SCIENZA E RICERCA

L’interpretazione della meccanica quantistica

È la teoria fisica più precisa che si conosca. Sta ottenendo nuovi risultati pratici di straordinaria importanza, come un sistema intrinsecamente sicuro di criptografia o computer con un’inusitata capacità di calcolo. Eppure è una teoria sui cui fondamenti non solo i filosofi, ma anche i fisici ancora discutono. L’interpretazione della meccanica quantistica – perché è di lei che stiamo parlando – è ancora una questione aperta, nonostante abbia dato luogo a uno dei dibattiti culturali più intensi e profondi di ogni tempo, che ha visto su sponde opposte due amici che si stimavano profondamente, Niels Bohr e Albert Einstein.

Il dibattito

Questo dibattito è più vivo che mai. La riprova? Nel giro di poche settimane qui in Italia sono stati pubblicati almeno quattro libri che vi fanno riferimento. Due hanno il medesimo titolo: Quanti, Uno è uscito per l’editore Adelphi e ne è autore Terry Rudolph, un fisico quantistico dell’Imperial College di Londra. L’altro è uscito per l’editore Doppiavoce è un fisico teorico, esperto della loop quantum gravity, di Napoli che ha lavorato a lungo sia negli USA che nel Regno Unito, Giorgio Immirzi. C’è ancora un testo di Federico Laudisa, un filosofo della scienza che si occupa da sempre di fisica dei quanti, che ha pubblicato con Bollati Boringhieri un libro intitolato La realtà al tempo dei quanti. Infine segnaliamo la proposta di Lee Smolin, fisico teorico a Toronto, in Canada, e autore di autentici best seller. Il suo libro pubblicato da Einaudi ha per titolo: La rivoluzione incompiuta di Einstein. E per sottotitolo: La ricerca di ciò che c’è al di là dei quanti.

Sono tutti libri che si richiamano alla storia dei quanti. Dalla cosiddetta “vecchia teoria dei quanti” alla elaborazione, negli anni ’20 del secolo scorso, della nuova “meccanica quantistica. Ma che poi sfociano tutti in due grandi problemi irrisolti: il tema dell’entanglement, che mette in dubbio il concetto di spazio e, per certi versi, di realtà; la mancata conciliazione tra le due grandi colonne su cui poggia la fisica moderna, la meccanica quantistica, appunto, e la relatività generale di Albert Einstein.

I padri fondatori

Descrivere, in poco spazio, cosa sia la fisica dei quanti non è impresa semplice. Facciamoci, però, aiutare dai tre padri fondatori: Max Planck, Albert Einstein e Niels Bohr.

Il primo, Planck, nell’anno 1900 scopre il “quanto elementare d’azione”. Significa che l’energia non si trasmette in maniera continua ma per pacchetti discreti, in quanti. Il valore del quanto elementare d’azione, E, è pari da h ν, dove h è una costante (la costante di Planck) e ν è la frequenza di un’onda. Il concetto è davvero innovativo, perché fino al 1900 ben pochi avrebbero messo in discussione l’idea che l’energia può assumere tutti i valori, in maniera appunto continua, da zero praticamente a infinito.

Il secondo, Einstein, ha spiegato nel 1905 che esistono i “quanti di luce” (oggi chiamati fotoni). Non solo si propaga per pacchetti discreti come qualsiasi forma di energia, ma ha una duplice natura: di onda e di corpuscolo. Anche questa è una novità assoluta, cui nessuno per almeno quindici anni, ha voluto credere.

Il terzo, Niels Bohr, ha fornito nel 1913 una descrizione quantistica dell’atomo. In maniera estremamente semplificata, possiamo dire che l’atomo, secondo Bohr, è costituito da un nucleo centrale intorno a cui orbitano gli elettroni. Ma non a una qualsiasi distanza dal nucleo, perché possono occupare solo orbite prestabilite. Quantizzate. Anche in questo caso l’idea di continuo viene mandata in soffitta.

Tutto questo è solo e in estrema sintesi la “vecchia teoria dei quanti”. A metà degli anni ’20 nasce, come abbiamo detto, la “meccanica quantistica”, che si regge, tra l’altro, su due concetti manco a dirlo innovativi: l’indeterminazione di Werner Heisenberg e l’interpretazione probabilistica della funzione d’onda che propone Max Born. Anche in questo caso tagliamo i concetti con l’accetta. Heisenberg dimostra che non è possibile conoscere con precisione assoluta due parametri accoppiati, come la velocità e la posizione di una particella. Se io conosco, con un errore minimo, la posizione di un elettrone perdo informazione sulla velocità (e quindi la direzione) con cui si muove. E viceversa.

Un po’ più complessa è la proposta di Born. L’evoluzione di un sistema quantistico era stato descritto da Erwin Schrödinger con una funzione molto precisa, quella “funzione d’onda” che ancora oggi è molto utilizzata. Max Born dimostra, però, che l’informazione che quella funzione fornisce non è deterministica, ma solo probabilistica. Per esempio mi dice qual è la probabilità di trovare l’elettrone in una certa posizione intorno al nucleo di un atomo, ma non mi offre alcune certezza assoluta su dove posso trovarlo.

L’interpretazione di Copenaghen

Su questa base nasce e si afferma una corrente predominante tra i fisici quantistici, quella definita “l’interpretazione di Copenaghen”, che ha in Niels Bohr il suo leader. Albert Einstein con lo stesso Schrödinger e con il francese Louis de Broglie sono scettici sulla validità di questa interpretazione. Essi pensano che la meccanica quantistica, per quanto sia una teoria di straordinaria precisione, sia incompleta. Che ci siano delle “variabili nascoste” che possono ricondurre a una visione meno problematica – o, se si vuole, più vicina alla fisica classica – la meccanica dei quanti così come interpretata da Niles Bohr e seguaci.

La contestazione si esprime in due paradossi. Il primo è proposto da Schrödinger ed è passato alla storia come paradosso del “gatto di Schrödinger”. In pratica, dice l’austriaco intervenendo su un nervo scoperto della meccanica quantistica, quello della misura, “l’interpretazione di Copenaghen” sostiene che ogni sistema si trova sempre in una sovrapposizione di tutti gli stati possibili, finché non interviene qualcuno a effettuare una “misura”. Un gatto chiuso in una scatola si troverebbe, in certe condizioni, a essere vivo e morto contemporaneamente finchè nessuno apre la scatola. Quando questo qualcuno apre la scatola, il gatto diventa o vivo o morto. Questo è un paradosso che dimostra che la meccanica quantistica non è completa, perché tutti i gatti nel mondo reale o sono vivi o sono morti a prescindere se c’è qualcuno che li osserva.

Questo ad avviso di Schrödinger dimostra l’incompletezza della meccanica quantistica e pone il problema della misura. Che non affrontiamo qui, ma che Paul Dirac, un altro dei grandi dell’epopea quantistica, definiva un problema troppo difficile da risolvere date le conoscenze attuali. Un problema da rimandare per una soluzione ad altra epoca.

Il secondo paradosso è quello proposto nel 1935 da Albert Einstein insieme a due suoi collaboratori, Boris Podolsky e Nathan Rosen. Sempre semplificando (nella speranza di non tradire il contenuto scientifico) in un articolo pubblicato quell’anno i tre pongono il problema della località. Poniamo che ci sia una coppia di elettroni nel medesimo orbitale atomico: per una legge proposta da Wolfgang Pauli, i due elettroni devono avere spin opposto. Non specifichiamo cosa sia lo spin, diciamo solo che i due elettroni sono entangled (legati) e dunque se uno a spin su, l’altro deve avere spin giù. Nell’ambito della meccanica quantistica la coppia di elettroni resta in questa forma di relazione a prescindere dalla distanza. Ora, dicono i tre, mettiamo che i due elettroni vengano spazialmente separati, uno resta sulla Terra e l’altro sulla Luna. Se io misuro lo spin dell’elettrone terrestre e trovo che ha spin su, immediatamente l’elettrone sulla Luna assume spin opposto, giù. Ora questo indica una correlazione istantanea a distanza che contraddice la relatività ristretta dello stesso Einstein. Per questo, concludono i tre, la meccanica quantistica per quanto precisa è una teoria i cui fondamenti vanno rivisti.

Realismo e località, sono i grandi temi scientifici e filosofici che costituiscono il nocciolo della discussione. Per Albert Einstein, come per Schrödinger e de Broglie occorre una nuova teoria dalle variabili nascoste.

In quei medesimi anni un logico di grande classe, John von Neumann, sembra negare che una teoria dalle variabili nascoste possa esistere. E, di fatto, la questione dei fondamenti sembra chiusa a tutto vantaggio dell’interpretazione di Copenaghen.

Nel dopoguerra, però, la partita si riapre. In primo luogo con David Bohm, che formula una teoria dalle variabili nascoste capace di salvare il realismo e di spiegare tutti i fatti noti in fatto di meccanica quantistica. E poi con John Bell, che dimostra come una teoria realista possa esistere a patto di rinunciare alla località. La correlazione a distanza tra due oggetti quantistici entangled è reale. E, infatti, a partire dal francese Alain Aspect è stata empiricamente rilevata.

Resta il problema del rapporto tra micro e macro. Com’è che a livello macroscopico non vediamo i bizzarri effetti previsti (e rilevati) a livello microscopico?

Una risposta a questa domanda, nel solco di quanto trovato da John Bell, è stata proposta da tre fisici italiani: Giancarlo Ghirardi, Alberto Rimini e Tullio Weber. Anche in questo caso, non entriamo nei dettagli. Ma i tre dimostrano che la transizione dal comportamento micro a quello macro avviene passando da pochi a molti oggetti. Il comportamento macro è in qualche modo una proprietà emergente di un insieme di elementi micro.

Pensiamo che ce ne sia abbastanza per aver stimolato la curiosità dei lettori. Leggere uno o tutti i libri proposti può essere un’ottima occasione per entrare in un dibattito culturale di rara intensità e bellezza. Un dibattito che è più che mai aperto.

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