SCIENZA E RICERCA

L’olio di palma nuoce alla salute (e all’ambiente)?

La palma da olio è una pianta originaria dell’Africa occidentale, dalla cui coltivazione si ricavano due tipi di olio: l’olio di palma, ricavato dalla spremitura della polpa dei frutti, e l’olio di palmisto, ricavato dai semi. A partire dalla seconda metà del XX secolo, questi prodotti hanno acquisito una crescente importanza commerciale: in particolare, l’olio di palma è divenuto una materia prima essenziale per l’industria alimentare, per via delle sue proprietà organolettiche e per la convenienza economica di questa coltura, non stagionale e altamente produttiva.

L’olio di palma, nella sua forma non raffinata, è utilizzato nella cucina tradizionale di molte popolazioni locali, soprattutto in alcune regioni dell’Africa occidentale. Il suo impiego industriale, invece, prevede un processo di raffinazione mirante ad eliminare il colore, il sapore e l’odore caratteristici del prodotto grezzo, al termine del quale gli oli di palma e palmisto si presentano pressoché inodori, insapori e di colore giallo pallido. In questa forma, il prodotto viene impiegato come ingrediente in molti prodotti alimentari processati, soprattutto da forno e dolciari.

A fronte dell’elevato e diffuso impiego di olio di palma semilavorato nella produzione industriale, da alcuni anni a questa parte sono state sollevate preoccupazioni circa il suo possibile impatto sulla salute dei consumatori. L’attenzione dell’opinione pubblica su tale questione è stata molto alta, tanto che diverse aziende hanno deciso di abbandonare l’olio di palma, sostituendolo con altri oli vegetali (come l’olio di colza o di girasole).

Il bollino “senza olio di palma”, apposto sulle confezioni di molti prodotti, rischia tuttavia di creare disinformazione, suggerendo al consumatore che i prodotti privi di olio di palma siano più sani e – non ultimo – più sostenibili dal punto di vista ambientale. Un altro problema legato alla produzione di olio di palma è, infatti, il profondo impatto di queste colture estensive, che alimentano in maniera consistente i processi di deforestazione.

Per fare chiarezza sulle diverse questioni nutrizionali e ambientali legate all’olio di palma ci siamo rivolti a Laura Rossi, nutrizionista e ricercatrice del CREA, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'economia agraria.

L'intervista completa a Laura Rossi. Servizio di Barbara Paknazar

«Gli olii derivanti dalla palma Elaeis guineensis – spiega l’esperta – hanno avuto un grande successo commerciale grazie ad alcune proprietà che li rendono concorrenziali sul mercato. In primo luogo, bisogna ricordare il vantaggio economico che questa coltivazione offre rispetto ad altre fonti di grasso: la palma da olio ha, infatti, una resa per ettaro molto superiore ad altre coltivazioni da cui si ricavano oli vegetali, come la colza, il girasole o la soia. In secondo luogo, il suo sapore piatto lo rende di più facile impiego nell’industria alimentare rispetto ad altri grassi, come l’olio d’oliva e il burro, dal gusto più marcato.

Dal punto di vista nutrizionale l’olio di palma presenta, in effetti, alcune criticità. Queste sono legate, non diversamente da altri grassi, alla composizione chimica: l’olio di palma, infatti, contiene livelli relativamente alti di acidi grassi saturi (circa il 50%) – livelli paragonabili a quelli del burro.

In una dieta bilanciata, l’assunzione di acidi grassi saturi non deve superare il 10% del fabbisogno giornaliero: poiché questi sono già presenti naturalmente in molti prodotti di consumo quotidiano, l’assunzione di acidi grassi saturi aggiunti – contenuti in prodotti trasformati come crackers, biscotti, gelati, cioccolato, merendine – può risultare deleteria per la salute individuale. Bisogna ricordare, tuttavia, che, a differenza della variazione nella composizione chimica, dal punto di vista calorico non vi sono significative differenze fra l’olio di palma e altre fonti di grassi aggiunti. Ciò implica che non c’è motivo di ritenere che i prodotti senza olio di palma possano essere consumati in quantità maggiori: il contenuto calorico di alimenti contenenti grassi – che siano saturi, monoinsaturi o polinsaturi – è identico».

«Da ciò – prosegue Rossi – possiamo trarre una prima conclusione: sotto il profilo nutrizionale, le etichette “senza” possono risultare ingannevoli, suggerendo all’acquirente che il prodotto abbia proprietà dietetiche e che possa dunque essere consumato in quantità maggiori. Questo non è vero: la moderazione è il primo precetto per una sana alimentazione».

La seconda grande questione legata all’estesa commercializzazione dell’olio di palma è l’impatto ambientale della sua coltivazione: i campi coltivati a palma da olio, infatti, si estendono in aree tropicali (soprattutto la Malesia e l’Indonesia), dove i livelli di deforestazione sono aumentati vertiginosamente proprio in relazione al sempre maggior bisogno di terreni per far fronte alla crescente richiesta di olii di palma e palmisto sul mercato mondiale. La soluzione per fermare la deforestazione, che rappresenta un rischio primario per l’altissima biodiversità degli ecosistemi tropicali, non coincide, tuttavia, con la rinuncia all’impiego di olio di palma su larga scala. Esso ha infatti un innegabile ed insostituibile vantaggio: l’alta produttività di questa coltivazione consente di soddisfare il fabbisogno mondiale sfruttando una porzione relativamente ridotta di terreni coltivabili, sicuramente molto inferiore rispetto a quella necessaria per produrre in quantità sufficienti oli vegetali o animali sostitutivi. È essenziale, piuttosto, che vi sia un controllo efficiente ed efficace ad ogni passaggio della filiera produttiva, così da garantire la sostenibilità – ambientale e sociale – dell’olio di palma. «Ciò comporta – osserva Rossi – che le certificazioni non siano più solamente volontarie, come accade oggi, ma che, al contrario, vi siano certificazioni obbligatorie e organismi di controllo a livello internazionale».

Anche la EAT-Lancet Commission on Food, Planet, Health, nelle sue indicazioni per una nutrizione sostenibile, riconosce l’importanza dell’olio di palma (se coltivato secondo pratiche di sostenibilità) come materia prima a livello globale. Come sottolinea Laura Rossi, anche in questo caso la chiave è nella moderazione dei consumi. Secondo la FAO (Food and Agriculture Organisation of the United Nations), una nutrizione sostenibile consiste in «diete a basso impatto ambientale che contribuiscono alla sicurezza alimentare e nutrizionale e ad una vita sana per le generazioni presenti e future. […] Proteggono e rispettano la biodiversità e gli ecosistemi, sono adeguate alle diverse culture, accessibili ed economicamente eque; sono adeguate sotto il profilo nutrizionale, sicure e sane, ottimizzano le risorse naturali e umane». Ridurre il consumo di prodotti ultraprocessati, molti dei quali contengono il tanto vituperato olio di palma (nella sua forma semilavorata), è una delle scelte win-win suggerite dalla Commissione di esperti di The Lancet: tutela la nostra salute, e salvaguarda l’ambiente naturale.

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