SCIENZA E RICERCA

Medicina tradizionale, la risposta del Cicap

Pubblichiamo la replica del Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze (Cicap), riguardo alla serie di articoli, comparsi su questo giornale, riguardanti la medicina tradizionale

L’articolo “Quale scientificità nella medicina tradizionale?” di Alessandra Saiu, pubblicato su Il Bo Live lo scorso 15 luglio, ha destato molte perplessità in chi come noi si occupa da tempo di questi temi, perplessità che sono state chiaramente argomentate nella replica di Lisa Signorile.  A questi due articoli è seguito un pezzo del caporedattore, che ha indicato la volontà di mantenere vivo il dibattito sulla rivista, pur chiarendo che la linea del giornale è quella per cui «l’unica medicina valida da un punto di vista sanitario, epistemologico ed etico sia quella scientificamente validata, attraverso i processi rigorosi della comunità scientifica internazionale».

A nostra volta ci permettiamo di intervenire per cercare di spiegare perché, secondo noi, un dibattito così impostato rischia di essere sterile da una parte e foriero di fraintendimenti dall’altra. 

La prima questione riguarda quello che dovrebbe essere l’oggetto di tale dibattito, ovvero la scientificità della medicina tradizionale. Il punto è che la scientificità di una medicina, o meglio sarebbe dire delle sue singole pratiche e trattamenti, non può essere oggetto di un dibattito tra favorevoli e contrari, come se le opinioni degli uni venissero messe a confronto con quelle degli altri, per poi lasciare al pubblico dei lettori il compito di decidere chi ha ragione e chi ha torto. E questo per la semplice ragione che o quelle singole pratiche mediche sono state «validate attraverso processi rigorosi», per riprendere le parole di Greco, e allora non si vede di cosa discutere relativamente alla loro scientificità, oppure non lo sono state, e allora tanto più non si vede su cosa debba essere aperto il dibattito.

Il rischio è, altrimenti, quello di alimentare l’idea sbagliata che la scienza sia una questione di opinioni, e non appunto di evidenze che vanno accumulate secondo metodologie specifiche, per ridurre le possibilità di errore insite in ogni sperimentazione, e che vanno dimostrate alla comunità degli esperti. Ed è anche in questa erronea rappresentazione della scienza che trova fondamento l’illusione di parte dell’opinione pubblica di poter scegliere tra una opinione e l’altra, tra l’efficacia della farmacologia e quella dell’omeopatia, tra utilità e pericolosità dei vaccini. 

Diverso è se il dibattito riguarda le ragioni per cui tante persone fanno uso di certi trattamenti medici, nonostante non ne sia stata provata l’efficacia, ma in questo caso riteniamo opportune alcune precisazioni. 

La prima è che, se di questo si tratta, allora tale dibattito non può essere aperto da un articolo che sostiene la bontà e l’utilità di quei trattamenti, come invece fa il pezzo di Saiu. Sarebbe come se un dibattito sulle ragioni dell’evasione fiscale fosse introdotto da un articolo che spiega che evadere le tasse è un bene, seguito da un editoriale che afferma di essere contro l'evasione.

In secondo luogo, sarebbe opportuno evidenziare che, in molti paesi del mondo in cui i pazienti utilizzano le medicine tradizionali, si tratta delle uniche possibilità terapeutiche di cui, di fatto, dispongono. È quindi inutile chiedersi perché quelle persone si rivolgano allo sciamano, se lo sciamano è l’unica persona disponibile ad occuparsi dei loro problemi di salute o se il costo di un’altra opzione è troppo rilevante. Per non tacere del peso che hanno le tradizioni e le abitudini nelle scelte fatte da ciascuno di noi in qualsiasi ambito, dal cibo all’abbigliamento, fino appunto alla salute. 

Nel caso della Cina in particolare, poi, non si possono dimenticare gli investimenti e il lavoro di pressione del Governo cinese per promuovere la medicina tradizionale di quel paese, sia per ragioni economiche che di influenza geopolitica. Si tratta di alcuni degli argomenti richiamati da un articolo di Naturedello scorso 5 giugno che si esprimeva in maniera critica circa la scelta dell’Organizzazione mondiale della salute di includere nel suo compendio un capitolo sulla medicina tradizionale cinese, pur dichiarando, a fronte anche delle critiche ricevute, che tale inclusione «non si riferisce né supporta nessun trattamento specifico».

Se, infine, il dibattito riguarda le ragioni per le quali anche in Occidente trovano un utilizzo pratiche mediche di non dimostrata efficacia, allora di nuovo si tratterebbe di presentare gli studi che in discipline diverse e da prospettive differenti si sono occupate del problema. È una letteratura scientifica crescente, che ha indagato con metodologie diverse gli atteggiamenti e le rappresentazioni nei confronti dei medici, delle medicine e delle malattie e li ha messi in relazione con diverse variabili, di tipo socio demografico, ideologico-valoriale e culturale, ma anche relative alla specificità delle singole patologie. Dall’analisi attenta di questi temi potrebbero derivare informazioni interessanti anche per il nostro modello occidentale di rapporto medico-paziente; per esempio l’attenzione all’individuo, l’importanza del tempo messo a sua disposizione e il valore della parola. Questa letteratura non ha definito un modello unitario di comprensione della questione, ma certamente ha contribuito a fare chiarezza su alcuni aspetti e a superare alcune letture semplicistiche, come quella per cui la questione si ridurrebbe a una mancanza di conoscenze da parte di chi utilizza tali trattamenti. E proprio a questa letteratura può valere la pena rivolgersi per capire che la presenza di singoli centri o università in cui alcuni operatori praticano o sostengono certi trattamenti alternativi non costituisce di per sé un avallo scientificamente adeguato, come dimostrano, solo per restare in Italia, la vicenda di Stamina o quella dei trattamenti tumorali alternativi, praticati da medici che periodicamente emergono agli onori delle cronache. Ma appunto, se di questo si vuole parlare sulle pagine di IlBo Live, ci pare che l’incipit abbia sviato l’approfondimento in tutt’altra direzione. 

Resta infine una questione centrale, che ci riporta al richiamo di Greco a una medicina che sia fondata su evidenze dimostrabili secondo le procedure e le metodologie della scienza contemporanea. Riteniamo infatti opportuno precisare meglio come si arriva a determinare una evidenza scientifica, per evitare rischiosi fraintendimenti che riteniamo fossero insiti nell’articolo iniziale di Saiu. In particolare, intendiamo soffermarci su alcune affermazioni del Professor Fabio Zampieri, così come riportate nell’articolo: 

L’apertura dell'Oms in questo senso deriva dal fatto che le medicine tradizionali hanno un costo di molto inferiore rispetto alla medicina occidentale. Le tradizionali, da un punto di vista terapeutico si basano spesso su sostanze vegetali, cioè sull'uso della fitoterapia. Queste sostanze provengono principalmente dal luogo di appartenenza di chi le raccoglie per usarle: sono facilmente reperibili e i composti sono di non difficile preparazione, perciò molto più economici rispetto ai farmaci chimici della medicina occidentale.

Già l’espressione «farmaci chimici» non può che suscitare perplessità. Forse che le sostanze vegetali di cui parla il Professor Zampieri non sono chimiche? Evidentemente il professore intendeva farmaci di sintesi. Ma al di là di questo, è valida la considerazione economica espressa dal docente? La risposta è: no, non necessariamente. La chimica farmaceutica in molti casi ha permesso di abbassare enormemente i costi di produzione di un principio attivo, consentendone l’accesso anche a fasce di popolazione alle quali era prima precluso. In compenso, i costi di molti trattamenti di medicina alternativa sono alti, basti pensare ai prodotti omeopatici, se si considera che quei prodotti sono realizzati da industrie che fanno molto profitto senza sostanzialmente fare ricerca; aziende che hanno quindi le caratteristiche considerate negative dell’industria farmaceutica classica, senza averne i pregi.

Al di là dei costi economici, ci sono poi altri aspetti da prendere in considerazione. Ad esempio, i costi ambientali-ecologici causati dall’utilizzo di prodotti di origine animale da parte della medicina tradizionale cinese. già richiamati dall’articolo di Signorile. Un esempio significativo è quello dell’acido ursodesossicolico. Efficace contro i calcoli biliari, questa sostanza nella medicina tradizionale cinese viene prodotta nelle famigerate “fattorie della bile”, in cui poveri orsi della Luna trascorrono la loro esistenza in anguste gabbie e tra atroci sofferenze. Ma la stessa sostanza può essere facilmente prodotta per sintesi a costi più bassi e soprattutto evitando inutili sofferenze. 

Non vi sono quindi preclusioni ideologiche verso i farmaci di origine vegetale, ma si tratta di condurre un’analisi obiettiva per scegliere di volta in volta la metodologica più vantaggiosa secondo un’analisi costi-benefici e adatta alle specificità geografiche e culturali della regione interessata. È infatti vero che le tradizioni dell’etnomedicina possono rappresentare un vasto campionario da cui la stessa medicina scientifica può proficuamente attingere, come ha già fatto in passato. Ma bisogna distinguere e non generalizzare. Si possono sicuramente individuare molecole realmente efficaci (pensiamo all’artemisinina, individuata nella pianta Artemisia annuao all’efedrina estratta da Ephedra sinica), ma si trovano anche innumerevoli sostanze e pratiche inutili se non pericolose.

Il professor Zampieri afferma inoltre:

Sia la medicina cinese che quella indiana hanno delle basi teoriche diverse da quella occidentale. Ad esempio, l'agopuntura si basa sull'idea dell'esistenza di canali energetici all'interno del nostro corpo che non siamo ancora in grado di “misurare” con le tecnologie attuali […].

Una frase così formulata può dare un’immagine completamente distorta della realtà. Sembra infatti che noi (si presume occidentali) non siamo ancora in grado di misurare i “canali energetici”, la cui esistenza è data per scontata, perché le nostre tecnologie non sono ancora sufficientemente sviluppate da consentircelo. Il problema è innanzitutto sperimentale e non teorico: le applicazioni terapeutiche dei canali energetici postulati dall’agopuntura non sono mai state dimostrate sperimentalmente. In secondo luogo, il concetto di “canale energetico” non ha mai trovato alcun riscontro in campo scientifico e non è compatibile con qualsiasi cognizione anatomica e fisiologica di base. Per abbandonare in favore dei canali energetici l’insieme delle attuali conoscenze anatomiche e fisiologiche, che sono corroborate da secoli di studi, sarebbe necessaria un’enorme mole di scoperte scientifiche rivoluzionarie di cui al momento non si vede l’ombra.

Infine il professor Zampieri afferma:

Per esempio, in Cina, nella prima parte del '900 c'è stato un grande fervore nell'introduzione delle pratiche occidentali. In seguito, nel periodo che è coinciso col governo di Mao Tse-Tung, ci sono state una riscoperta e una rinascita delle pratiche tradizionali cinesi…

Anche qui le cose stanno un po’ diversamente da come afferma il professore. Mao Tse-Tung, per motivazioni esclusivamente politiche e ideologiche, cercò di rivalutare la medicina tradizionale cinese in opposizione a quella scientifica, considerata borghese e capitalista. In questo suo sforzo di rivalutazione delle tradizioni cinesi non esitò ad usare metodi non trasparenti secondo i canoni di una medicina basata sull’evidenza, che hanno alterato i risultati (ad esempio, somministrando ai pazienti antidolorifici, tra cui oppiacei, e attribuendone l’efficacia all’agopuntura).

In sostanza, la “riproducibilità” di un effetto clinico non si limita alla sua persistenza nei millenni, come affermato nell’articolo: essa merita certamente interesse sul piano storico, ma è insufficiente e metodologicamente insostenibile come prova scientifica di efficacia. Solo con studi prospettici randomizzati in doppio cieco, versus placebo o altra terapia di efficacia documentata, potremmo appurare se un qualsiasi prodotto o tecnica sia in grado di curare o migliorare una determinata patologia.

Quanto più riusciremo a diffondere questa consapevolezza, tanto più avremo fornito all’opinione pubblica gli strumenti per decidere liberamente, ma in maniera informata e consapevole, circa l’utilità e l’opportunità di un trattamento medico. Siamo sicuri che questo sia anche l’intendimento delle tante ricercatrici e ricercatori dell’Università di Padova e di una rivista come IlBo Live, che ringraziamo quindi per l’ospitalità.

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