SOCIETÀ

L'ha scritto una femmina? Non lo leggo

Carolina Capria, scrittrice italiana classe 1980, un anno fa ha avuto l'idea di creare una pagina su Facebook: L'ha scritto una femmina. Da dieci anni, la scrittrice, si occupa di narrativa per l'infanzia, il suo lavoro l'ha spesso portata ad avere contatti con i più giovani, infatti, nel post d'esordio della pagina scrive: "Non posso neppure contarle le volte in cui un bambino o ragazzino mi ha detto che lui non li leggeva i libri scritti dalle femmine e per le femmine, dando per scontato che se sulla copertina di un libro compariva il nome di una donna, quella storia fosse stata scritta per bambine e ragazze".

Non sono, però, solo i più piccoli ad avere questo genere di pregiudizi. La scrittrice ha sentito l'esigenza di aprire una pagina dedicata alla letteratura scritta da donne, a dimostrazione che non si tratta solo di romanzetti e che le donne con le loro parole esprimono concetti universali, anche per gli adulti: "Molti dei miei amici - anche i più intelligenti e attenti, persone che stimo molto - spesso non hanno letto capolavori e classici della letteratura come Orgoglio e pregiudizio e Cime tempestose, perché vittime dello stesso inconscio pregiudizio. In tanti (troppi) è radicata l’idea che gli scrittori scrivano per tutti, le scrittrici scrivano per le donne".

La terza ragione che è alla base del progetto di Capria è che diverse autrici, per essere prese in considerazione per la pubblicazione delle loro opere o per la loro vendita, hanno deciso di firmarsi con degli pseudonimi maschili o ambigui. Questo accadde nell'800, quando le talentuose sorelle Brontë si celerano dietro gli immaginari fratelli Bell, e questo venne consigliato nel 1997, sembra dalla casa editrice, a J.K. Rowling (nata Joanne) perché i lettori adolescenti avrebbero dato più credibilità a un uomo.

"Avverse alla pubblicità personale, abbiamo velato i nostri nomi propri sotto quelli di Currer, Ellis e Acton Bell; la scelta ambigua è stata dettata da una sorta di scrupolo di coscienza, assumendo nomi di battesimo positivamente maschili, noi non ci dichiarammo donne –  senza poter sospettare che allora il nostro stile di scrittura e il nostro pensiero non ricadessero nel concetto di "femminile" –  perché avevamo l'impressione che le scrittrici fossero soggette al pregiudizio". Scrisse Charlotte Brontë, la maggiore delle tre, nell'edizione del 1910 di Cime Tempestose.

Secondo Carolina Capria, sono ancora molte le autrici che tendono a nascondere il proprio genere al pubblico utilizzando uno pseudonimo e aggiunge che gli esempi nel passato sono talmente tanti che è impossibile elencarli, non solo le sorelle Brönte: "Nelle Harper Lee, Louisa May Alcott, Mary Shelley e altre. Io credo che le cose stiano cambiando, penso che le donne stiano imparando ad andare fiere del proprio punto di vista, della propria voce e di quello che riescono a fare, ma la strada è purtroppo ancora lunga".

Charlotte, Emily e Anne Brontë - Di sconosciuto - Image from link. Uploaded by Mr. Absurd., Pubblico dominio, link.

Questo non dovrebbe sorprenderci, visto che un tempo si reputava innaturale che una donna si istruisse e ancora più innaturale era considerato che una donna scrivesse o avesse qualsiasi aspirazione artistica. Per quale ragione la libertà femminile di esprimersi, di raccontare, veniva rifiutata? La scrittrice ci spiega il suo punto di vista sull'argomento: "Una donna poco istruita è una donna che si può facilmente domare, che non ha i mezzi per rivendicare i propri diritti. La mancanza di istruzione è quello che ha permesso al patriarcato di mantenersi stabile e di godere di ottima salute. Per secoli hanno fatto credere alle donne di essere vittime delle proprie passioni incontrollabili, isteriche, pazze. Per fare un esempio, le donne hanno avuto accesso alla professione forense solo nel 1963, prima di allora non si credeva che possedessero la lucidità e l’equilibrio che occorrevano".

"Non so se i libri continuino ad avere anche per questa generazione il valore che hanno avuto per la mia e per quelle precedenti  –  continua Capria  –  perché sono cambiate tante cose e inevitabilmente i punti di riferimento sono diversi. Posso però dire che sono stati i libri a consentirmi di comprendere quello che avevo intorno, e anche ad aiutarmi a sviluppare senso critico. Io devo alla lettura tantissimo".

Se i libri hanno ancora questo valore educativo, dobbiamo chiederci perché le femmine (bambine, ragazze, donne) diano per scontato che sia normale leggere un libro con un protagonista maschile, come Harry Potter, e non si sentano limitate nella loro capacità di immedesimazione nella storia a causa di questo: "Molto banalmente siamo abituati tutti a credere che maschile sia meglio che femminile, che gli uomini abbiano qualcosa in più. Una donna si sente lusingata quando le dicono che fa qualcosa come un uomo, che ha le palle, perché il maschile è vincente, potente, risolto. Un uomo, di contro, se si comporta da femminuccia ha qualcosa di meno di quello che dovrebbe. Maschio è più femmina è meno. È naturale, seguendo questo schema, capire come mai per le donne sia facile creare empatia con personaggi maschili e invece sia raro il contrario. A me è capitato tantissime volte di vedere ragazzini che storcevano il naso di fronte alla possibilità di leggere libri che avessero protagoniste femminili, e di una cosa sono certa: ci perdiamo tutti".

Allora perché continuiamo a mantenere la distinzione, spesso anche inconscia, di cose da maschi e cose da femmina? Secondo la creatrice di L'ha scritto una femmina, un mondo così diviso "è abitato da persone facilmente incasellabili e controllabili. Facendo credere che alle donne competano solo le cose da femmina si riesce ad avere la certezza che non escano dal recinto, non alzino la testa. Lo stesso vale per gli uomini, ovviamente, solo che i recinti sono diversi".

Il progetto di Carolina Capria, in un contesto sociale che ha recentemente iniziato a prendere coscienza degli stereotipi di genere, quali risultati ha ottenuto a distanza di un anno? "Posso affermare senza dubbio che i risultati che ho ottenuto con questo progetto sono molto più grandi di quello che avrei mai immaginato. A me interessava creare comunità, un posto in cui ci si potesse confrontare e arricchirsi, ma mai avrei pensato che fossero tante le persone disposte a mettersi in gioco, ad ascoltare e a raccontare. E questa è una cosa che mi riempie di gioia".

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