razionale farlo per due motivi: nessuno che scatena la guerra è più in grado di vincerla e perché, oggi, combattiamo con degli strumenti così potenti che potrebbero distruggere tutta l’umanità e tutti i contendenti. È inutile e orrenda: è una sconcezza senza fine.

Potrebbe sembrare un’idea romantica e idealista. Non lo è: la cultura evolve. Ci sono delle conquiste e degli elementi che pensiamo essere irreversibili, ma che non lo sono: la libertà, la democrazia, la convivenza pacifica.

Il 25 aprile ricorda un’altra cosa: spesso i valori a cui teniamo di più entrano in conflitto tra loro. In questo palazzo, sono celebrati i valori della pace, della libertà e della giustizia. Ma non sempre questi tre elementi stanno assieme. Per arrivare alla pace, potrebbe succedere di dover rinunciare alla libertà e alla giustizia. Sarei in difficoltà e allora potrebbe accadere di dover lottare per raggiungere uno di questi valori. Non è così facile essere assolutisti su uno dei valori. Ce lo insegna anche il Palinuro, che ha dato la vita per la nostra libertà.  

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