SOCIETÀ

Movimenti neopopulisti: figli del nostro tempo?

Nelle scorse settimane, una tempesta ha scosso profondamente il panorama politico tedesco: ad inizio febbraio, infatti, un ordinario rimpasto del governo regionale della Turingia ha avuto un esito inaspettato, che si è rivelato un vero e proprio boomerang dalle conseguenze nazionali. A sorpresa, il Parlamento locale ha eletto come governatore Thomas Kemmerich, che ha ottenuto la maggioranza con l’appoggio non solo della CDU (Unione cristiano-democratica), il partito di Angela Merkel, ma anche di Alternative für Deutschland (AfD), giovane partito fondato nel 2013 che sostiene posizioni nazionaliste, euroscettiche, conservatrici. Dai vertici nazionali della CDU la reazione è stata molto dura: non solo sono state caldeggiate le dimissioni di Kemmerich (pervenute pochi giorni dopo l’elezione) e la formazione di un nuovo governo, ma per lo scandalo Annegret Kramp-Karrenbauer, la dirigente del partito (nonché delfina di Angela Merkel) si è perfino dimessa, abbandonando la corsa alle presidenziali del 2021.

Lo scandalo è nato poiché in Germania mai, dalla fine della guerra, un partito di estrema destra – come viene comunemente considerato AfD – era riuscito a ricoprire un ruolo di primo piano nell’elezione di un membro del governo, seppur a livello locale.

Partiti come AfD – sostenitori di posizioni sovraniste, fautori di politiche di contenimento dell’immigrazione, scettici nei confronti dell’unità europea – stanno avendo, negli ultimi anni, vasta diffusione nelle democrazie occidentali. Da dove originino, e se siano davvero un pericolo per la buona salute dei sistemi democratici, non è però sempre chiaro: molte sono le speculazioni, e spesso questi movimenti vengono associati inopportunamente con ideologie del passato, come nazismo e fascismo. Per fare luce sulla questione, ci siamo rivolti al professor Paolo Graziano, docente di Scienza politica all’università di Padova.

È possibile ricondurre questi movimenti all’ambiente dell’estrema destra, collegandoli ad ideologie storicamente connotate, o bisogna piuttosto considerarli una novità nel panorama politico europeo?

“Oggi assistiamo alla diffusione di partiti “neopopulisti” – che differiscono dal populismo classico, la cui matrice storica ottocentesca non può essere rintracciata nei partiti e movimenti odierni. Il neopopulismo è un fenomeno relativamente recente, la cui peculiarità consiste nel porre una forte enfasi sul ruolo del popolo, rappresentato come aggregato politico opposto all’élite: la narrazione neopopulista contrappone, infatti, un popolo puro a un’élite corrotta.

La differenza rispetto all’estrema destra è che, pur insistendo su temi imperniati anche sull’esclusione – chiusura delle frontiere, accentuazione della sovranità e dell’identità nazionale –, il neopopulismo non parla solamente ad una fascia minoritaria della popolazione, ma cerca come potenziale interlocutore il popolo nella sua interezza, mirando a rappresentare una porzione maggioritaria di esso. Nel caso tedesco, ad esempio, la violenza retorica contro i migranti presente in partiti di estrema destra come NPD (Partito Nazionaldemocratico di Germania) si riscontra meno di frequente nel discorso di AfD, che, al contrario, attribuisce importanza anche a valori tradizionali ed enfatizza, inoltre, il ruolo della democrazia diretta. Tipico del neopopulismo esclusivo – che estromette dal concetto di “popolo” tutti coloro che non sono nativi  e che non condividono l’identità nazionale – è dunque il tradurre in una vocazione maggioritaria idee e proposte politiche che, in origine, appartenevano all’estrema destra”.

Nel descrivere questi partiti, spesso si pone l’accento sul fatto che la loro sia una retorica più basata sull’emotività che sulla razionalità: questo sarebbe dimostrato anche dal fatto che il neopopulismo ottiene maggior successo in momenti d’instabilità, di crisi economica e sociale. È una rappresentazione accurata?

“In realtà – spiega il prof. Graziano – questo è un falso mito: ogni partito, da sempre, fa appello alle emozioni. Guardando all’Italia, ad esempio, è vero che i partiti di centro-sinistra, negli ultimi anni, hanno prediletto un linguaggio razionale; ma si tratta perlopiù di una razionalità di stampo neoliberista, che incontra gli interessi di una piccola parte della popolazione. Il problema del centro-sinistra è proprio il ricorso ad una razionalità che difficilmente procura vantaggi alla maggioranza dei cittadini, o che comunque non genera vantaggi equiparabili ai sacrifici richiesti (si pensi alle politiche dell’austerità, che hanno generato molto disagio ed hanno infine spinto gli elettori a premiare i partiti neopopulisti, che si sono opposti a tali decisioni)”.

È dunque corretto affermare che questi movimenti costituiscano un pericolo per la democrazia, o il loro sorgere è, in qualche maniera, fisiologico?

Le democrazie consolidate non hanno nulla da temere: il fatto stesso che questi dibattiti si svolgano all’interno dell’arena democratica è una prova della forza della democrazia. Negli Stati Uniti, ad esempio, è stata proprio una democrazia ben consolidata e forte a frenare l’ascesa di un leader neopopulista come Trump, non consentendogli di attuare tutte le sue promesse. E lo stesso è accaduto anche in Germania, dove il governo regionale della Turingia è caduto soltanto per aver ricevuto l’appoggio di un partito ritenuto non coerente con i valori liberali e democratici. I neopopulismi costituiscono invece una minaccia laddove la democrazia non è consolidata, come ad esempio in Ungheria e in Polonia: in questi paesi le politiche neopopuliste, soprattutto di carattere esclusivo, rischiano di far crollare le fragili basi della democrazia.

Persino i dibattiti sulla sicurezza, o l’insistenza su argomentazioni nativiste e sovraniste, non esulano dai processi democratici: si tratta di scelte – eventualmente poco condivisibili – che vengono prese all’interno della democrazia stessa, nell’alveo della quale, infatti, i movimenti neopopulisti si collocano pienamente. Ciò che sta avvenendo in paesi come Ungheria e Polonia, al contrario, è molto più preoccupante: in quei contesti, la democrazia è effettivamente in pericolo, poiché limitando la libertà di pensiero e di parola, e riducendo le garanzie costituzionali, si mina la libertà civile e politica, che è alla base di qualsiasi ordinamento democratico”.

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