UNIVERSITÀ E SCUOLA

L'Italia e l'istruzione terziaria: aumenta il gap con gli altri Paesi

L’Italia è il Paese in cui dal 2000 al 2021 il livello di istruzione terziaria è aumentato a un ritmo più lento rispetto alla media dei Paesi dell'OCSE. Oltre a ciò, si conferma anche uno dei 12 Paesi dell'OCSE in cui il livello di istruzione terziaria è ancora meno diffuso rispetto a quello secondario superiore o post-secondario non terziario in termini di livello più alto di titolo di studio conseguito dalle persone di età compresa tra i 25 e i 34 anni. 

La percentuale di popolazione tra i 25 ed i 34 anni con istruzione terziaria, cioè università, università applicative o corsi di formazione post-diploma, è del 28,3% contro una media OCSE del 47,1%. Guardando ai Paesi a noi vicini vediamo come la Spagna abbia una percentuale del 48,7%, la Francia del 50,3% e la Germania del 35,9%.

Tutti questi dati emergono dal rapporto Education at a glance, che mette in luce come il livello di istruzione sia in crescita costante in tutta l'area dell'OCSE, in particolare a livello terziario e tra gli adulti più giovani. Tra il 2000 e il 2021, la percentuale di giovani tra i 25 e i 34 anni con un livello di istruzione terziaria è aumentata in media di 21 punti percentuali. Come abbiamo visto anche in Italia la quota è aumentata, ma il ritmo è stato più lento rispetto agli altri Paesi. Dal 2000 al 2011 siamo passati dal 10% al 21% nel 2011, fino all’attuale 28%.

Va un po’ meglio per il nostro Paese se si analizza solo la percentuale di donne della stessa fascia d’età. In Italia infatti il 34,4% delle 25-34enni ha un’istruzione terziaria, un dato che comunque è di molti punti percentuali in meno della media OCSE (53,7%). 

Il totale delle persone tra i 25 ed i 64 anni che in Italia ha un livello di istruzione terziaria è del 20%, cioè un valore che è quasi la metà della media del Paesi OCSE (41%). Se poi prendessimo in considerazione solamente le persone tra i 55 ed i 64 anni, il nostro Paese si troverebbe agli ultimi posti tra quelli raggruppati nell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Solamente il 12% dei nostri concittadini di quell’età infatti ha un’istruzione terziaria, un dato migliore solo di Indonesia e Turchia. La media OCSE in questo caso è del 29,7%.

Se per quanto riguarda l’istruzione terziaria in Italia le percentuali sono ancora troppo basse, al contrario, per quanto riguarda quella secondaria, ad essere alto è il tasso di abbandono senza aver conseguito il diploma. Come avevamo già analizzato in un lungo reportage sulla scuola italiana, nel nostro Paese la percentuale di giovani tra i 25 e i 34 anni privi di un titolo di studio secondario superiore è del 23%, contro il 14% dei giovani adulti dell'area OCSE.

Avere un livello di istruzione più alto però significa anche avere migliori prospettive occupazionali. Vale mediamente in tutti i Paesi OCSE e anche in Italia nel 2021 il tasso di occupazione dei 25-34enni laureati in Italia era di 20 punti percentuali superiore a quello di coloro che avevano un titolo di studio inferiore al secondario superiore. Guardando invece alle differenze rispetto al genere, dal rapporto si nota che  il legame positivo tra livello di istruzione e tasso di occupazione è valido sia per gli uomini che per le donne, ma si dimostra più forte per queste ultime. In Italia ad esempio, il 31% delle donne con un livello di istruzione inferiore al secondario superiore aveva un impiego nel 2021, rispetto al 70% delle donne in possesso di un titolo di studi di livello terziario. Per gli uomini, invece, le percentuali erano rispettivamente del 64% e del 71%. 

Prospettive lavorative migliori è sinonimo anche di un livello salariale più alto. Mediamente i lavoratori in area OCSE tra i 25 e i 64 anni con un livello di istruzione secondaria superiore o post-secondaria ma non terziaria guadagnano il 29% in più rispetto ai lavoratori che hanno un livello di istruzione inferiore a quello secondario superiore. Coloro i quali hanno una laurea o simili infine guadagnano mediamente il doppio di chi non ha un diploma. Vale per tutti i Paesi ma un po’ meno per l’Italia in cui i vantaggi in termini retributivi dei lavoratori con una qualifica di istruzione terziaria sono risultati di poco inferiori alla media dell'OCSE. Gli ultimi dati a disposizione sono del 2018, e vedono infatti i lavoratori diplomati guadagnare il 27% in più rispetto a quelli con un titolo di studio inferiore al secondario superiore,  contro il 29% della media OCSE.

Le medie nazionali che escono da Education at a glance sono utili a fornirci una base solida da cui partire per cercare di analizzare le differenze tra Paesi. Ciò di cui però bisogna sempre tenere conto è che anche dentro gli stessi Stati esistono delle disparità più o meno evidenti. La situazione italiana la conosciamo bene, sappiamo che ci sono regioni, come ad esempio la Sicilia, in cui più del 22% dei ragazzi tra i 18 ed i 24 anni abbandona prematuramente gli studi. 

Sappiamo però anche che nemmeno le singole analisi regionali a volte riescono ad essere complete ed esaustive. Il territorio italiano è un territorio alto in cui ci sono 26 Comuni a oltre 1.500 metri sul livello del mare (il più alto è Sestriere a 2.035 slm), 661 tra gli 800 ed i 1500 metri sul livello del mare e ben 2.202 tra i 400 e gli 800 metri d’altitudine. È bene ribadire la conformazione del nostro territorio per capire il motivo per cui circa il 15% dei Comuni italiani al suo interno non ha un edificio scolastico. Difficoltà infrastrutturali, scarsa accessibilità alle persone con disabilità, e una costante domanda di insegnanti non sempre coperta dall’offerta sono solo tre degli indicatori che devono accendere l’attenzione sulla scuola italiana. Attenzione che dovrebbe arrivare in primis dalla politica e che si dovrebbe tramutare in investimento, anche economico, sulla scuola.

 

 

I soldi però da soli non bastano mai, e per far risalire il nostro Paese in tutte le statistiche che abbiamo visto fin qui è necessaria una visione d’insieme della scuola italiana. Una visione che troppo spesso viene accantonata per cercare di tamponare il costante stato emergenziale, che riguardi l’assunzione dei docenti, che riguardi l’infrastruttura scolastica o l’insegnamento durante la pandemia. Una costante emergenza che viene gestita come tale senza però dare delle basi solide a coloro i quali saranno il futuro del Paese.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012