SOCIETÀ

Moda e lavoro: il New York Times attacca il made in Italy

“Dentro l’economia nascosta italiana”: si intitola così l’inchiesta pubblicata giovedì 20 settembre sul New York Times. Il quotidiano statunitense ha affrontato un tema delicato, quello delle lavoratrici irregolari sfruttate da alcune griffe di alta moda.

Il made in Italy, se le accuse del quotidiano newyorkese venissero confermate, non ne uscirebbe bene. Tania Toffanin è una sociologa dell’università di Padova e proprio su questo tema ha scritto un libro. “Fabbriche invisibili. Storie di donne, lavoranti a domicilio”, che è uno dei lavori citati proprio dal New York Times.

“Questo è un lavoro del tutto invisibile - ha dichiarato la sociologa del lavoro Tania Toffanin ai nostri microfoni -. Si svolge dentro le abitazioni private ed è un lavoro frammentato. Una lavoratrice a domicilio solitamente prende quasi il 50% in meno di quello che viene riservato alla forza interna alle aziende. C'è quindi una riduzione netta del costo per l'impresa ma c'è anche la questione che in pochi avevano rilevato che è riconducibile al risparmio che lo stato ha avuto in termini di riduzione di servizi di welfare, legati ad asili nido che venivano meno, in quanto c'erano tantissime donne che lavoravano a casa, svolgendo quindi lavoro retribuito per le imprese e non retribuito per la cura dei familiari"

Chi guarda alla nocività dell'ambiente domestico?

Oltre al tema del salario però, la sociologa focalizza l'attenzione anche sulla qualità dei luoghi di lavoro. "Chi guarda alla nocività dell'ambiente domestico? È già successo negli anni '70 in Italia, succede in India e molti altri Paesi che l'azienda abbia decentralizzato parti di lavoro particolarmente nocive. Non dimentichiamoci che negli anni '70 in Italia si moriva per patologie legate all'uso di collanti, casi anche di leucemie o aborti dovuti ad inalazione di collanti che avevano benzene o elementi nocivi. Questo fenomeno forse è poco noto ed è stato lasciato in ombra."

Un tema quindi che riguarda migliaia di donne. "Il sommerso è un fenomeno non visibile quindi difficilmente tracciabile - conclude infine Tania Toffanin -. Sta di fatto però che nè università nè istituzioni governative hanno mai commissionato analisi sul sommerso. Specialmente dopo la crisi economica del 2008 molte aziende hanno ristrutturato e c'è stato un aumento del lavoro sommerso che andrebbe studiato a fondo. Il sommerso è da sempre un elemento strutturale dell'economia italiana e, specialmente in alcune aree del sud, ho ipotizzato una stima che va dalle 2mila alle 4mila unità". 

Il lavoro a domicilio quindi, è una pratica sicuramente non nuova, soprattutto nel mondo della moda. Il motivo principale di ciò è che il lavoro a domicilio è più utilizzato in quei lavori che possono essere più semplicemente decentrati per poi essere riuniti. Un esempio concreto è l'industria calzaturiera dove per produrre una calzatura, come dichiarato dalla sociologa Toffanin, "ci sono oltre 30 fasi di produzione diverse e tantissimi pezzi da assemblare". Questo quindi rende il decentramento a domicilio molto più semplice.

Il presidente della Camera della moda, Carlo Capasa, dopo la pubblicazione dell'inchiesta del New York Times, è passato subito al contrattacco, ritenendo quello del giornale un puro “attacco demagogico” ed annunciando le vie legali. Il lavoro a domicilio però, sembra essere una delle fasi fondamentali per alcuni settori. Un lavoro però che, oltre alla questione salariale, presenta troppo spesso delle anomalie difficilmente riscontrabili. Essendo un lavoro in un domicilio privato infatti, qualsiasi ispettore del lavoro è impossibilitato ad analizzare le condizioni in cui questo viene svolto. 

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