SCIENZA E RICERCA

Le neuroscienze della visione per spiegare la dislessia

Il nostro cervello non si è evoluto per leggere. Le prime forme di scrittura sono state inventate 6000 anni fa in Mesopotamia e la stampa è comparsa solo nel XV secolo. Fino a pochi secoli fa la lettura è rimasta un privilegio per pochi e in Italia, a metà Novecento, gran parte della popolazione era ancora analfabeta. Non c'è da stupirsi allora se al nostro cervello a volte risultano confuse e affollate le sequenze di simboli messe in fila su una pagina bianca.

Trichur Vidyasagar è uno dei più grandi esperti al mondo di neurofisiologia della visione. Lavora al centro di neuroscienze visuali e cognitive del dipartimento di optometria e scienze visuali dell'università di Melbourne, in Australia. In questi giorni è in visita all'unità di ricerca di Andrea Facoetti, professore del dipartimento di psicologia generale, che da anni a Padova si occupa di dislessia, un disturbo specifico dell'apprendimento piuttosto comune e spesso ereditabile: interessa il 10% della popolazione e comporta serie difficoltà nell'automatizzazione dell'apprendimento della lettura.

Geni come Einstein o Leonardo da Vinci erano probabilmente dislessici e spesso abbiamo sentito aneddoti sulla creatività delle persone affette da questo disturbo. In realtà, da un punto di vista statistico, la dislessia impatta negativamente sul rendimento scolastico prima e sulla qualità della vita poi di chi ne è affetto.

Oggi sappiamo che diversi fattori concorrono alla sua occorrenza: si dice pertanto che è un disturbo multifattoriale. Tuttavia, per anni si è creduto che la maggior parte dei problemi di lettura derivasse dall'area fonologica, ossia dall'incapacità di associare correttamente i suoni del linguaggio alle lettere corrispondenti: i bambini dislessici ad esempio fanno fatica a discriminare tra 'p' e 'b'.

Trichur Vidyasagar, Sagar per gli amici, è stato tra i primi ad avanzare un'ipotesi radicalmente diversa, in un lavoro del 1999. La lettura è una funzione complessa, a cui concorrono aree del cervello dedicate al linguaggio parlato, aree uditive, aree attentive e aree visive. È proprio su queste ultime che Sagar ha puntato il dito. L'area identificata è la via magnocellulare, un circuito neurale che dalla retina si arrampica sulla parte dorsale della corteccia cerebrale e che, comunicando con la via ventrale, è specializzata nella gestione visiva dei dettagli spaziali e del movimento.

Trichur Vidyasagar, esperto di neurofisiologia della visione dell'università di Melbourne. Nel 1999 ha proposto che le cause della dislessia risiedano in un deficit della via magnocellulare dorsale, associata a funzioni visive e non fonologiche

Negli ultimi decenni la comunità scientifica ha accettato che un deficit, seppur lieve, della via magnocellulare dorsale dovesse essere associato ai problemi di lettura, ma per lungo tempo non è stata in grado di chiarire se questo deficit fosse un effetto o una causa della dislessia.

Il gruppo di Andrea Facoetti, di cui fa parte anche Simone Gori dell'università di Bergamo, è stato il primo al mondo a dimostrare che la presenza sia di un deficit attentivo sia di un deficit visivo in età prescolare sono elementi predittivi dell'insorgenza dei problemi di lettura. I deficit dell'attenzione visuo-spaziale sono presenti prima dell'insorgere del disturbo dislessico e quindi vanno annoverati di diritto tra le sue cause.

Un altro importante risultato è stato ottenuto da Sandro Franceschini, anche lui parte del gruppo di ricerca di Padova. Sappiamo anche che in condizioni normali, il cervello percepisce prima le caratteristiche generali, le forme grossolane (utilizzando l'emisfero destro) e successivamente i dettagli, le caratteristiche locali (con l'emisfero sinistro). Le persone affette da dislessia invece tendono a invertire l'ordine, dando precedenza ai dettagli e faticando a ricostruire la scena nel suo insieme.

I lavori del gruppo di ricerca di Padova oggi hanno importanti implicazioni per i programmi di riabilitazione della dislessia, tradizionalmente concentrati sugli aspetti linguistici. Le terapie innovative sviluppate dal team padovano comprendono il ricorso ai videogiochi d'azione, capaci di migliorare l'attenzione visuo-spaziale dei soggetti, tramite l'esposizione a stimoli rapidi nell'area periferica del campo visivo.

Gli aspetti attentivo-percettivi sono dunque importanti almeno quanto quelli linguistici, e grazie a una precoce identificazione del deficit visivo, è possibile attivare programmi di prevenzione quando il disturbo della lettura non si è ancora manifestato. È questa la sfida a cui è dedicato l'ultimo lavoro del gruppo, a prima firma di Sara Bertoni.

Andrea Facoetti, con il suo gruppo del dipartimento di psicologia dell'università di Padova, ha trovato conferme sperimentali all'ipotesi avanzata da Vidyasagar. Ora la sfida è lavorare ai programmi di prevenzione a partire dalla scuola dell'infanzia

Trichur Vidyasagar si laurea in India, all'università di Madras, e ottiene un dottorato all'università di Manchester sulle neuroscienze della visione. Trascorre poi 10 anni al Max Planck Institute di chimica biofisica di Goettingen, dove affina le sue conoscenze delle basi neurali della percezione visiva. Si sposta poi in Australia alla National Australian University prima e all'università di Melbourne poi, dove sviluppa una nuova teoria su come elementi come linee, colori e movimenti vengono codificati nel cervello. La sua ricerca neuroscientifica di base ha contribuito non solo a comprendere disturbi percettivi ma anche a sviluppare protesi per i non vedenti. Le sue ricerche sull'attenzione e sulla memoria visiva, sia su umani sia su macachi, hanno sviluppato la nostra comprensione di come diverse aree del cervello comunicano tra di loro e hanno aiutato a comprendere le cause di disturbi come l'ADHD, la schizofrenia e la dislessia.

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